di Fulvio Panzeri
Bisognerà prima o poi rifare i conti anche con un 'classico' poco conosciuto della letteratura italiana, quel Giuseppe Rovani che attraverso il suo romanzo Cento anni sembra offrire spunti e occasioni di gran valore alla letteratura di oggi.
Dopo Marta Morazzoni che aveva tratto da una figura citata dal Rovani l’idea per il suo ultimo romanzo, La nota segreta, ora Maurizio Cucchi, al suo terzo romanzo, in libreria la prossima settimana, prende a prestito dallo scrittore milanese il titolo e un’immagine, quella della maschera- ritratto che era un’usanza, in voga tra Sette e Ottocento, che trovava persone disposte a far dipingere la maschera di una persona nota del proprio tempo per poi far stupire o anche impaurire ignari spettatori. E la maschera-ritratto diventa emblema di una ricerca che Cucchi conduce con grande sapienza narrativa, in una costruzione che si avvale di tagli cinematografici, soprattutto nella prima parte, quando ricostruire un’infanzia tra la Bovisa e quel territorio che si estende tra la Brianza e il Ticino e lo fa rimandando al Tessa, grande scrittore anche in prosa, dove il bianco e nero di una pellicola sfocata accompagna i lettori, nel muoversi dei flashback, tra gli interni poveri di una periferia milanese anni Cinquanta, le gite fuori porta, i treni delle Nord che portano ad Inverigo, la presenza di un padre che si è ucciso.
Il romanzo diventa un’indagine sulle proprie radici, sull’identità di se stessi, in rapporto anche alla figura della madre anziana, di ciò che dice e di ciò che cela in sé, delle sue parole e dei suoi silenzi, un silenzio che la accompagnerà anche dopo la morte, perché il romanzo si chiude sulla considerazione che, nonostante tutto, ognuno è un mistero anche per se stesso. La madre che muore diventa emblema di questa vicinanza alla verità che il destino e la morte, inesorabilmente, le negano: «Se n’è andata così, all’oscuro di tutto, come sempre, come ognuno di noi».
La misura breve del libro è condizione favorevole per dare intensità a questa storia, in cui Cucchi riesce a mettere in luce quella valenza di sentimenti non esasperati, vissuti dentro la forma delle cose (le case, le stanze abitate, le vecchie foto, i ritratti, frammenti di ricordo) che il narratore usa in un’ottica che è tutta interna alla poesia, preferendo il non detto al tutto esplicito e creando così una storia che intriga il lettore, e che porta in scena il bisogno di verità sulla propria storia personale e in essa il ruolo fondamentale che ha il padre.
Tema fortemente presente nella poesia di Cucchi, in questa 'variazione' in forma narrativa, assume una valenza nuova, visto che lo scrittore sa dare alla figura dell’io narrante, il carattere dell’urgenza, del bisogno interiore di far chiarezza in un passato in cui si muovono ombre e fantasmi. Sono alcune parole della madre, il bisogno di accondiscendere anche alla sua storia, a far decidere al figlio di compiere questo viaggio che lo porterà a Catania, sulle tracce del nonno. Qui la scrittura fa pensare meno a Tessa, visto che la tensione narrativa sembra avere un’accelerazione verso l’indagine morale, la scoperta di un’altra verità, quella del padre di suo padre, con quanto ne consegue, ma il cambio di prospettiva è funzionale ad un romanzo che si distingue per l’originalità di una voce e di una storia che cerca in un’anima inquieta le risposte. Restano però le domande, il bisogno anche di un padre, «il sempre più amato, l’ossessione, l’inarrivabile modello».
Dopo Marta Morazzoni che aveva tratto da una figura citata dal Rovani l’idea per il suo ultimo romanzo, La nota segreta, ora Maurizio Cucchi, al suo terzo romanzo, in libreria la prossima settimana, prende a prestito dallo scrittore milanese il titolo e un’immagine, quella della maschera- ritratto che era un’usanza, in voga tra Sette e Ottocento, che trovava persone disposte a far dipingere la maschera di una persona nota del proprio tempo per poi far stupire o anche impaurire ignari spettatori. E la maschera-ritratto diventa emblema di una ricerca che Cucchi conduce con grande sapienza narrativa, in una costruzione che si avvale di tagli cinematografici, soprattutto nella prima parte, quando ricostruire un’infanzia tra la Bovisa e quel territorio che si estende tra la Brianza e il Ticino e lo fa rimandando al Tessa, grande scrittore anche in prosa, dove il bianco e nero di una pellicola sfocata accompagna i lettori, nel muoversi dei flashback, tra gli interni poveri di una periferia milanese anni Cinquanta, le gite fuori porta, i treni delle Nord che portano ad Inverigo, la presenza di un padre che si è ucciso.
Il romanzo diventa un’indagine sulle proprie radici, sull’identità di se stessi, in rapporto anche alla figura della madre anziana, di ciò che dice e di ciò che cela in sé, delle sue parole e dei suoi silenzi, un silenzio che la accompagnerà anche dopo la morte, perché il romanzo si chiude sulla considerazione che, nonostante tutto, ognuno è un mistero anche per se stesso. La madre che muore diventa emblema di questa vicinanza alla verità che il destino e la morte, inesorabilmente, le negano: «Se n’è andata così, all’oscuro di tutto, come sempre, come ognuno di noi».
La misura breve del libro è condizione favorevole per dare intensità a questa storia, in cui Cucchi riesce a mettere in luce quella valenza di sentimenti non esasperati, vissuti dentro la forma delle cose (le case, le stanze abitate, le vecchie foto, i ritratti, frammenti di ricordo) che il narratore usa in un’ottica che è tutta interna alla poesia, preferendo il non detto al tutto esplicito e creando così una storia che intriga il lettore, e che porta in scena il bisogno di verità sulla propria storia personale e in essa il ruolo fondamentale che ha il padre.
Tema fortemente presente nella poesia di Cucchi, in questa 'variazione' in forma narrativa, assume una valenza nuova, visto che lo scrittore sa dare alla figura dell’io narrante, il carattere dell’urgenza, del bisogno interiore di far chiarezza in un passato in cui si muovono ombre e fantasmi. Sono alcune parole della madre, il bisogno di accondiscendere anche alla sua storia, a far decidere al figlio di compiere questo viaggio che lo porterà a Catania, sulle tracce del nonno. Qui la scrittura fa pensare meno a Tessa, visto che la tensione narrativa sembra avere un’accelerazione verso l’indagine morale, la scoperta di un’altra verità, quella del padre di suo padre, con quanto ne consegue, ma il cambio di prospettiva è funzionale ad un romanzo che si distingue per l’originalità di una voce e di una storia che cerca in un’anima inquieta le risposte. Restano però le domande, il bisogno anche di un padre, «il sempre più amato, l’ossessione, l’inarrivabile modello».
Maurizio Cucchi, La maschera ritratto, Mondadori, pp. 144, € 18,00
Alla sua terza prova in prosa, l’autore lavora sulle proprie radici, con un forte «io-narrante»
«Avvenire» del 5 febbraio 2011
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