Fino a che punto sono valide le testimonianze di Sallustio e di Cicerone sulla congiura di Catilina?Catilina fu davvero un rivoluzionario popolare?
di Martino Menghi e Massimo Gori
Tratto dal volume Voces. Sallustio, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2000, pp. 23 – 24
Il giudizio di Cicerone e di Sallustio
Catilina ebbe la sfortuna di imbattersi in un console, Cicerone, che non solo ne rivelò le trame e le annientò, ma che nelle Catilinarie lo dipinse con le tinte più cupe dell’oratoria politica romana. La sua sfortuna fu aggravata dal fatto che Sallustio, lo storico che ne narrò la celebre congiura, lo presentò come esempio del degrado morale e politico a cui la superbia della nobilitas aveva condotto Roma. I veementi attacchi dell’oratore insistono con ostinazione sul dissidio tra legalità e illegalità, tra il comportamento suo e del senato e quello dei seguaci di Catilina, mentre lo storico vede nella congiura l’esito più tragico della lotta dei populares contro gli optimates e un momento esemplare nella crisi morale dello stato. Benché Cicerone e Sallustio militassero in due fronti politici contrapposti, il loro moralismo mostra una significativa convergenza verso gli ideali di moderazione dei boni cives, il ceto dei possidenti, interessati a una risoluzione pacifica delle lotte civili e al ripristino della legalità.
La congiura al di là di Sallustio
Analisi moderne dipingono invece la congiura di Catilina come uno dei tanti episodi di violenza politica della storia romana dai Gracchi in poi: l’alto numero di processi de vi (la violenza politica) lo testimonia; Catilina non è l’unico ad aver sfruttato per fini personali la presenza in Roma di vere e proprie squadracce di facinorosi. Personaggi come Clodio, il celebre nemico di Cicerone negli anni cinquanta del secolo, il fratellastro della Lesbia di Catullo, non dovettero essere troppo dissimili da Catilina: lo provano la stessa nobiltà dei natali, una carriera politica all’ombra di un potente (per Clodio è Cesare), l’oscillazione tra legalità e illegalità, l’insofferenza per i costumi tradizionali e infine la tragica morte.
Anche la visione di un Catilina rivoluzionario popolare va ridimensionata: sulla scorta di Sallustio (De Catilinae coniuratione, 33) alcuni storici si sono spinti a parlare di una conversione del nobilissimo Catilina alla causa dei populares, con il relativo e coerente programma di tabulae novae (abolizione dei debiti), di leggi agrarie, di dittatura, di riscatto dei miseri. In realtà la semplice dinamica della lotta tra populares e optimates si rivela insufficiente a capire quegli interessi personali e quei fermenti politici e sociali che emergono in tutta la loro forza nell’assenza di un potere militare forte (sono gli anni in cui Pompeo è impegnato nelle guerre in Oriente) e dei quali la congiura è lo specchio.
Più che la conversione "popolare" di Catilina è opportuno mettere in rilievo altri fatti. Il primo è che fu proprio la nobilitas a impedire almeno due volte e con mezzi disinvolti a un suo esponente di accedere al consolato e che quindi solo dopo le candidature legali Catilina si decise per il colpo di stato; ancora più importante è che in occasione di un processo de repetundis (concussione) nel 65 a.C., vale a dire solo due anni prima della congiura, Catilina era ancora legato all’aristocrazia, era difeso da Cicerone in persona, ma comunque veniva assolto dal "popolare" Cesare che presiedeva la giuria. Anche l’alleanza elettorale per le elezioni del 64 a.C. con Gaio Antonio Hybrida (poi collega di Cicerone nel famoso consolato del 63 a.C.), sillano, aristocratico e nelle stesse critiche condizioni di Catilina, non sembra coincidere con un programma popolare. Quel che emerge da questi dati è insomma l’esistenza di più di un partito all’interno del senato stesso e di legami ambigui, si direbbe oggi "trasversali", tra esponenti delle due fazioni dei popolari e degli ottimati. In questa ambiguità che la congiura risalisse al 64 a.C. (come fa credere Sallustio), o che, come pensano i moderni (Syme in testa), sia stata innescata nel 63 a.C. dopo l’ennesima sconfitta nelle elezioni poco importa. Fu solo infatti nel 63 a.C. che confluirono intorno a Catilina degli elementi sovversivi provenienti dal proletariato rurale indebitato e dalle fila dei nobili in rovina, lontani questi ultimi dai populares stessi, ma a ogni modo nemici giurati di ogni creditore e possidente. La famosa seduta in senato del 5 dicembre del 63 a.C. (De Catilinae coniuratione L-LIV), nella quale si dibatté della condanna a morte dei catilinari, mostra nelle sue differenti opinioni la presenza di più correnti all’interno dell’aristocrazia non riconducibili a programmi politici ben definiti. La politica dell’età della rivoluzione romana si rivela al solito come un insieme complicato di istanze sociali ed economiche di ceti contrapposti, di rivalità tra ordini, ma soprattutto di ambizioni, di interessi personali, di demagogia e di gelosie o amicitiae tra nobili: l’assenza in Catilina di un programma popolare preciso, l’oscillazione tra le amicizie aristocratiche (Crasso e Cesare) e la disperazione estrema del suo colpo di stato stanno a testimoniarlo.
Catilina ebbe la sfortuna di imbattersi in un console, Cicerone, che non solo ne rivelò le trame e le annientò, ma che nelle Catilinarie lo dipinse con le tinte più cupe dell’oratoria politica romana. La sua sfortuna fu aggravata dal fatto che Sallustio, lo storico che ne narrò la celebre congiura, lo presentò come esempio del degrado morale e politico a cui la superbia della nobilitas aveva condotto Roma. I veementi attacchi dell’oratore insistono con ostinazione sul dissidio tra legalità e illegalità, tra il comportamento suo e del senato e quello dei seguaci di Catilina, mentre lo storico vede nella congiura l’esito più tragico della lotta dei populares contro gli optimates e un momento esemplare nella crisi morale dello stato. Benché Cicerone e Sallustio militassero in due fronti politici contrapposti, il loro moralismo mostra una significativa convergenza verso gli ideali di moderazione dei boni cives, il ceto dei possidenti, interessati a una risoluzione pacifica delle lotte civili e al ripristino della legalità.
La congiura al di là di Sallustio
Analisi moderne dipingono invece la congiura di Catilina come uno dei tanti episodi di violenza politica della storia romana dai Gracchi in poi: l’alto numero di processi de vi (la violenza politica) lo testimonia; Catilina non è l’unico ad aver sfruttato per fini personali la presenza in Roma di vere e proprie squadracce di facinorosi. Personaggi come Clodio, il celebre nemico di Cicerone negli anni cinquanta del secolo, il fratellastro della Lesbia di Catullo, non dovettero essere troppo dissimili da Catilina: lo provano la stessa nobiltà dei natali, una carriera politica all’ombra di un potente (per Clodio è Cesare), l’oscillazione tra legalità e illegalità, l’insofferenza per i costumi tradizionali e infine la tragica morte.
Anche la visione di un Catilina rivoluzionario popolare va ridimensionata: sulla scorta di Sallustio (De Catilinae coniuratione, 33) alcuni storici si sono spinti a parlare di una conversione del nobilissimo Catilina alla causa dei populares, con il relativo e coerente programma di tabulae novae (abolizione dei debiti), di leggi agrarie, di dittatura, di riscatto dei miseri. In realtà la semplice dinamica della lotta tra populares e optimates si rivela insufficiente a capire quegli interessi personali e quei fermenti politici e sociali che emergono in tutta la loro forza nell’assenza di un potere militare forte (sono gli anni in cui Pompeo è impegnato nelle guerre in Oriente) e dei quali la congiura è lo specchio.
Più che la conversione "popolare" di Catilina è opportuno mettere in rilievo altri fatti. Il primo è che fu proprio la nobilitas a impedire almeno due volte e con mezzi disinvolti a un suo esponente di accedere al consolato e che quindi solo dopo le candidature legali Catilina si decise per il colpo di stato; ancora più importante è che in occasione di un processo de repetundis (concussione) nel 65 a.C., vale a dire solo due anni prima della congiura, Catilina era ancora legato all’aristocrazia, era difeso da Cicerone in persona, ma comunque veniva assolto dal "popolare" Cesare che presiedeva la giuria. Anche l’alleanza elettorale per le elezioni del 64 a.C. con Gaio Antonio Hybrida (poi collega di Cicerone nel famoso consolato del 63 a.C.), sillano, aristocratico e nelle stesse critiche condizioni di Catilina, non sembra coincidere con un programma popolare. Quel che emerge da questi dati è insomma l’esistenza di più di un partito all’interno del senato stesso e di legami ambigui, si direbbe oggi "trasversali", tra esponenti delle due fazioni dei popolari e degli ottimati. In questa ambiguità che la congiura risalisse al 64 a.C. (come fa credere Sallustio), o che, come pensano i moderni (Syme in testa), sia stata innescata nel 63 a.C. dopo l’ennesima sconfitta nelle elezioni poco importa. Fu solo infatti nel 63 a.C. che confluirono intorno a Catilina degli elementi sovversivi provenienti dal proletariato rurale indebitato e dalle fila dei nobili in rovina, lontani questi ultimi dai populares stessi, ma a ogni modo nemici giurati di ogni creditore e possidente. La famosa seduta in senato del 5 dicembre del 63 a.C. (De Catilinae coniuratione L-LIV), nella quale si dibatté della condanna a morte dei catilinari, mostra nelle sue differenti opinioni la presenza di più correnti all’interno dell’aristocrazia non riconducibili a programmi politici ben definiti. La politica dell’età della rivoluzione romana si rivela al solito come un insieme complicato di istanze sociali ed economiche di ceti contrapposti, di rivalità tra ordini, ma soprattutto di ambizioni, di interessi personali, di demagogia e di gelosie o amicitiae tra nobili: l’assenza in Catilina di un programma popolare preciso, l’oscillazione tra le amicizie aristocratiche (Crasso e Cesare) e la disperazione estrema del suo colpo di stato stanno a testimoniarlo.
Postato il 25 febbraio 2011
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