La provocazione di Paola Mastrocola sulla «libertà di non studiare»
di Ferdinando Camon
La geniale narratrice e acuta saggista Paola Mastrocola racconta: «Ho deciso di far mettere le inferriate alle finestre di casa, e così mi è capitato di conoscere il signor Pandiano. È un bravissimo fabbro»: non so dove viva adesso l’autrice, che è nata a Torino, ma se ha trovato un bravissimo fabbro, pronto e disponibile, è fortunata assai. Perché fabbri non se ne trovano più. E neanche falegnami. Per non parlare degli idraulici. Peccato che non tutti gli immigrati che arrivano qui sappiano fare gli idraulici, fabbri, falegnami, elettricisti, troverebbero lavoro subito. Comunque, Paola Mastrocola trova un buon fabbro, e ne resta impressionata. Anzi sedotta. Quello arriva con un aiutante, gli espone il problema, gli fornisce le soluzioni: «Gino, posiziona… Gino, va’ a prendere…».
Gino va e ritorna, posiziona, prende, intanto il signor Pandiano spiega, racconta, descrive.
«Elenca tutte le inferriate costruite nella vita, come bisogna fissarle al muro, qual è lo spessore migliore delle sbarre, la distanza tra una e l’altra. … È uno spettacolo starlo a guardare e ascoltare. È uno che sa il suo mestiere. Sono felice che esista un signore così. Gli chiedo se i giovani oggi imparano da lui, quanti ne ha a bottega. Nessuno, mi risponde. Nessuno vuole fare il suo mestiere, vogliono tutti studiare».
E questo è un errore, pensa l’autrice. Che nel libro appena uscito da Guanda, «Togliamo il disturbo», rivendica per i giovani «la libertà di non studiare» (è il sottotitolo, col «non» sottolineato in rosso). «La mia personale preghiera ai giovani è che si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono». Paola Mastrocola è una scrittrice che ha avuto molto ma merita ancora di più perché è bravissima, va sempre alla sostanza e si esprime con una tecnica insieme drastica e delicata. Si esita prima di esporre un pensiero contrario, e in ogni caso lo si deve fare con la stessa delicatezza che usa lei. Io ho avuto per la casa, anni fa, un posatore. Il posatore è colui che posa le piastrelle sui pavimenti e nelle pareti dei bagni, le taglia, le mette in bolla, la cementa. Il mio posatore si era appena ritirato dalla scuola media superiore, un istituto tecnico, e parlava dei suoi compagni con compassione: lui libero, loro schiavi degli orari e dei libri. Lui col gruzzolo di banconote in tasca (i posatori guadagnano bene), loro con la mancetta del padre per pizza e birra al sabato sera. Non sapeva niente di Manzoni o Pasolini, ma sapeva tutto di Monica Lewinski (allora era d’attualità lei), e secondo lui il giudice che incriminava Clinton era il fidanzato di Monica, altrimenti non si spiega nulla. Sulle guerre in corso aveva idee nebulose, e non gliene importava nulla. Era un evasore, e lo riteneva un diritto. Sui debiti dell’Italia, buio pesto. Sulla Finanziaria, zero.
Aveva visto alcuni film, ma li ricordava solo per come si concludevano, di interpretazioni trama regia non capiva nulla. Dei tg ricordava le stragi del sabato sera, perché lo riguardavano, aveva una grossa moto. Di tutto il resto, leggi riforme trattati guerre relazioni internazionali, zero.
Posava le piastrelle con precisione, direi con gusto. Mi domandavo: è felice? Sì, era felice. Ha problemi? Nessuno. Sarei contento di avere un figlio così? Sarei disperato. Lo sentirei come un fallimento suo e mio. Perché non si può vivere senza interrogarsi sulla vita, non si può stare in una società senza sapere come funziona, non si può vedere un film come se fosse un fumetto: non è questione di «tenore» di vita, ma di «qualità» (nel senso giusto, una volta tanto) della vita. Per questo serve la cultura, cioè lo studio. Lo studio sta al vivente come la medicina al malato. Le medicine sono amare.
Se dessimo ascolto ai bambini, che non le vogliono ingoiare, nel mondo non ci sarebbe più nessuno.
Gino va e ritorna, posiziona, prende, intanto il signor Pandiano spiega, racconta, descrive.
«Elenca tutte le inferriate costruite nella vita, come bisogna fissarle al muro, qual è lo spessore migliore delle sbarre, la distanza tra una e l’altra. … È uno spettacolo starlo a guardare e ascoltare. È uno che sa il suo mestiere. Sono felice che esista un signore così. Gli chiedo se i giovani oggi imparano da lui, quanti ne ha a bottega. Nessuno, mi risponde. Nessuno vuole fare il suo mestiere, vogliono tutti studiare».
E questo è un errore, pensa l’autrice. Che nel libro appena uscito da Guanda, «Togliamo il disturbo», rivendica per i giovani «la libertà di non studiare» (è il sottotitolo, col «non» sottolineato in rosso). «La mia personale preghiera ai giovani è che si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono». Paola Mastrocola è una scrittrice che ha avuto molto ma merita ancora di più perché è bravissima, va sempre alla sostanza e si esprime con una tecnica insieme drastica e delicata. Si esita prima di esporre un pensiero contrario, e in ogni caso lo si deve fare con la stessa delicatezza che usa lei. Io ho avuto per la casa, anni fa, un posatore. Il posatore è colui che posa le piastrelle sui pavimenti e nelle pareti dei bagni, le taglia, le mette in bolla, la cementa. Il mio posatore si era appena ritirato dalla scuola media superiore, un istituto tecnico, e parlava dei suoi compagni con compassione: lui libero, loro schiavi degli orari e dei libri. Lui col gruzzolo di banconote in tasca (i posatori guadagnano bene), loro con la mancetta del padre per pizza e birra al sabato sera. Non sapeva niente di Manzoni o Pasolini, ma sapeva tutto di Monica Lewinski (allora era d’attualità lei), e secondo lui il giudice che incriminava Clinton era il fidanzato di Monica, altrimenti non si spiega nulla. Sulle guerre in corso aveva idee nebulose, e non gliene importava nulla. Era un evasore, e lo riteneva un diritto. Sui debiti dell’Italia, buio pesto. Sulla Finanziaria, zero.
Aveva visto alcuni film, ma li ricordava solo per come si concludevano, di interpretazioni trama regia non capiva nulla. Dei tg ricordava le stragi del sabato sera, perché lo riguardavano, aveva una grossa moto. Di tutto il resto, leggi riforme trattati guerre relazioni internazionali, zero.
Posava le piastrelle con precisione, direi con gusto. Mi domandavo: è felice? Sì, era felice. Ha problemi? Nessuno. Sarei contento di avere un figlio così? Sarei disperato. Lo sentirei come un fallimento suo e mio. Perché non si può vivere senza interrogarsi sulla vita, non si può stare in una società senza sapere come funziona, non si può vedere un film come se fosse un fumetto: non è questione di «tenore» di vita, ma di «qualità» (nel senso giusto, una volta tanto) della vita. Per questo serve la cultura, cioè lo studio. Lo studio sta al vivente come la medicina al malato. Le medicine sono amare.
Se dessimo ascolto ai bambini, che non le vogliono ingoiare, nel mondo non ci sarebbe più nessuno.
«Avvenire» del 23 febbraio 2011
1 commento:
Io sono un fabbro Artigiano con 30 anni di esperienza disoccupato, mi può indicare dove posso trovare lavoro? Dalle mie parti (Provincia di Palermo) siamo tutti a spasso sono disposto a trasferirmi ovunque nel mondo. Poi voglio fare un commento per quanto riguarda gli immigrati ( premesso, non sono razzista), ma ancora non l'avete capito che neanche l'1% degli immigrati sa fare un lavoro o ha una specializzazione, sicuramente è gente volenterosa per via della speranza di un futuro migliore ma per averli specializzati come noi dovete aspettare almeno due generazioni. Ormai i nostri figli, che da grandi faranno i disoccupati precari, non hanno nessuna speranza visto che lo stato non fà nulla per farli smuovere e per dargli una smossa. ecc ecc.... se mi sa dare comunque qualche indicazione di lavoro le sarei grato veramente, poi le darò il mio numero..... Saluti a tutti
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