di A. R. Guerriero - N. Palmieri - E. Lugarini, Prisma. Vol. 3 - La letteratura del Seicento, La Nuova Italia, pp. 115-116
Giambattista Marino, Trasformazione di Dafne in lauro
Nel sonetto seguente Marino interpreta a suo modo la metamorfosi di Dafne, già narrata da Ovidio: un episodio denso di suggestioni per il gusto barocco, scelto come soggetto anche dallo scultore Gian Lorenzo Bernini. Il confronto fra la lirica di Marino e il gruppo marmoreo di Bernini consente di osservare come la poesia secentesca non rivaleggi solo con la pittura, ma anche con altre arti.
Stanca, anelante a la paterna riva,
qual suol cervetta affaticata in caccia,
correa piangendo e con smarrita faccia
la vergine ritrosa e fuggitiva.
E già l’acceso Dio che la seguiva,
giunta omai del suo corso avea la traccia,
quando fermar le piante, alzar le braccia
ratto la vide, in quel ch’ella fuggiva.
Vede il bel piè radice, e vede (ahi fato!)
che rozza scorza i vaghi membri asconde,
e l’ombra verdeggiar del crine aurato.
Allor l’abbraccia e bacia, e, de le bionde
chiome fregio novel, dal tronco amato
almen, se’l frutto no, coglie le fronde.
Metro: sonetto. Schema ABBA ABBA CDC DCD.
1. paterna riva: Dafne è figlia del fiume Peneo, sulle cui rive l’infelice ninfa tenta di trovare sicurezza.
5. acceso Dio: Apollo, acceso d’amore per Dafne.
6. giunta ... la traccia: il dio aveva raggiunto le orme del suo passaggio.
Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne
Il gruppo marmoreo, opera del 1623 di Gian Lorenzo Bernini, raffigura con grazia e leggiadria miste a pathos il momento più drammatico della vicenda di Apollo e Dafne: quello in cui comincia la stupefacente trasformazione in lauro della ninfa che il dio ha appena afferrato.
Nel sonetto seguente Marino interpreta a suo modo la metamorfosi di Dafne, già narrata da Ovidio: un episodio denso di suggestioni per il gusto barocco, scelto come soggetto anche dallo scultore Gian Lorenzo Bernini. Il confronto fra la lirica di Marino e il gruppo marmoreo di Bernini consente di osservare come la poesia secentesca non rivaleggi solo con la pittura, ma anche con altre arti.
Stanca, anelante a la paterna riva,
qual suol cervetta affaticata in caccia,
correa piangendo e con smarrita faccia
la vergine ritrosa e fuggitiva.
E già l’acceso Dio che la seguiva,
giunta omai del suo corso avea la traccia,
quando fermar le piante, alzar le braccia
ratto la vide, in quel ch’ella fuggiva.
Vede il bel piè radice, e vede (ahi fato!)
che rozza scorza i vaghi membri asconde,
e l’ombra verdeggiar del crine aurato.
Allor l’abbraccia e bacia, e, de le bionde
chiome fregio novel, dal tronco amato
almen, se’l frutto no, coglie le fronde.
Metro: sonetto. Schema ABBA ABBA CDC DCD.
1. paterna riva: Dafne è figlia del fiume Peneo, sulle cui rive l’infelice ninfa tenta di trovare sicurezza.
5. acceso Dio: Apollo, acceso d’amore per Dafne.
6. giunta ... la traccia: il dio aveva raggiunto le orme del suo passaggio.
Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne
Il gruppo marmoreo, opera del 1623 di Gian Lorenzo Bernini, raffigura con grazia e leggiadria miste a pathos il momento più drammatico della vicenda di Apollo e Dafne: quello in cui comincia la stupefacente trasformazione in lauro della ninfa che il dio ha appena afferrato.
Analisi del testo e confronto con la scultura
In un famoso studio sui lirici secentisti (Sensualismo e ingegnosità nella lirica del Seicento) Benedetto Croce mette in rilievo i punti di contatto tra le arti figurative del XVII secolo e la poesia dello stesso periodo, aggiungendo che «opportunamente in una recente antologia il sonetto del Marino Trasformazione di Dafne in lauro viene illustrato dal marmo del Bernini». In effetti, tra il sonetto e il gruppo scultoreo ci sono analogie che vanno oltre l’identità tematica, la più evidente delle quali è nel gusto compiaciuto di rappresentare un evento “meraviglioso”. Sia il poeta che lo scultore, inoltre, ritraggono il momento in cui Dafne è raggiunta («giunta ornai del suo corso avea la traccia») e afferrata («Allor l’abbraccia...») dal dio. Tuttavia il testo poetico ha possibilità espressive sue proprie, diverse da quelle dell’opera figurativa. Quest’ultima, infatti, vive solo nello spazio: pertanto coglie un attimo e lo immobilizza, Io fissa. La parola poetica, invece, può rappresentare il tempo, ovvero dire ciò che accade prima e dopo l’atto cruciale del dio che afferra la fanciulla. In altri termini, la parola rappresenta l’azione nel suo divenire. Così, nella prima quartina del sonetto, vediamo la fanciulla che fugge «stanca e anelante», simile a una «cervetta» (si noti come l’uso del diminutivo aumenti l’effetto patetico).
Nella seconda quartina l’attenzione è spostata sull’inseguimento da parte dell’«acceso Dio» e sull’istante in cui egli vede la ninfa immobilizzarsi, con le braccia levate al cielo, in una postura che fa già presagire l’imminente trasformazione in arbusto. La prima terzina tematizza l’attimo della tasformazióne: il piede si trasforma in radice, la «rozza scorza» avvolge le delicate membra, la chioma trascolora dal dorato dei capelli nel verde delle foglie. E infine, nell’ultima terzina, il dio – non più preda dell’insana passione, ma vittima del dolore della perdita – «abbraccia e bacia» la pianta che nasconde la donna.
In un famoso studio sui lirici secentisti (Sensualismo e ingegnosità nella lirica del Seicento) Benedetto Croce mette in rilievo i punti di contatto tra le arti figurative del XVII secolo e la poesia dello stesso periodo, aggiungendo che «opportunamente in una recente antologia il sonetto del Marino Trasformazione di Dafne in lauro viene illustrato dal marmo del Bernini». In effetti, tra il sonetto e il gruppo scultoreo ci sono analogie che vanno oltre l’identità tematica, la più evidente delle quali è nel gusto compiaciuto di rappresentare un evento “meraviglioso”. Sia il poeta che lo scultore, inoltre, ritraggono il momento in cui Dafne è raggiunta («giunta ornai del suo corso avea la traccia») e afferrata («Allor l’abbraccia...») dal dio. Tuttavia il testo poetico ha possibilità espressive sue proprie, diverse da quelle dell’opera figurativa. Quest’ultima, infatti, vive solo nello spazio: pertanto coglie un attimo e lo immobilizza, Io fissa. La parola poetica, invece, può rappresentare il tempo, ovvero dire ciò che accade prima e dopo l’atto cruciale del dio che afferra la fanciulla. In altri termini, la parola rappresenta l’azione nel suo divenire. Così, nella prima quartina del sonetto, vediamo la fanciulla che fugge «stanca e anelante», simile a una «cervetta» (si noti come l’uso del diminutivo aumenti l’effetto patetico).
Nella seconda quartina l’attenzione è spostata sull’inseguimento da parte dell’«acceso Dio» e sull’istante in cui egli vede la ninfa immobilizzarsi, con le braccia levate al cielo, in una postura che fa già presagire l’imminente trasformazione in arbusto. La prima terzina tematizza l’attimo della tasformazióne: il piede si trasforma in radice, la «rozza scorza» avvolge le delicate membra, la chioma trascolora dal dorato dei capelli nel verde delle foglie. E infine, nell’ultima terzina, il dio – non più preda dell’insana passione, ma vittima del dolore della perdita – «abbraccia e bacia» la pianta che nasconde la donna.
Postato l'8 febbraio 2011
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