L'Accademia Galileiana di Padova ospita, dal 24 al 26 febbraio, il seminario internazionale "Pietro Bembo e le arti". Uno degli organizzatori dell'incontro, che è anche tra i relatori, ha scritto per il nostro giornale questo articolo introduttivo alla conoscenza del cardinale che fu scrittore e grande umanista
di Guido Beltramini
(Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza)
(Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza)
Sembra fosse di corporatura minuta. Due grandi pittori ne ritraggono lo sguardo penetrante e il naso aquilino, da rapace. Giovanni Bellini ci mostra Pietro Bembo intorno ai trent'anni, vestito di nero, con i lunghi capelli biondi, un giovane intellettuale che guarda assorto il paesaggio del Veneto che canterà negli Asolani. Tiziano lo dipinge quarant'anni più tardi, severo nella sontuosa veste di cardinale, con una folta barba bianca, principe della Chiesa e autorevole arbitro della cultura italiana. Nei due dipinti è tracciata la parabola della vita di Pietro Bembo, che dagli studi letterari giunge alla porpora, tra il Veneto e Roma. Nato a Venezia nel 1470, sul finire del secolo Pietro, con Aldo Manuzio, rivoluziona il concetto di libro, curando volumi di classici di piccolo formato privi di commento, da leggere al di fuori delle aule universitarie. Nei suoi Asolani, stampati presso Manuzio nel 1505, diede per primo spazio letterario ai moti dell'animo. Fu Storiografo e Bibliotecario della Repubblica Veneta e a sessantanove anni fu nominato cardinale da Paolo III, si trasferì a Roma, dove si spense nel gennaio del 1547.
È a Bembo che si deve l'italiano che usiamo ancora oggi. Nel 1525 pubblica la Prose della volgar lingua, dove codifica l'italiano come lingua nazionale, fondata sugli scritti di Petrarca e Boccaccio. Il successo è enorme, e il suo influsso è normativo per la cultura letteraria del tempo. Ma nei dieci anni precedenti, a Roma in qualità di segretario di Papa Leone X, Bembo aveva assistito all'affermarsi di un'altra rivoluzione, con Michelangelo e Raffaello creatori di un'arte nuova, ma basata sulla eccellenza di quella romana antica: la perfezione senza tempo, e senza inflessioni regionali, di opere che sono i fondamenti di quello che oggi chiamiamo l'arte del rinascimento. I tre si conoscevano bene. Raffaello aveva ritratto Bembo quando erano giovani alla corte di Urbino, e Pietro, in una lettera del 1516, riferisce di una gita insieme a Tivoli sulle rovine di villa Adriana. Con Michelangelo Bembo condivise amicizie, e attraverso Vittoria Colonna, nell'ultimo decennio di vita, anche afflati spirituali. Nel terzo libro delle Prose della volgar lingua Bembo indica in Michelangelo e Raffaello i protagonisti della nuova arte rinascimentale, quasi fossero i modelli di una lingua italiana "per figure".
Il problema storiografico dei rapporti fra Bembo, le arti e gli artisti è affrontato a Padova in un grande convegno internazionale, con specialisti di Europa e Stati Uniti, invitati dal Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. "Bembo e le arti" è nodo complesso, da dipanare seguendo diversi fili. Certamente le frequentazioni personali di Bembo con gli artisti, dato che abbiamo notizia di rapporti diretti anche con Bellini, Jacopo Sansovino, Benvenuto Cellini, Sebastiano del Piombo, Valerio Belli. Un altro filo è quello delle committenze dirette di Pietro, come il ritratto di Navagero e Beazzano ottenuto da Raffaello, la medaglia ritratto di Valerio Belli o la splendida testa di Cristo in marmo del misterioso Pirgotele, oggi al museo del Bargello. Una ulteriore linea d'indagine sono le collaborazioni di Bembo a progetti artistici, come la stesura dei testi per le iscrizioni monumentali sulla facciata villa Imperiale a Pesaro o per le iscrizioni sulle tombe di Castiglione e Raffaello, o ancora i consigli per la decorazione pittorica nella sala dei Giganti a Padova. La trama che regge l'intreccio è la celebre collezione che Bembo riunì nella propria residenza padovana ottenuta nel 1532, un vero e proprio museo di oggetti d'arte, di storia, di scienza. I dipinti, provenienti anche dalla collezione del padre Bernardo, erano di Raffaello, Giovanni Bellini, Mantegna, Tiziano, Memling. Le statue erano alcuni fra i pezzi antichi più belli noti del rinascimento, come la testa di Antinoo oggi nelle collezioni Farnese di Napoli, accanto a sculture moderne di Pietro Lombardo, a bronzetti e ad argenti cesellati da Benvenuto Cellini. Vi erano gemme antiche incise, che erano appartenute a Lorenzo il Magnifico, antiche monete e medaglie contemporanee di Valerio Belli. Non mancavano pezzi insoliti, come la Mensa Isiaca, una grande lastra da altare in bronzo e argento con geroglifici egizi incisi, il primo oggetto del genere mai comparso in una collezione rinascimentale. E ancora vi erano codici antichissimi, come il Virgilio Vaticano (IV-V secolo dell'era cristiana) o Le Commedie di Terenzio, accanto a manoscritti miniati della grande scuola padovana di Bartolomeo Sanvito.
L'unicità del Museo Bembo consisteva nel non essere solo frutto del gusto del proprietario, ma piuttosto, essere in larga parte, il suo strumento di indagine sul mondo. Bembo è uno studioso, e nel compulsare gli autori antichi, come già fece Petrarca, utilizza le testimonianze materiali del mondo romano per approfondire la sua conoscenza dei testi. In questo senso, iscrizioni contengono preziose indicazioni sul diritto romano, monete possono suggerire la corretta scrittura di un termine, mirabilia naturali possono aiutare a comprendere Plinio il vecchio. La stessa casa padovana di Bembo, dove era conservata la collezione, evocava le residenze degli antichi romani, con ampi giardini, statue, padiglioni, piante rare.
Nel Cinquecento il prestigio di Pietro Bembo era enorme, e la fama del Museo Bembo lo rendeva un luogo di pellegrinaggio per intellettuali e artisti, un baricentro culturale tanto che - come scrisse nel 1549 Pietro Aretino - "pare che la stessa Roma si sia trasferita in Padova". Ci pensarono gli eredi di Bembo a disperdere rapidamente la collezione dopo la morte del cardinale. Con il convegno padovano ha inizio un progetto di ricerca per costituire la base di conoscenza di mostra prevista per il 2013, che punta a riportare a Padova i capolavori presenti nella collezione di Bembo, che nei secoli successivi sono diventati parte delle collezioni dei grandi musei internazionali.
È a Bembo che si deve l'italiano che usiamo ancora oggi. Nel 1525 pubblica la Prose della volgar lingua, dove codifica l'italiano come lingua nazionale, fondata sugli scritti di Petrarca e Boccaccio. Il successo è enorme, e il suo influsso è normativo per la cultura letteraria del tempo. Ma nei dieci anni precedenti, a Roma in qualità di segretario di Papa Leone X, Bembo aveva assistito all'affermarsi di un'altra rivoluzione, con Michelangelo e Raffaello creatori di un'arte nuova, ma basata sulla eccellenza di quella romana antica: la perfezione senza tempo, e senza inflessioni regionali, di opere che sono i fondamenti di quello che oggi chiamiamo l'arte del rinascimento. I tre si conoscevano bene. Raffaello aveva ritratto Bembo quando erano giovani alla corte di Urbino, e Pietro, in una lettera del 1516, riferisce di una gita insieme a Tivoli sulle rovine di villa Adriana. Con Michelangelo Bembo condivise amicizie, e attraverso Vittoria Colonna, nell'ultimo decennio di vita, anche afflati spirituali. Nel terzo libro delle Prose della volgar lingua Bembo indica in Michelangelo e Raffaello i protagonisti della nuova arte rinascimentale, quasi fossero i modelli di una lingua italiana "per figure".
Il problema storiografico dei rapporti fra Bembo, le arti e gli artisti è affrontato a Padova in un grande convegno internazionale, con specialisti di Europa e Stati Uniti, invitati dal Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. "Bembo e le arti" è nodo complesso, da dipanare seguendo diversi fili. Certamente le frequentazioni personali di Bembo con gli artisti, dato che abbiamo notizia di rapporti diretti anche con Bellini, Jacopo Sansovino, Benvenuto Cellini, Sebastiano del Piombo, Valerio Belli. Un altro filo è quello delle committenze dirette di Pietro, come il ritratto di Navagero e Beazzano ottenuto da Raffaello, la medaglia ritratto di Valerio Belli o la splendida testa di Cristo in marmo del misterioso Pirgotele, oggi al museo del Bargello. Una ulteriore linea d'indagine sono le collaborazioni di Bembo a progetti artistici, come la stesura dei testi per le iscrizioni monumentali sulla facciata villa Imperiale a Pesaro o per le iscrizioni sulle tombe di Castiglione e Raffaello, o ancora i consigli per la decorazione pittorica nella sala dei Giganti a Padova. La trama che regge l'intreccio è la celebre collezione che Bembo riunì nella propria residenza padovana ottenuta nel 1532, un vero e proprio museo di oggetti d'arte, di storia, di scienza. I dipinti, provenienti anche dalla collezione del padre Bernardo, erano di Raffaello, Giovanni Bellini, Mantegna, Tiziano, Memling. Le statue erano alcuni fra i pezzi antichi più belli noti del rinascimento, come la testa di Antinoo oggi nelle collezioni Farnese di Napoli, accanto a sculture moderne di Pietro Lombardo, a bronzetti e ad argenti cesellati da Benvenuto Cellini. Vi erano gemme antiche incise, che erano appartenute a Lorenzo il Magnifico, antiche monete e medaglie contemporanee di Valerio Belli. Non mancavano pezzi insoliti, come la Mensa Isiaca, una grande lastra da altare in bronzo e argento con geroglifici egizi incisi, il primo oggetto del genere mai comparso in una collezione rinascimentale. E ancora vi erano codici antichissimi, come il Virgilio Vaticano (IV-V secolo dell'era cristiana) o Le Commedie di Terenzio, accanto a manoscritti miniati della grande scuola padovana di Bartolomeo Sanvito.
L'unicità del Museo Bembo consisteva nel non essere solo frutto del gusto del proprietario, ma piuttosto, essere in larga parte, il suo strumento di indagine sul mondo. Bembo è uno studioso, e nel compulsare gli autori antichi, come già fece Petrarca, utilizza le testimonianze materiali del mondo romano per approfondire la sua conoscenza dei testi. In questo senso, iscrizioni contengono preziose indicazioni sul diritto romano, monete possono suggerire la corretta scrittura di un termine, mirabilia naturali possono aiutare a comprendere Plinio il vecchio. La stessa casa padovana di Bembo, dove era conservata la collezione, evocava le residenze degli antichi romani, con ampi giardini, statue, padiglioni, piante rare.
Nel Cinquecento il prestigio di Pietro Bembo era enorme, e la fama del Museo Bembo lo rendeva un luogo di pellegrinaggio per intellettuali e artisti, un baricentro culturale tanto che - come scrisse nel 1549 Pietro Aretino - "pare che la stessa Roma si sia trasferita in Padova". Ci pensarono gli eredi di Bembo a disperdere rapidamente la collezione dopo la morte del cardinale. Con il convegno padovano ha inizio un progetto di ricerca per costituire la base di conoscenza di mostra prevista per il 2013, che punta a riportare a Padova i capolavori presenti nella collezione di Bembo, che nei secoli successivi sono diventati parte delle collezioni dei grandi musei internazionali.
«L'Osservatore Romano» del 25 febbraio 2011
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