di Simon Critchley
Che cosa succederebbe se prendessimo un gruppetto tra i più illustri filosofi dell'Occidente e li trasportassimo dalle loro sale conferenze e dalle loro dotte riviste accademiche all'agorà elettronica, dove regna la comunicazione istantanea con centinaia di migliaia o addirittura milioni di individui?
The Stone (la pietra), una serie di scritti filosofici pubblicati sulle pagine del «New York Times», ha cercato di dare una risposta a queste domande, e io ho avuto l'onore di fare da moderatore. Nei suoi primi sette mesi di vita sul sito web del «New York Times», tra maggio del 2010 e gennaio del 2011 (contiamo di tornare a fine primavera), The Stone è diventata uno tra gli appuntamenti più letti e discussi nella vita giornalistica, culturale e intellettuale degli Stati Uniti. Abbiamo avuto più di 8 milioni di contatti e, grazie agli strumenti interattivi a disposizione dei lettori, oltre 15mila risposte ai 50 e più pezzi che abbiamo pubblicato (http://opinionator.blogs.nytimes.com/category/the-stone/). Questo successo è giunto gradito e inaspettato. Ma soprattutto ha dimostrato che la filosofia, se scritta, selezionata e revisionata con competenza e presentata in modo accattivante, è in grado di accendere l'interesse appassionato di milioni di lettori in tutto il pianeta, perfino negli Stati Uniti, il paese che ha fama di essere la roccaforte dell'antintellettualismo.
Questa serie di saggi ha visto la partecipazione di alcuni fra i filosofi più noti e stimati oggi in attività nel mondo occidentale: Peter Singer, Martha Nussbaum, Arthur C. Danto, Tim Williamson, Galen Strawson, Graham Priest, Jeff McMahan, Robert Pippin e tanti altri. Anche pensatori e artisti di altri settori hanno dato il loro contributo, come il biologo evolutivo Frans de Waal, lo scrittore Andy Martin, il matematico John Allen Paulos, il fotografo Steve Pyke e altri ancora.
The Stone non si è limitata alle tematiche tradizionali della filosofia, come la giustizia, la responsabilità, la natura della fede, lo status della spiegazione scientifica e i recenti sviluppi della logica, ma ha affrontato anche argomenti di attualità che spaziano per tutti gli ambiti della vita moderna: il sovrappopolamento e l'etica riproduttiva, Lady Gaga e il femminismo, il movimento del Tea Party e la rabbia politica, il burqa e la dignità umana, Sartre e il ruolo della bruttezza nella filosofia, e altro ancora.
Che cosa abbiamo imparato da questa esperienza?
Abbiamo imparato che la filosofia conta ancora. Che non è un'attività ultraterrena condotta da una manciata di individui remoti, trincerati in inaccessibili istituzioni accademiche.
O invece è proprio così?
Indubbiamente, la filosofia, per buona parte della sua lunga e geograficamente variegata storia, è stata un'attività accademica. L'Accademia di Platone fu istituita ai margini della città per portare avanti l'insegnamento e le dottrine di Socrate. Ma sicuramente non c'è soltanto questo, come ci ha dimostrato The Stone.
L'America contemporanea, il paese in cui attualmente risiedo, possiede molti dei migliori dipartimenti universitari di filosofia del mondo.
La vita di questi dipartimenti si incarna nell'attività di formazione di insegnanti e ricercatori che continueranno a dare il loro contributo alla disciplina. Questa continuità professionale riveste un'enorme importanza per chi, come noi, si guadagna da vivere insegnando filosofia. Ma naturalmente la filosofia non è soltanto una professione.
La filosofia è, tra le altre cose, quell'attività viva di riflessione critica in un contesto specifico attraverso la quale gli esseri umani si sforzano di analizzare il mondo in cui si trovano e di mettere in discussione ciò che passa per senso comune o pubblica opinione (quella che Socrate chiamava doxa) nella società in cui vivono. La filosofia taglia trasversalmente la doxa, e lo fa sollevando soprattutto domande di natura universale: «Che cos'è X?». La filosofia analizza e incalza l'opinione pubblica ponendo interrogativi fondamentali: «Che cos'è la conoscenza?»; «Che cos'è la giustizia?»; «Che cos'è l'amore?».
La speranza che c'è dietro è che le considerazioni suscitate da queste domande universali producano, tramite l'indagine e l'argomentazione, un effetto educativo o addirittura emancipativo. La filosofia, per citare la definizione coniata dal grande filosofo americano Stanley Cavell, è l'educazione degli adulti.
A mio parere la filosofia deve far parte della vita di una cultura. Deve coinvolgere l'opinione pubblica e influenzare il modo attraverso cui una cultura dialoga con se stessa, comprende se stessa, parla con altre culture e cerca di comprenderle. È molto gratificante veder fiorire questa ricerca nell'agorà odierna, l'agorà virtuale, confrontandosi, coinvolgendo e perfino abbracciando la natura fluida, ambigua e frenetica dello spazio pubblico elettronico.
Alla società, la filosofia può offrire un metodo per sfatare i tanti miti e ideologie che regolano la nostra vita e per proporre schemi concettuali alternativi o normativi per ragionare sui concetti (la giustizia, la verità, la libertà, la mente, la scienza, la religione e così via). Hegel dice che la filosofia ci consente di comprendere con il pensiero la nostra epoca. Ma può anche – forse soprattutto – consentirci di resistere alla nostra epoca, di porre domande inopportune, domande difficili, scomode, fuori moda. In uno dei suoi ultimi scritti, dove cerca di affrancarsi dalla fascinazione per il compositore Richard Wagner, Nietzsche dice: «Che cosa chiede un filosofo a se stesso innanzitutto? Di superare in se stesso il proprio tempo, di diventare "senza tempo". Con cosa deve dunque ingaggiare una lotta senza quartiere? Con tutto ciò che lo contrassegna come figlio della propria epoca. Ebbene, io sono, non meno di Wagner, figlio di quest'epoca, vale a dire un decadente. Ma io l'ho capito, vi ho resistito. Il filosofo che è in me vi ha resistito».
Voglio concludere con un aneddoto poco noto riguardo a Socrate. Il grande filosofo greco aveva un amico, Simone, che fabbricava sandali. Secondo la leggenda, questo Simone metteva a disposizione la propria casa quando a Socrate non consentivano di condurre le sue discussioni filosofiche nell'agorà. La casa di Simone si trovava subito oltre il confine (horos) dell'agorà, delimitato da una serie di affascinanti pietre miliari, alte più o meno un metro, su una delle quali era scritto Horoseimi tes agoras, «Io sono il confine dell'agorà». Sempre secondo la leggenda, dopo l'arresto di Socrate, anche Simone fu imprigionato, e successivamente rilasciato. Di lui non si sa molto altro.
Fare filosofia non è fare politica. La filosofia non è riducibile al business della politica, e non è detto – è il meno che si possa affermare – che i filosofi possano essere re o anche semplicemente consigliare principi, potenti o primi ministri. Ma la filosofia può occupare uno spazio importante in rapporto alla sfera pubblica, nella casa di un ciabattino al margine dell'agorà, osservandola da presso e mettendo in evidenza qualcuna delle sue illusioni e certe sue ombre scambiate per cose vere.
Nonostante alcuni esempi sembrino indicare il contrario (Cartesio seduto accanto alla sua stufa nei Paesi Bassi, Wittgenstein nella sua baita norvegese o lo stesso Nietszsche nelle sue stanze in affitto a Torino), la filosofia non è un'attività solitaria di gente che rumina e cogita per conto proprio. Nelle tante scuole del mondo antico, la filosofia era un'attività collettiva condotta nel l'Accademia di Platone, nel Liceo di Aristotele, nel Giardino di Epicuro o all'ombra dei portici della Stoà.
Nel mondo contemporaneo, è difficile trovare una Stoà grande abbastanza da contenerci tutti, perciò dovremo accontentarci della grotta digitale. Ma il punto fondamentale è che la filosofia è un'attività condivisa, è dialogo.
E il dialogo non è un semplice scambio di opinioni, dove io ho la mia fede, le mie idee politiche e il mio Dio, e voi i vostri. Questo è un monologo parallelo. Uno degli scopi del dialogo è mettere alla prova razionalmente le nostre idee in modo tale da poter cambiare parere.
Il vero dialogo è cambiare idea. L'aspetto più straordinario dell'accoglienza che ha ricevuto The Stone è stato osservare come i lettori cambiavano idea. E anch'io, grazie al vastissimo, vociante e appassionato pubblico di lettori là fuori, so di aver cambiato idea. Molte volte.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Chi è l'autore
Simon Critchley è professore di filosofia alla New School for Social Research di New York. Il suo libro più recente è «How to Stop Living and Start Worrying» (Polity, 2010). Il libro dei filosofi morti, Garzanti, Milano, pp. 350, € 20,00
The Stone (la pietra), una serie di scritti filosofici pubblicati sulle pagine del «New York Times», ha cercato di dare una risposta a queste domande, e io ho avuto l'onore di fare da moderatore. Nei suoi primi sette mesi di vita sul sito web del «New York Times», tra maggio del 2010 e gennaio del 2011 (contiamo di tornare a fine primavera), The Stone è diventata uno tra gli appuntamenti più letti e discussi nella vita giornalistica, culturale e intellettuale degli Stati Uniti. Abbiamo avuto più di 8 milioni di contatti e, grazie agli strumenti interattivi a disposizione dei lettori, oltre 15mila risposte ai 50 e più pezzi che abbiamo pubblicato (http://opinionator.blogs.nytimes.com/category/the-stone/). Questo successo è giunto gradito e inaspettato. Ma soprattutto ha dimostrato che la filosofia, se scritta, selezionata e revisionata con competenza e presentata in modo accattivante, è in grado di accendere l'interesse appassionato di milioni di lettori in tutto il pianeta, perfino negli Stati Uniti, il paese che ha fama di essere la roccaforte dell'antintellettualismo.
Questa serie di saggi ha visto la partecipazione di alcuni fra i filosofi più noti e stimati oggi in attività nel mondo occidentale: Peter Singer, Martha Nussbaum, Arthur C. Danto, Tim Williamson, Galen Strawson, Graham Priest, Jeff McMahan, Robert Pippin e tanti altri. Anche pensatori e artisti di altri settori hanno dato il loro contributo, come il biologo evolutivo Frans de Waal, lo scrittore Andy Martin, il matematico John Allen Paulos, il fotografo Steve Pyke e altri ancora.
The Stone non si è limitata alle tematiche tradizionali della filosofia, come la giustizia, la responsabilità, la natura della fede, lo status della spiegazione scientifica e i recenti sviluppi della logica, ma ha affrontato anche argomenti di attualità che spaziano per tutti gli ambiti della vita moderna: il sovrappopolamento e l'etica riproduttiva, Lady Gaga e il femminismo, il movimento del Tea Party e la rabbia politica, il burqa e la dignità umana, Sartre e il ruolo della bruttezza nella filosofia, e altro ancora.
Che cosa abbiamo imparato da questa esperienza?
Abbiamo imparato che la filosofia conta ancora. Che non è un'attività ultraterrena condotta da una manciata di individui remoti, trincerati in inaccessibili istituzioni accademiche.
O invece è proprio così?
Indubbiamente, la filosofia, per buona parte della sua lunga e geograficamente variegata storia, è stata un'attività accademica. L'Accademia di Platone fu istituita ai margini della città per portare avanti l'insegnamento e le dottrine di Socrate. Ma sicuramente non c'è soltanto questo, come ci ha dimostrato The Stone.
L'America contemporanea, il paese in cui attualmente risiedo, possiede molti dei migliori dipartimenti universitari di filosofia del mondo.
La vita di questi dipartimenti si incarna nell'attività di formazione di insegnanti e ricercatori che continueranno a dare il loro contributo alla disciplina. Questa continuità professionale riveste un'enorme importanza per chi, come noi, si guadagna da vivere insegnando filosofia. Ma naturalmente la filosofia non è soltanto una professione.
La filosofia è, tra le altre cose, quell'attività viva di riflessione critica in un contesto specifico attraverso la quale gli esseri umani si sforzano di analizzare il mondo in cui si trovano e di mettere in discussione ciò che passa per senso comune o pubblica opinione (quella che Socrate chiamava doxa) nella società in cui vivono. La filosofia taglia trasversalmente la doxa, e lo fa sollevando soprattutto domande di natura universale: «Che cos'è X?». La filosofia analizza e incalza l'opinione pubblica ponendo interrogativi fondamentali: «Che cos'è la conoscenza?»; «Che cos'è la giustizia?»; «Che cos'è l'amore?».
La speranza che c'è dietro è che le considerazioni suscitate da queste domande universali producano, tramite l'indagine e l'argomentazione, un effetto educativo o addirittura emancipativo. La filosofia, per citare la definizione coniata dal grande filosofo americano Stanley Cavell, è l'educazione degli adulti.
A mio parere la filosofia deve far parte della vita di una cultura. Deve coinvolgere l'opinione pubblica e influenzare il modo attraverso cui una cultura dialoga con se stessa, comprende se stessa, parla con altre culture e cerca di comprenderle. È molto gratificante veder fiorire questa ricerca nell'agorà odierna, l'agorà virtuale, confrontandosi, coinvolgendo e perfino abbracciando la natura fluida, ambigua e frenetica dello spazio pubblico elettronico.
Alla società, la filosofia può offrire un metodo per sfatare i tanti miti e ideologie che regolano la nostra vita e per proporre schemi concettuali alternativi o normativi per ragionare sui concetti (la giustizia, la verità, la libertà, la mente, la scienza, la religione e così via). Hegel dice che la filosofia ci consente di comprendere con il pensiero la nostra epoca. Ma può anche – forse soprattutto – consentirci di resistere alla nostra epoca, di porre domande inopportune, domande difficili, scomode, fuori moda. In uno dei suoi ultimi scritti, dove cerca di affrancarsi dalla fascinazione per il compositore Richard Wagner, Nietzsche dice: «Che cosa chiede un filosofo a se stesso innanzitutto? Di superare in se stesso il proprio tempo, di diventare "senza tempo". Con cosa deve dunque ingaggiare una lotta senza quartiere? Con tutto ciò che lo contrassegna come figlio della propria epoca. Ebbene, io sono, non meno di Wagner, figlio di quest'epoca, vale a dire un decadente. Ma io l'ho capito, vi ho resistito. Il filosofo che è in me vi ha resistito».
Voglio concludere con un aneddoto poco noto riguardo a Socrate. Il grande filosofo greco aveva un amico, Simone, che fabbricava sandali. Secondo la leggenda, questo Simone metteva a disposizione la propria casa quando a Socrate non consentivano di condurre le sue discussioni filosofiche nell'agorà. La casa di Simone si trovava subito oltre il confine (horos) dell'agorà, delimitato da una serie di affascinanti pietre miliari, alte più o meno un metro, su una delle quali era scritto Horoseimi tes agoras, «Io sono il confine dell'agorà». Sempre secondo la leggenda, dopo l'arresto di Socrate, anche Simone fu imprigionato, e successivamente rilasciato. Di lui non si sa molto altro.
Fare filosofia non è fare politica. La filosofia non è riducibile al business della politica, e non è detto – è il meno che si possa affermare – che i filosofi possano essere re o anche semplicemente consigliare principi, potenti o primi ministri. Ma la filosofia può occupare uno spazio importante in rapporto alla sfera pubblica, nella casa di un ciabattino al margine dell'agorà, osservandola da presso e mettendo in evidenza qualcuna delle sue illusioni e certe sue ombre scambiate per cose vere.
Nonostante alcuni esempi sembrino indicare il contrario (Cartesio seduto accanto alla sua stufa nei Paesi Bassi, Wittgenstein nella sua baita norvegese o lo stesso Nietszsche nelle sue stanze in affitto a Torino), la filosofia non è un'attività solitaria di gente che rumina e cogita per conto proprio. Nelle tante scuole del mondo antico, la filosofia era un'attività collettiva condotta nel l'Accademia di Platone, nel Liceo di Aristotele, nel Giardino di Epicuro o all'ombra dei portici della Stoà.
Nel mondo contemporaneo, è difficile trovare una Stoà grande abbastanza da contenerci tutti, perciò dovremo accontentarci della grotta digitale. Ma il punto fondamentale è che la filosofia è un'attività condivisa, è dialogo.
E il dialogo non è un semplice scambio di opinioni, dove io ho la mia fede, le mie idee politiche e il mio Dio, e voi i vostri. Questo è un monologo parallelo. Uno degli scopi del dialogo è mettere alla prova razionalmente le nostre idee in modo tale da poter cambiare parere.
Il vero dialogo è cambiare idea. L'aspetto più straordinario dell'accoglienza che ha ricevuto The Stone è stato osservare come i lettori cambiavano idea. E anch'io, grazie al vastissimo, vociante e appassionato pubblico di lettori là fuori, so di aver cambiato idea. Molte volte.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Chi è l'autore
Simon Critchley è professore di filosofia alla New School for Social Research di New York. Il suo libro più recente è «How to Stop Living and Start Worrying» (Polity, 2010). Il libro dei filosofi morti, Garzanti, Milano, pp. 350, € 20,00
«A» del gennaio 2011
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