di Andrea Lavazza
Una caratteristica della filosofia, che la differenzia dalla scienza empirica, è data dal fatto che essa non può esibire un progresso lineare, in cui (almeno alcuni) problemi conoscitivi vengono affrontati, risolti e superati in quanto problemi. Ad esempio, certi paradossi logici che sfociano in un’apparente contraddizione continuano a essere veri rompicapo per i pensatori da almeno 2.500 anni e, ogni tanto, vengono riportati d’attualità dalle nuove soluzioni escogitate. Il filosofo cretese Epimenide ideò il seguente dilemma, noto come paradosso del mentitore: «Se affermo di mentire sto dicendo la verità? Se sì, sto mentendo, e quindi l’affermazione è falsa; ma se non sto dicendo la verità, sto mentendo, e dunque sto dicendo la verità. L’affermazione quindi è sia vera sia falsa». Ma da Aristotele in poi uno dei più rocciosi capisaldi del corretto ragionare è il principio di non contraddizione: non può essere vero x e il contrario di x. Inoltre, secondo la legge di Duns Scoto, «ex absurdo sequitur quodlibet»; ovvero, assumendo una contraddizione, se ne può dedurre qualsiasi cosa. Se allora non è accettabile il paradosso del mentitore, qualcosa non deve funzionare nel modo in cui è costruito. Ed è quello che logici e filosofi hanno tentato di dimostrare per secoli. Più di recente (ma non così di recente come ha sostenuto un articolo del «New York Times» ripreso in Italia da «Internazionale»), è stata avanzata un’altra proposta. La prospettiva nota come 'dialeteismo' (cioè la coesistenza di due verità, dal greco «di» –due – e «aletheia» – verità) intende affermare la possibilità che entrambi i termini di una contraddizione siano veri. E che il paradosso del mentitore rientri in questa classe. Secondo Graham Priest, principale esponente di questa prospettiva, non va rifiutata la logica classica, ma bisogna ammettere che esistano alcuni casi speciali di contraddizioni vere. L’argomentazione utilizza dimostrazioni formali di alta complessità, che attualmente, però, sono ben lontane dal risultare convincenti per molti logici professionali, i quali continuano a ritenere vero e falso mutuamente esclusivi. In particolare, le assunzioni del dialeteismo sembrano ancora più paradossali del problema che cercano di affrontare, facendo violenza alle nozioni diffuse di verità e falsità. La famiglia più vasta delle logiche paraconsistenti è comunque in espansione da alcuni decenni, a partire da situazioni in cui si debbono trarre inferenze deduttive attendibili da informazioni contraddittorie (ad esempio, un verdetto di tribunale da testimonianze che vanno una contro l’altra). Il filone principale ha preso il via dai lavori dell’argentino Asenjo, del brasiliano da Costa e di altri studiosi latinoamericani, per poi attirare l’attenzione più generale. Nel 2008 si è svolto a Melbourne il quarto congresso mondiale. Ciò che accomuna i vari fronti ricompresi sotto questa etichetta è il loro carattere non esplosivo, cioè il rifiutare il principio di Duns Scoto senza essere costretti ad ammettere qualunque conseguenza, e il trarre conclusioni informative da un’incoerenza. La loro rilevanza è crescente nei campi dell’informatica e della linguistica. Sul tema è disponibile in italiano un’utile antologia curata da F. Altea e F. Berto, «Scenari dell’impossibile. La contraddizione nel pensiero contemporaneo» (il Poligrafo, Padova).
«Avvenire» del 24 febbraio 2011
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