05 febbraio 2011

Il poeta Cucchi tra maschere, ritratti e ossessione del padre

di Fulvio Panzeri
Bisognerà prima o poi rifare i conti anche con un 'classico' poco co­nosciuto della letteratura ita­liana, quel Giuseppe Rovani che attraverso il suo romanzo Cento anni sembra offrire spunti e occasioni di gran va­lore alla letteratura di oggi.
Dopo Marta Morazzoni che aveva tratto da una figura ci­tata dal Rovani l’idea per il suo ultimo romanzo, La nota segreta, ora Maurizio Cucchi, al suo terzo romanzo, in libre­ria la prossima settimana, prende a prestito dallo scrit­tore milanese il titolo e un’im­magine, quella della masche­ra- ritratto che era un’usanza, in voga tra Sette e Ottocento, che trovava persone disposte a far dipingere la maschera di una persona nota del proprio tempo per poi far stupire o anche impauri­re ignari spetta­tori. E la ma­schera-ritratto diventa emble­ma di una ricerca che Cuc­chi conduce con grande sa­pienza narrati­va, in una co­struzione che si avvale di tagli cinematografi­ci, soprattutto nella prima parte, quando ricostruire un’infanzia tra la Bovisa e quel territorio che si estende tra la Brianza e il Ticino e lo fa ri­mandando al Tessa, grande scrittore anche in prosa, dove il bianco e nero di una pelli­cola sfocata accompagna i lettori, nel muoversi dei flash­back, tra gli interni poveri di una periferia milanese anni Cinquanta, le gite fuori porta, i treni delle Nord che portano ad Inverigo, la presenza di un padre che si è ucciso.
Il romanzo diventa un’indagi­ne sulle proprie radici, sull’i­dentità di se stessi, in rappor­to anche alla figura della ma­dre anziana, di ciò che dice e di ciò che cela in sé, delle sue parole e dei suoi silenzi, un silenzio che la accompagnerà anche dopo la morte, perché il romanzo si chiude sulla considerazione che, nono­stante tutto, ognuno è un mi­stero anche per se stesso. La madre che muore diventa emblema di questa vicinanza alla verità che il destino e la morte, inesorabilmente, le negano: «Se n’è andata così, all’oscuro di tutto, come sem­pre, come ognuno di noi».
La misura breve del libro è condizione favorevole per da­re intensità a questa storia, in cui Cucchi riesce a mettere in luce quella valenza di senti­menti non esasperati, vissuti dentro la forma delle cose (le case, le stanze abitate, le vec­chie foto, i ritratti, frammenti di ricordo) che il narratore u­sa in un’ottica che è tutta in­terna alla poesia, preferendo il non detto al tutto esplicito e creando così una storia che intriga il lettore, e che porta in scena il bisogno di verità sulla propria storia personale e in essa il ruolo fondamentale che ha il padre.
Tema fortemente presente nella poesia di Cucchi, in questa 'varia­zione' in forma narrativa, assu­me una valenza nuova, visto che lo scrittore sa dare alla figura dell’io narrante, il carattere dell’urgenza, del bisogno interio­re di far chiarez­za in un passato in cui si muovo­no ombre e fan­tasmi. Sono al­cune parole del­la madre, il biso­gno di accondi­scendere anche alla sua storia, a far decidere al figlio di compiere questo viag­gio che lo porterà a Catania, sulle tracce del nonno. Qui la scrittura fa pensare meno a Tessa, visto che la tensione narrativa sembra avere un’accelerazione verso l’indagine morale, la scoperta di un’altra verità, quella del padre di suo padre, con quanto ne conse­gue, ma il cambio di prospet­tiva è funzionale ad un ro­manzo che si distingue per l’originalità di una voce e di una storia che cerca in un’a­nima inquieta le risposte. Re­stano però le domande, il bi­sogno anche di un padre, «il sempre più amato, l’ossessio­ne, l’inarrivabile modello».

Maurizio Cucchi, La maschera ritratto, Mondadori, pp. 144, € 18,00
Alla sua terza prova in prosa, l’autore lavora sulle proprie radici, con un forte «io-narrante»
«Avvenire» del 5 febbraio 2011

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