05 febbraio 2011

Giorgio Colli nei meandri del pensiero di Nietzsche

di Andrea Bisicchia
Giorgio Colli è stato il cu­ratore di tutte le Opere di Friedrich Nietzsche, nelle versioni sue, di Mazzino Montanari e di Sossio Giamet­ta che ne è stato il traduttore per eccellenza. L’editore A­delphi ha appena pubblicato di Colli Apollineo e dionisiaco; si tratta di una serie di scritti, concepiti ed elaborati tra il 1938 e il 1940, per meglio ap­profondire cosa il filosofo te­desco intendesse con i due ter­mini molto citati e, per Colli, non sempre capiti, benché Nietzsche stesso ne avesse da­to una definizione, concepen­doli come nomi rappresentati­vi dei contrari stilistici nel mondo dell’arte, quasi sempre in lotta tra loro anche se solo una volta appaiono fusi, quan­do 'la volontà' ellenica culmi­na nella tragedia greca. Per il filosofo tedesco, che subì tante angherie da parte di filologi illustri, come Wilanowitz, che lo invitò ad abbandonare la cat­tedra della quale, a suo avviso, si sarebbe rivelato indegno, la conoscenza del mondo antico procedeva per accumuli, che non sempre rispettavano l’uso degli apparati e delle bibliogra­fie, ma che, in verità, mostra­vano non soltanto la sua vora­cità nel voler conoscere la filo­sofia, il pensiero, la dramma­turgia dei Greci, ma anche il suo accostarsi a quel mondo con delle proprie interpreta­zioni e con risultati che alter­navano il vitalismo col flusso dell’immaginazione estetica.
Gli uomini eccezionali, diceva, sanno atteggiarsi in modi op­posti alla vita; l’archetipo di ta­li atteggiamenti è da ricercarsi nella contrapposizione tra apollineo e dionisiaco, da inda­gare, secondo Giorgio Colli, in senso storico e in senso filoso­fico. Nietzsche scoprì la grecità come un supremo valore ed il suo accostarsi ad essa fu, per lui, principalmente di carattere estetico più che filologico. In La nascita della tragedia, egli non accettò che la tragedia fosse nata dal popolare diti­rambo, come sostenevano molti antichisti, ma che risul­tasse connubio-antitesi tra ve­rità e bellezza, senza per questo, rappresentare né l’assoluta bellezza, né l’assoluta verità, benché la si dovesse conside­rare come il punto culminante della grecità. C’è chi sostiene che Nietzsche amasse non la tragedia in sé, ma il sorgere della stessa e che odiasse ciò che la trasformava in dramma, ovvero l’azione e il dialogo. Egli andava in cerca del principio di tutte le cose, dell’àpeiron , ovvero dell’essenza metafisica del mondo, la sola che permet­tesse la contemplazione del sublime. Questa concezione a­pollinea si contrapponeva a quella dionisiaca, ovvero allo stato collettivo dell’ebbrezza, nel quale convivono gioia e do­lore e da dove sgorga la creazio­ne spirituale da ritenere sempre connessa alla civiltà di un popo­lo ben rispecchiata nel coro gre­co. Per Giorgio Colli, esiste un divario tra l’anima del filosofo e l’ebbrezza dionisiaca in senso storico, per tanti aspetti vicina al cristianesimo, tanto che per colmarlo, Nietzsche dovette ri­salire alle origini e, quindi, al rapporto tra la violenza e il sa­cro. Questi due aspetti, secondo Colli, sono difficili da individuare e da definire nettamente, poi­ché si trattava di due maniere di accostarsi alla vita, antitetici, ma reali, oltre che di una visione del tragico intesa, non come in­terpretazione del mondo greco, ma come elemento portante del suo pensiero.
Giorgio Colli, Apollineo e dionisiaco, Adelphi, pp. 210, € 14,00
Adelphi raccoglie una serie di scritti del curatore dell’«Opera omnia» del filosofo tedesco, nei quali scava alle sorgenti dei concetti di apollineo e dionisiaco. Con un occhio a Cristo
«Avvenire» del 5 febbraio 2011

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