Brano tratto dal De rerum natura, IV 1121-1174
di Tito Lucrezio Caro
Il contenuto. Il libro IV tratta della conoscenza, che nella gnoseologia epicurea è affidata principalmente alla sensazione, determinata da immagini composte da atomi (eídola, in latino idóla o simulacra), che riproducono senza errore la struttura del corpo da cui si staccano. Il tema dell'amore rientra nell'argomento del libro in quanto gli impulsi erotici dipendono dall'azione dei simulacra sugli organi sessuali. Dopo aver trattato dell'origine fisiologica dell'amore e dei turbamenti provocati dall'insaziabilità di questo sentimento simile alla follia, il poeta passa a descrivere le conseguenze nefaste della passione. Dannoso per la salute e per le sostanze, l'amore cancella con le sue amarezze il godimento di ogni altro piacere della vita. Chi ama perde ogni obiettività di giudizio di fronte all'oggetto del suo sentimento e giunge al punto di elogiarne i difetti, perduto in un delirio insensato.
Il significato. L'obiettivo polemico di Lucrezio non è l'amore fisico, forza generatrice già esaltata nel proemio, ma la cecità della passione, che semina turbamento nella vita, distoglie dall'ataraxía, insomma aliena l'amante dalla sua stessa libertà spirituale. Gli epicurei reputano l'amore un desiderio naturale, che merita di esser soddisfatto nel modo più elementare mediante incontri occasionali alla maniera di Orazio, ma senza preclusione verso rapporti più stabili: nel finale del libro (vv. 1278-1287) Lucrezio giunge a prospettare, forse con una punta di ironia, la tranquilla intimità della vita familiare.
La galleria dei difetti femminili appartiene alla tradizione satirica misogina e vuole essere un antidoto al furor di amanti accecati dalla passione; il tema della servitù d'amore prospetta in luce negativa un atteggiamento proprio della poesia erotica, presente in Catullo e negli elegiaci; lo sconvolgimento psicofisico della passione coglie aspetti dell'amore «che scioglie le membra», già presente nei lirici greci Archiloco e Saffo. Lucrezio sa armonizzare tutte queste suggestioni in una composizione strutturalmente robusta, nella quale la polemica, talora aspra, rientra nei temini della morale epicurea, con il suo tentativo di esorcizzare i mostri della passione.
La lingua e lo stile. Nel descrivere gli effetti deleteri della passione, Lucrezio fa uso di toni accesi e violenti e di una feroce ironia. Ne deriva un andamento estrema-mente vivace e drammatizzato, che sfrutta i topoi della tradizione moralistica, indulgendo soprattutto agli aspetti decorativi dei tormenti insensati degli amanti per aggiungere colore a un sentimento che altro non è che il prodotto fisico dell'interazione reciproca di atomi di materia.
Sotto il profilo linguistico si distinguono soprattutto i vv. 1160-1169, infarciti di grecismi volutamente mantenuti per connotare la caricatura degli amanti, riproducendo quello che doveva essere una sorta di linguaggio della galanteria.
Postato il 12 febbraio 2011
Nessun commento:
Posta un commento