01 febbraio 2011

A scuola non si esce dalla mediocrità

Una risposta ad Andrea Carandini
di Alfonso Berardinelli
La soluzione possono trovarla solo singoli insegnanti e studenti che devono essere anche autodidatti
Il tema toccato da Andrea Carandini nel suo articolo di domenica scorsa somiglia a un conduttore elettrico ad alta tensione: chi lo tocca muore!, voglio dire che si mette un po’nei guai, perché se la nostra decadenza culturale è un fatto chiaro, è anche quel fatto che «non si deve» nominare, perché se lo fai ti piovono addosso le vecchie accuse di aristocraticismo, antiprogressismo, nostalgia del passato, incomprensione dei miracoli e dei regali della democrazia, delle nuove tecnologie, di Internet, ecc. Un giudizio negativo sulla cultura viene subito scambiato per giudizio negativo sulla società. Ma chi ritiene che leggere tutti i romanzi di quest’anno sia più democratico che leggere Dostoevskij, credo che si sbagli. In Occidente negli ultimi due secoli ci siamo molto occupati della società, del suo miglioramento, perfezionamento o rinnovamento radicale. Ci siamo invece occupati poco dell’uso, della cura e del destino della mente umana, di come trattarla e di cosa farne. Forse, prima che di materie di studio, gli insegnanti dovrebbero occuparsi di facoltà della mente e di come svilupparle nel modo migliore. L’arte di insegnare è una delle più difficili. E quindi una società decentemente consapevole dovrebbe per prima cosa concentrarsi sulla formazione e selezione degli intellettuali destinati all’insegnamento: socialmente i più preziosi, quindi anche i più pericolosi. Le persone dotate di forte senso morale di solito pensano che l’individuo e la mente debbano essere utili alla società, al suo bene. Non meno morale, credo, ma molto più trascurata, è l’idea opposta: che cioè una società dovrebbe funzionare per favorire lo sviluppo e la salute mentale dei singoli. Le liberaldemocrazie si fondano sul «libero pensiero» e sulla «libera scelta» degli individui: ma sarà anche necessario dedicarsi a farli esistere, questi individui, capaci di quanto si richiede loro in linea di principio. Una delle migliori palestre di antipensiero sono oggi, soprattutto in Italia, i partiti politici. Quando ci si lamenta dell’istupidimento del dibattito pubblico si sfiora l’argomento, ma si manca il bersaglio. I dibattenti non sono affatto stupidi: sono abili e furbissimi manipolatori dell’argomentazione, che dicono sempre, a vuoto, una parte di verità, per poter sostenere meglio che il proprio schieramento ha comunque e in sostanza ragione, e quindi deve governare. Una società che crea questo genere di finto pensiero attraverso il megafono dei partiti, senza dubbio produrrà schieramenti avversi, destinati a durare inalterati per anni e decenni, ma demoralizzerà chi voglia capire e pensare «liberamente» in vista di una scelta personale. Psiche o cervello? Il Novecento, secolo delle psicologie del profondo, è finito. Nel Duemila sembra dominare lo studio del cervello e delle capacità cognitive. In queste periodiche alternanze degli interessi culturali c’è sempre qualcosa che somiglia all’avvicendarsi delle mode (anche lo strutturalismo e il marxismo furono in qualche misura semplici mode). Qualcuno potrebbe dire che l’insegnante che tenga presente la psiche degli studenti è portato alla dolcezza permissiva che salvaguarda il benessere del soggetto, mentre se si valorizza l’efficienza mentale si diventerà severamente selettivi, anaffettivi o peggio. Nella scuola così com’è non c’è soluzione a questi problemi. O meglio, la soluzione possono trovarla solo i singoli insegnanti (che valgono se imparano loro stessi qualcosa mentre insegnano) e i singoli studenti (che si salvano dalle disavventure scolastiche solo se sono anche autodidatti...). Segnalo infine un paradosso, che dovrebbe riconciliare e soprattutto far riflettere sia i cosiddetti «elitari» che i cosiddetti «democratizzatori». Nelle nostre società convivono mediocrità e snobismo. Diffondendo cultura e abbassandone il livello, non si è affatto eliminato il bisogno e il mito del superuomo intellettuale e del pensiero inarrivabile, lampeggiante, nonché sibillino, destinato a «uomini superiori». La nostra democrazia culturale, che valorizza il trash e canonizza romanzieri e filosofi stagionali, sogna d’altra parte l’eccelso, l’eccezione, la follia geniale. In politica il leader carismatico è il più amato dalle «mediocri» masse. Nell’alta cultura, i docenti universitari sognano di presentare prima o poi in tv il loro bestseller narrativo.
«Corriere della sera» del 25 gennaio 2011

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