Brano tratto da C. Bologna - P. Rocchi, Rosa fresca aulentissima, vol. 3 (dal Barocco all’Età dei Lumi)
Il rifiuto della linea retta
L’architettura barocca rifiuta il prevalere della linea retta, che aveva dominato l’epoca precedente: le piante rettangolari (o a croce) sono sostituite da quelle ellittiche, alle facciate delle chiese viene trasmesso il movimento, si cerca di eludere la staticità degli elementi architettonici. Ma le strade percorse per giungere a questi risultati sono diverse, e talvolta contrastanti, come nel caso esemplare dei due maggiori esponenti del Barocco italiano, Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) e Francesco Borromini (1599-1667), tradizionalmente rappresentati quali protagonisti di una rivalità acerrima, che è, in realtà, la dimensione “leggendaria” attribuita a un’effettiva divergenza di visioni.
Bernini scultore ed architetto
Bernini fu architetto e scultore di grande fama, perfettamente integrato, eletto da Urbano VIII (1623-44) ad artista prediletto, amico di Giambattista Marino, apprezzato anche nella potentissima Francia dí Luigi XIV. Tra le opere che Urbano vtii gli commissionò, il Baldacchino di san Pietro (1624) è certo tra le più significative, «autentico manifesto della nuova arte per l’adozione delle colonne tortili» e per «il movimento impresso alla trabeazione [l’insieme degli elementi orizzontali sostenuti dalle colonne] e gli effetti cromatici del bronzo» (A. Chastel).
Alla struttura statica della colonna tradizionale si sostituisce dunque, nel complesso scultoreo, la dinamica di una colonna che sembra avvitarsi su se stessa, simulando uno slancio spirale. In parte diverso è invece l’atteggiamento del Bernini architetto, che resta legato, nel disegno delle facciate, a strutture e linee essenzialmente classiche, affidando all’alternanza di chiari e scuri, ovvero al gioco di luci ed ombre, la simulazione del movimento. E ugualmente un principio di movimento a ispirare il disegno ellittico di piazza San Pietro, realizzato da Bernini su commissione di papa Alessandro VII (1655-67): un movimento orizzontale deforma, per dilatazione, il cerchio in ellissi. Ma è soprattutto la disposizione delle colonne intorno alla piazza in quattro file parallele, lungo due emicicli, a simulare davanti agli occhi dello spettatore un movimento la cui apparenza è in realtà generata dallo spostarsi dello spettatore stesso lungo il colonnato.
Le soluzioni estreme di Borromini
Più estreme furono le soluzioni adottate da Borromini, aperte a una prospettiva dinamica che ancora suscita grande interesse nella nostra età contemporanea (si pensi solo all’attività dell’architetto americano Frank Gehry, cui si deve, tra le altre cose, lo straordinario museo Guggenheim di Bilbao). Per usare le parole di un grande scrittore italiano del Novecento, Carlo Emilio Gadda (1893-1973), «I rettangolari architetti farebbono cipria del Borromini, come di colui che rettangolare non è, ma cavatappi». Senza esitazioni Borromini, che non rinuncia al raffinato gioco di luce ed ombra, trasmette il movimento alla struttura architettonica disegnando facciate in cui domina il succedersi di forme concave e convesse. L’Oratorio dei Filippini (in piazza della Chiesa Nuova a Roma) è esemplare di questo modo in cui il movimento viene trasmesso alla strutura, non solo forzando la staticità della facciata, ma persino rompendo quella degli angoli, non più retti, appunto, ma resi “fluidi” dalla linea curva. La stessa linea curva che nella realizzazione spiraliforme, a «cavatappi», della lanterna della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza consente uno slancio verso l’alto, in equilibrato sistema di simmetrie, in cui la materia sembra quasi liberarsi del suo peso.
Postato il 9 febbraio 2011
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