02 febbraio 2011

Class action all’italiana: sogno quasi impossibile

In dodici mesi tanti annunci, ma un solo vero successo
di Viviana Daloiso
È entrata in vigore poco più di un anno fa, tra entusiasmi, aspettative e tante polemiche. Già allora, in effetti, della class action “all’italiana” si era già capito quasi tutto: ovvero, che presto sarebbe finita nel dimenticatoio. Poco importa se sui giornali e in tv se ne sia sentito parlare spesso: dal recente caso dei poveri automobilisti bloccati ore e ore sull’A1 a causa delle errate valutazioni meteo della Società Autostrade fino a quello delle famiglie penalizzate dai mutui alla francese (interessi prima del capitale) accesi dal gruppo Unicredit o dei pendolari siciliani lasciati a piedi dai tagli di locomotive previsti da Trenitalia. L’azione legale di gruppo è rimasta un’etichetta: da appiccicare a un’ingiustizia per darle rilevanza, da staccare e riattaccare quando ne affiora un’altra.
Un anno “complicato” Attivare una class action è possibile dal 1° gennaio 2010, grazie all’articolo 140­ bis del Codice del consumo, secondo cui è possibile ricorrere a un unico pro­cesso per ottenere un risarcimento a un danno collettivo subìto da una azien­da o da un ente pub­blico. Sulla carta, si tratta di una straordinaria occasione per rendere effettiva la tutela dei comuni cittadini vittime di truffe, soprusi, pregiudizi, inadempimenti.
Nella realtà, le cose sono un po’ più com­plicate. Intanto perché a dare il via all’azio­ne, e presentare un ricorso al tribunale, dev’essere uno dei soggetti coinvolti. Gli al­tri cointeressati? Possono aderire, certo, e senza doversi rivolgere all’avvocato (cioè senza spese), ma soltanto dopo che il tribu­nale abbia dichiarato l’ammissibilità di quella class action. E qui iniziano i proble­mi, visto che se l’azione è dichiarata am­missibile il singolo cittadino dovrà anche pensare a pubblicizzarla (di tasca propria), se invece no, il cittadino sarà condannato a risarcire l’azienda o l’ente danneggiato (di tasca propria). Di qui lo sviluppo tutto “as­sociativo” della class action all’italiana: senza, cioè, l’appoggio, delle associazioni dei consumatori (Codacons, Adiconsum, Abusdef...) i cittadini non vanno da nessu­na parte.
Una vittoria (e mezzo) I numeri delle azio­ni di classe, d’altronde, parlano chiaro. Da gennaio scorso a oggi un solo procedimen­to avviato contro un’azienda privata è stato dichiarato ammissibile (si stanno ancora raccogliendo le adesioni), mentre uno solo avviato contro la pubblica amministrazio­ne è stato vinto: entrambi hanno visto pro­tagonista il Codacons. Nel primo caso si tratta della “causa” contro il test fai-da-te per l’influenza suina, pubblicizzato l’anno scorso dalla Voden Medical Instruments Spa. La pubblicità dell’'Ego test flu' (questo il nome del kit) secondo i giudici era al­larmistica e presentava caratteristiche che in realtà il prodotto non aveva: di qui l’ok – datato fine dicembre 2010 – alla prima cau­sa collettiva italiana. Ora c’è tempo fino alla metà di aprile (i 120 giorni previsti dalla legge) per sottoscriverla: peccato che i cittadini di tutt’Italia possano farlo solo pres­so la cancelleria del tribunale che si è occu­pato della causa (quello di Milano) e, ovvia­mente, solo se in grado di dimostrare di a­ver acquistato il test (con uno scontrino di 13 euro circa, risalente a un anno fa). Diver­so il caso delle “classi pollaio”, l’azione col­lettiva accolta proprio una settimana fa dal Tar del Lazio, forse la prima class action an­data davvero in porto nel nostro Paese. L’a­zione del Codacons si era mossa contro un ente pubblico, il ministero dell’Istruzione, per quelle aule scolastiche in cui il numero di alunni supera i limiti fissati dalla legge, con danno per la sicurezza di studenti e in­segnanti. E proprio perché condotta contro un ente pubblico, da cui la legge non pre­vede la possibilità di ottenere risarcimenti in denaro, per questa class action non si è passati attraverso l’ammissibilità: è stata accolta e ora il ministero dovrà provvedere (sempre entro 120 giorni) a riorganizzare il piano edilizio scolastico, correggendosi.
Centouno proposte: due contro centinaia.
Le class action in attesa di essere dichiarate ammissibili, oppure semplicemente an­nunciate ma mai davvero arrivate in un tri­bunale, sono tantissime. Le raccoglie un re­gistro, consultabile online, promosso dal Sindacato italiano per la tutela dell’investi­mento e del risparmio e di fatto sostenuto da tutte le associazioni di consumatori pre­senti sul territorio, e non solo (nell’elenco figurano tra gli altri anche l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, Telefono Blu, Green­peace, Wwf, Federa­zione delle Associa­zioni antiracket antiusura italiane). Si va dalla class action annunciata contro la clinica Santa Rita di Milano da parte dei pazienti danneggiati a quella contro le compagnie petrolifere per gli aumenti indiscriminati della benzi­na che penalizzano gli automobilisti fino a quella contro la Questura e la Provincia di Roma per il mancato rilascio dei permessi di soggiorno per immigrati di lungo perio­do entro 90 giorni dalla presentazione della domanda o a quella contro le multinazio­nali del tabacco per i danni alla salute dei giovani. Annunci, appunto, spesso roboan­ti, fatti per incutere timore a chi di dovere o per dare risalto a cause trascurate dall’opi­nione pubblica e dai media. Annunci sol­tanto, però. Almeno fino ad ora.
In un anno l’unico procedimento ammesso contro un’azienda privata riguarda il test fai-da-te per l’influenza suina A dicembre accolta l’iniziativa di un gruppo di cittadini contro le 'classi pollaio'. Adesso il ministero dovrà correre ai ripari
«Avvenire» del 2 febbraio 2011

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