Per chi vuole pubblicare è inutile (e dannoso) mendicare l’aiuto degli esperti. Anche perché farsi leggere costa caro ...
di Massimiliano Parente
Non ho idea di quanti manoscritti ci siano nei cassetti degli italiani, ma io ho la mail e l’account di Facebook intasati da aspiranti scrittori. Questa è, per ogni scrittore, una disgrazia quotidiana simile alle emorroidi, o a una biblica invasione di cavallette. Tanti hanno tentato di risolvere il problema, nessuno ci è riuscito, e io devo trovare una soluzione, non esistendo nessun articolo della Convenzione di Ginevra al riguardo, ho controllato. In genere basta leggere le lettere di presentazione per doversi sforzare anche solo per dare una risposta gentile con cui togliersi d’impaccio. Senza contare le lettere che mi vengono girate dalla fin troppo premurosa segreteria del Giornale , l’ultima della quali inizia con «Gentilissimo dottor Parente», si profonde in dichiarazioni di stima, mi chiede di leggere «un libro scomodissimo », e dopo essermi sciaguratamente incuriosito e preso l’incombenza di prendere in visione tale libro scomodissimo, al mio disinteressato consiglio di smettere di scrivere e cominciare a leggere, eccomi trasformato in «pezzo di merda, pallone gonfiato, infimo essere presuntuoso, orribile scracco di verme schifoso». Non date mai retta a chi dice di stimarvi, la stima dichiarata è la più alta forma di disprezzo umano, chi vi stima ve lo dimostra dimostrandovi di avervi riconosciuto. Invece c’è chi crede di andare sul sicuro proponendomi di leggere riscritture bianciardiane, come se a me fosse mai fregato niente dello stesso Bianciardi originale, o richiamandosi a Flavio Santi, il quale a sua volta mi fa scrivere da un De Santis, che a sua volta per consigliarmi Santi si richiama di nuovo a Bianciardi, incredibile.C’è chi crede di commuovermi proponendomi i libri di una che scrive in una foresta e lascia i suoi libri di poesia nel tronco cavo di un albero, ignorando quanto io odi la natura e la poesia.C’è chi mi manda romanzi di destra prendendomi per uno scrittore di destra, chi romanzi di sinistra prendendomi per uno scrittore di sinistra, mai nessuno che scriva a me perché abbia letto i miei libri e abbia almeno una ragione letteraria per rivolgersi a Parente e non, per esempio, a Lagioia. C’è perfino chi mi manda libri spirituali, buttando lì, per ammiccare, il nome di Vito Mancuso o Antonio Socci, non sapendo che odio a tal punto la superstizione religiosa da smettere di leggere qualsiasi libro che contenga la parola «anima»,figuriamoci se ce l’ha già stampata nel titolo. L’aspirante tipico ti chiede udienza genericamente, non sapendo niente di te a torto, ma se gli rispondi genericamente, non sapendo niente di lui a ragione, si offende. In sostanza gli aspiranti scrittori vogliono essere letti ma non sono neppure tuoi lettori, anzi in genere non hanno mai letto niente di importante, per questo scrivono. È inutile specificargli che non sono un editore, né un agente letterario, né un consulente editoriale, perché dovrei occuparmi di loro? È inutile spiegare di essere già occupato, molto occupato, a scrivere le mie opere, a leggere i libri che mi interessano, e mi servono appunto per scrivere le mie opere. È inutile precisare che il tempo rimanente scrivo per il Giornale , e non ne resta altro libero neppure per vivere, solo per le minime attività vitali, giocare alla X-box, comprare applicazioni per l’iPhone, misurarmi la pressione, non procreare, prendere farmaci per prevenire le malattie, andare sui siti porno e mandare sms feticisti a Barbara D’Urso, così gentile da rispondermi sempre («Problemi grossi, eh?»). È pur vero, cari e odiati aspiranti, che non potendo essere i nuovi me, perché sono ancora vivo, ci sarà almeno una possibilità su un miliardo che voi siate il nuovo Proust, e nel caso vi leggerei di corsa e farei di tutto per farvi pubblicare inventandomi un potere editoriale oltre le mie scarse possibilità. Sebbene, attenzione, quando leggete per sbaglio un mio articolo in cui parlo male del triste mondo editoriale e cito i geni rifiutati, da Kafka a Morselli a Moresco, statisticamente non identificatevi, non sto parlando di voi. Sappiate che essere respinti non è prova di niente, solo dell’essere stati respinti, e quasi sempre a ragione, non a torto. Tuttavia, per venirmi incontro e tutelare la mia salute mentale venendo incontro anche a voi e alla vostra salute mentale, ho escogitato questa modesta proposta: volete essere letti? Pagatemi. Se siete così convinti di voi o così masochisti, se proprio non potete resistere, mandatemi quello che volete desiderate farmi leggere, e vi prometto che lo leggerò. Ho fissato il costo di una mia lettura a venti euro a cartella, per dattiloscritti di minimo cento cartelle. Non sono caro, credetemi, e se ritenete di sì almeno avrete un buon motivo per iniziare la vostra lettera con: caro Parente. Mi sembra comunque più economico di un set di creme dimagranti di Wanna Marchi che non fanno dimagrire, di un filtro d’amore che non farà innamorare nessuno, di una pubblicazione a pagamento che non andrà da nessuna parte, e è quanto chiedo, quando capita, per andare a parlare dieci minuti in televisione, e sottratte le spese, le tasse e la ritenuta d’acconto alla fine non posso permetterci neppure una notte con Patrizia D’Addario. È anche quanto vi chiederebbe, più o meno,un’agenzia letteraria, la quale vi manderà un’anonima scheda dilettura e non una mia lettera autografa che, se letterariamente non siete niente, come feticcio da conservare per i posteri è meglio di niente. Inoltre, avendo pagato, non sarete così propensi a insultarmi dopo, nel caso probabile di un giudizio negativo, e anche se doveste farlo il vostro esborso mi avrà messo di buon umore, insultatemi pure, lo metterò in conto. Nel caso in cui invece voi foste davvero gli eredi Proust o Sterne o Faulkner o i miei stessi eredi e volete seppellirmi vivo, se insomma avrete davvero prodotto un’opera d’artee non l’ennesimo spreco di carta e mediocri ambizioni, mi impegno a restituirvi subito il denaro con gli interessi e a fare di tutto per farvi pubblicare. Se avete un minimo di buon senso tenete tuttavia presente, in linea di massima e di principio, che nella maggior parte deicasi il posto migliore dove possa stare il vostro manoscritto nel cassetto è proprio lì, nel vostro cassetto, per questo si chiama manoscritto nel cassetto.
«Il Giornale» del 7 febbraio 2011
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