02 febbraio 2011

La privacy in saldo

Il «Registro delle opposizioni», fragile riparo al telemarketing
di Giuseppe Romano
Dalla mezzanotte di lunedì esiste un registro pubblico che prima non c’era: il «Registro delle opposizioni». Contiene i nomi dei cittadini che hanno chiesto esplicitamente di non essere disturbati da azioni di telemarketing. Per loro niente più telefonate, automatiche o da call center, concernenti 'consigli per gli acquisti'. Nella prima mezza giornata di vita – ieri – il Registro ha raccolto oltre 11 mila iscrizioni, intasando i centralini telefonici e telematici.
Il Registro delle opposizioni è entrato in vigore insieme a un provvedimento del Garante per la Privacy, in forza del quale le aziende che vorranno rivolgere messaggi pubblicitari a un cittadino dovranno verificare se questi non si sia esplicitamente opposto iscrivendosi al suddetto registro. Il provvedimento, che a prima vista potrebbe apparire benevolo nei confronti della nostra tranquillità, in realtà riflette un ribaltamento concettuale ed effettivo. Finora il telemarketing si era basato sulla nostra disponibilità manifestata col 'consenso' contenuto in ogni contratto di acquisto, dall’asciugacapelli al conto bancario. Tra le varie voci opzionali, una autorizza appunto il venditore a informarci su prodotti e novità.
D’ora in avanti accadrà il contrario. Chi non vuole ricevere telefonate pubblicitarie deve iscriversi al Registro: è come dire che chiunque ha il diritto di entrarti in casa, se per caso non avessi provveduto a sbarrare la porta.
Si fa ogni giorno più evidente che nell’era digitale l’equazione tra informazione e denaro trova un’applicazione concretissima e quotidiana. La nostra identità – preferenze, itinerari, gusti, debolezze... – è preziosa. Il nostro mondo affettivo, esistenziale, sociale è la pentola iridescente alla base dell’arcobaleno commerciale. Chi ci conosce farà affari, perché saprà dove e come toccarci sul vivo.
Conoscerci non è complicato, dal momento che lungo i percorsi di ogni giorno seminiamo innumerevoli tracce digitali. I telefilm polizieschi e la cronaca guudiziaria spiattellano quant’è semplice seguire i movimenti di una persona tramite gli spostamenti del suo telefonino e i varchi che l’auto attraversa col telepass, o passando sotto gli occhi elettronici che presidiano gli accessi a molti centri storici urbani. Non c’è poi bisogno di essere poliziotti per annotare e collegare in un profilo, nelle memorie informatiche, la nostra spesa al supermercato, i clic sui siti web che frequentiamo, gli acquisti con carta di credito e bancomat. Telecamere disseminate ovunque ci riprendono e si ricordano di noi. Ovvio che chi ci conosce così bene voglia anche raggiungerci e stimolarci ad acquistare. La civiltà di massa è anche il Nuovo Mondo dei media onnipresenti. La stessa nozione di privacy è recente (risale a fine Ottocento) ed è un concetto difensivo: non è stata necessaria finché le intrusioni non sono diventate ricorrenti. Segno di una civiltà in rapida evoluzione che frattanto, però, s’è lasciata dietro anche il Grande Fratello orwelliano: mentre per lo scrittore britannico l’invasore era un singolo tiranno onnipotente (un governo, per esempio), adesso la nozione è più ambigua. Reality show sul tipo del «Grande Fratello» esibiscono senza freni – davanti a milioni di spettatori plaudenti – il privato di alcuni cittadini altrimenti insignificanti. Su Facebook appaiono in pubblico dati personali di per sé riservati.
Difficile ribellarsi all’invadenza del telemarketing – che entro opportuni limiti può pure rivelarsi un utile servizio informativo – se nel frattempo siamo noi stessi a insidiare e negare nei fatti i confini del nostro privato. Da questo punto di vista, il Registro delle opposizioni è addirittura un rimedio, però tardivo. Chiude una stalla semivuota.
«Avvenire» del 2 febbraio 2011

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