Dell’artista riscoperto un secolo fa si sa per paradosso meno oggi che nel recente passato. Una mostra con documenti e opere conferma le molte incertezze sulla sua nascita e sulla sua morte
di Maurizio Cecchetti
La sintesi del problema è tutta in queste parole di Alvar González-Palacios del 1988: «La storia dell’arte è noiosa. Deve per forza esserlo in quanto, se corretta e veritiera, essa si deve basare sulla disamina accurata e l’esposizione lucida e organizzata di fatti precisi. Questi fatti sono il frutto di ricerche di documenti e di carte che consentano di stabilire con sicurezza il susseguirsi di avvenimenti storici, la gestazione, la committenza o la provenienza delle opere. Chiarire tutto ciò può essere avvincente ma questo resoconto, che deve appoggiarsi in modo ordinato a precisi dati, non sarà mai divertente, nemmeno nelle mani di uno scrittore di talento. Non la storia dell’arte dunque ma piuttosto la critica d’arte può - talvolta - essere di gradevole lettura. Gli italiani amano la bellezza e il piacere ed è questa la principale ragione per cui la critica d’arte non è sempre attendibile nella nostra penisola». Punto e a capo. La storia dell’arte non deve essere romanzo, ma narrazione di fatti certi e attendibili. La critica d’arte può essere romanzo, ma sempre sulla base di fatti certi e attendibili, e può dare spazio al «paradigma indiziario» come piace a Carlo Ginzburg. La storia del caso Caravaggio è tutta compresa tra queste due scelte disciplinari, ma il dato comune non cambia: documenti certi e attendibili (ma fra questi ci sono anche o soprattutto i quadri, non dimentichiamolo). È su questo postulato che muove la mostra di quadri e documenti Caravaggio a Roma. Una vita dal vero (da una idea di Eugenio Lo Sardo, a cura di Michele De Sivo e Orietta Verdi, catalogo De Luca).
González-Palacios ricordava anche la battuta sprezzante di Bernard Berenson: «Povero ragazzo, egli crede ai documenti» e notava che il giovane Longhi non era certo di avviso diverso, anzi: a proposito di Mattia Preti, nel 1913 Longhi in Critica figurativa pura chiudeva così: «Ora, un po’ di biografia di cronologia di documenti. Nacque nel 1613, morì nel 1699». Alla fine, Berenson e Longhi predicavano male ma razzolavano bene. E i discepoli? González-Palacios fu amico di due storici-critici d’arte della generazione successiva a quella di Longhi: Testori e Zeri. Di Testori seguì, come editor, la pubblicazione da Feltrinelli del Gran teatro montano dove l’intreccio fra dati storici e critica d’impronta evocativa si fondono come nessun’altro è riuscito a fare nel Novecento; Zeri grande scrittore non fu mai, e ne era cosciente, perché, in fondo, era più interessato a collocare un’opera o un fatto dentro un’epoca o in una vicenda artistica ben precisa (con affondi nella storia materiale e uno sguardo sull’opera in quanto documento storico più che per l’eccellenza estetica).
Questa premessa per dire che su Caravaggio si è romanzato molto forse perché i documenti e i fatti certi scarseggiavano e a distanza di un secolo dalla sua riscoperta (il primo volume su Caravaggio di Lionello Venturi è del 1910 e la tesi di laurea di Longhi data 1911), si brancola nel buio per quanto riguarda gli anni giovanili in Lombardia (il cui contesto-regesto documentario è stato ricostruito con meticolosa cura da Giacomo Berra in un volume nel 2005), mentre la miriade di piccole informazioni emerse negli ultimi due decenni dagli archivi lombardi e romani, danno un consuntivo delineato laconicamente da Calvesi in apertura del catalogo: «Michelangelo Merisi da Caravaggio: nato a Milano (e non a Caravaggio) il 29 settembre 1571 e morto a Port’Ercole nel luglio 1610, in ospedale e non errabondo sul litorale (come un altro recente documento avrebbe rivelato, smentendo il perfido Baglione: 'Morì malamente come malamente havea vivuto')». In fondo, questi sono attualmente i dati più certi della biografia di Caravaggio: i documenti che vengono presentati in questa mostra romana, aggiungono alcune informazioni che autorizzano ipotesi tutte da sviluppare o verificare: Caravaggio parlava 'alla lombarda', inoltre il suo arrivo a Roma andrebbe spostato in avanti di due o tre anni, verso il 1595, il che solleva domande su quel breve lasso di tempo: viaggiò fuori della Lombardia?
Dove, a Venezia per esempio? Mi è sempre sembrato incredibile che un artista che dipingeva quasi senza studi grafici, se non alcune linee guida tracciate sull’imprimitura ancora fresca, non avesse mai sentito il desiderio di recarsi sul luogo dove per oltre un secolo si era dipinto nel modo per lui forse più intrigante, almeno dopo il carico di esperienze avute in lombardia. I documenti dell’Archivio di Stato aprono altre piccole finestre, ma quel che si deve notare è il cambio di prospettiva avvenuto nella conoscenza di Caravaggio. Con Venturi, Longhi, Berenson, Berne-Joffroy, Bologna si cercavano nei documenti conferme a ipotesi critiche nate sull’analisi dei quadri, talvolta azzardando attribuzioni poi cadute. Dopo le ricerche della Cinotti, dopo le analisi iconologiche e le induzioni storiche di Calvesi, la ricerca su Caravaggio si è mossa con attribuzioni spesso avventate (a cominciare dal Cavadenti) o, viceversa, bramando il documento che confermi o smentisca in modo netto il ritratto che finora ne abbiamo, mentre non sono emerse nuove interpretazioni critiche fondate sull’analisi dello stile e sul confronto con il contesto pittorico nel quale lavorò (come mai, per esempio, non sentì mai il bisogno di ritornare al Nord, ma viaggiò sempre su rotte meridionali e mediterranee?). Una cosa è certa e in qualche modo anche sconfortante: i 'quesiti caravaggeschi' che Claudio Strinati enumera nel lungo saggio in catalogo possono spingere a dire che, in fondo, un secolo dopo la riscoperta di Caravaggio, la sua opera e la sua figura ci sono meno chiari oggi di quanto non fosse anche solo venti o trent’anni fa. E questo proprio perché i documenti più che chiarire sollevano nuovi dubbi sulla sua biografia e sulla sua personalità. Credo che la sentenza più giusta oggi sia dello stesso Strinati, quando scrive «nel caso di Caravaggio chi non si aspetta l’inaspettato non scoprirà mai la verità». Che potrebbe anche voler dire: chi non segue sentieri non programmati di ricerca non arriverà mai a un ritratto credibile di lui e della sua pittura.
Roma, Archivio di Stato, CARAVAGGIO A ROMA (fino al 15 maggio)
González-Palacios ricordava anche la battuta sprezzante di Bernard Berenson: «Povero ragazzo, egli crede ai documenti» e notava che il giovane Longhi non era certo di avviso diverso, anzi: a proposito di Mattia Preti, nel 1913 Longhi in Critica figurativa pura chiudeva così: «Ora, un po’ di biografia di cronologia di documenti. Nacque nel 1613, morì nel 1699». Alla fine, Berenson e Longhi predicavano male ma razzolavano bene. E i discepoli? González-Palacios fu amico di due storici-critici d’arte della generazione successiva a quella di Longhi: Testori e Zeri. Di Testori seguì, come editor, la pubblicazione da Feltrinelli del Gran teatro montano dove l’intreccio fra dati storici e critica d’impronta evocativa si fondono come nessun’altro è riuscito a fare nel Novecento; Zeri grande scrittore non fu mai, e ne era cosciente, perché, in fondo, era più interessato a collocare un’opera o un fatto dentro un’epoca o in una vicenda artistica ben precisa (con affondi nella storia materiale e uno sguardo sull’opera in quanto documento storico più che per l’eccellenza estetica).
Questa premessa per dire che su Caravaggio si è romanzato molto forse perché i documenti e i fatti certi scarseggiavano e a distanza di un secolo dalla sua riscoperta (il primo volume su Caravaggio di Lionello Venturi è del 1910 e la tesi di laurea di Longhi data 1911), si brancola nel buio per quanto riguarda gli anni giovanili in Lombardia (il cui contesto-regesto documentario è stato ricostruito con meticolosa cura da Giacomo Berra in un volume nel 2005), mentre la miriade di piccole informazioni emerse negli ultimi due decenni dagli archivi lombardi e romani, danno un consuntivo delineato laconicamente da Calvesi in apertura del catalogo: «Michelangelo Merisi da Caravaggio: nato a Milano (e non a Caravaggio) il 29 settembre 1571 e morto a Port’Ercole nel luglio 1610, in ospedale e non errabondo sul litorale (come un altro recente documento avrebbe rivelato, smentendo il perfido Baglione: 'Morì malamente come malamente havea vivuto')». In fondo, questi sono attualmente i dati più certi della biografia di Caravaggio: i documenti che vengono presentati in questa mostra romana, aggiungono alcune informazioni che autorizzano ipotesi tutte da sviluppare o verificare: Caravaggio parlava 'alla lombarda', inoltre il suo arrivo a Roma andrebbe spostato in avanti di due o tre anni, verso il 1595, il che solleva domande su quel breve lasso di tempo: viaggiò fuori della Lombardia?
Dove, a Venezia per esempio? Mi è sempre sembrato incredibile che un artista che dipingeva quasi senza studi grafici, se non alcune linee guida tracciate sull’imprimitura ancora fresca, non avesse mai sentito il desiderio di recarsi sul luogo dove per oltre un secolo si era dipinto nel modo per lui forse più intrigante, almeno dopo il carico di esperienze avute in lombardia. I documenti dell’Archivio di Stato aprono altre piccole finestre, ma quel che si deve notare è il cambio di prospettiva avvenuto nella conoscenza di Caravaggio. Con Venturi, Longhi, Berenson, Berne-Joffroy, Bologna si cercavano nei documenti conferme a ipotesi critiche nate sull’analisi dei quadri, talvolta azzardando attribuzioni poi cadute. Dopo le ricerche della Cinotti, dopo le analisi iconologiche e le induzioni storiche di Calvesi, la ricerca su Caravaggio si è mossa con attribuzioni spesso avventate (a cominciare dal Cavadenti) o, viceversa, bramando il documento che confermi o smentisca in modo netto il ritratto che finora ne abbiamo, mentre non sono emerse nuove interpretazioni critiche fondate sull’analisi dello stile e sul confronto con il contesto pittorico nel quale lavorò (come mai, per esempio, non sentì mai il bisogno di ritornare al Nord, ma viaggiò sempre su rotte meridionali e mediterranee?). Una cosa è certa e in qualche modo anche sconfortante: i 'quesiti caravaggeschi' che Claudio Strinati enumera nel lungo saggio in catalogo possono spingere a dire che, in fondo, un secolo dopo la riscoperta di Caravaggio, la sua opera e la sua figura ci sono meno chiari oggi di quanto non fosse anche solo venti o trent’anni fa. E questo proprio perché i documenti più che chiarire sollevano nuovi dubbi sulla sua biografia e sulla sua personalità. Credo che la sentenza più giusta oggi sia dello stesso Strinati, quando scrive «nel caso di Caravaggio chi non si aspetta l’inaspettato non scoprirà mai la verità». Che potrebbe anche voler dire: chi non segue sentieri non programmati di ricerca non arriverà mai a un ritratto credibile di lui e della sua pittura.
Roma, Archivio di Stato, CARAVAGGIO A ROMA (fino al 15 maggio)
«Avvenire» del 22 febbraio 2011
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