di Luperini-Cataldi, La scrittura e l’interpretazione, vol. 2, tomo 1, edizione rossa, p. 154
La cultura barocca manifesta un sentimento tragico del tempo, percepito e rappresentato come corsa inesorabile verso la mort. Il tempo sta diventando laico, mondano; la prospettiva della redenzione si fa remota, imperscrutabile.
È significativa l’attrazione quasi ossessiva, dimostrata dai poeti, per il tema dell’orologio, che conferisce serietà simbolica alla curiosità tipicamente secentesca per la novità tecnica. In L’orologio a rote Ciro di Pers non esalta l’invenzione dello strumento: anzi, la precisione meccanica con cui l’orologio scandisce il tempo («lo divide in ore») è posta sotto l’insegna della distruzione («dentate rote», «lacera il giorno»). La fugacità del tempo non induce a un richiamo all’intensità vitale, ma il rintocco metallico e lugubre («Sempre si more») non fa che accelerare la corsa dell’«età vorace» verso la tomba.
Il sentimento stesso della vita è pervaso dal senso dell’annientamento. Si precipita nella tomba fin dalla nascita. La morte si cova nell’«assiduo calor», nel «nido vitale» del letto, che è anche «notturno sepolcro» e «funesto feretro» (così dice Cìro di Pers nel sonetto Al proprio letto). Il gusto barocco del contrasto sottolinea una visione drammatica dell’esistenza, dominata, in ogni momento; dall’incubo della fine. Il poeta non osa addormentarsi nel letto, perché sa’ «che del tempo un sol momento avaro (quello della morte) /ivi de’ (deve) alfin rapire il mio riposo».
Altrove il trascorrere del tempo è rappresentato come fragilità e inconsistenza delle forme, una mutevole e perenne trasformazione della bellezza e della gioia nel loro contrario. Il tempo incide infatti anche sulla natura, che è avvertita come qualcosa di mobile, sfuggente, metamorfico.
Più tragico e luttuoso appare il senso del tempo nel poeta spagnolo Góngora. La vita è inganno, ombra. Il tempo non è vissuto nel presente o nel passato, ma concepito come, proiezione in un futuro di morte, laicamente rappresentata come puro annientamento della vita.
Nel componimento Alla memoria della morte e dell’inferno la fuga del tempo si materializza in una metafora crudele: il tempo è «carnefice dei giorni». La morte, sottratta sia alla sublimazione religiosa che alla rimozione della pietà umana, si rivela nell’orrore dei nudi scheletri, delle «raggelate ceneri»; è «abisso infernale», che solo la memoria, la forza del pensiero, può vincere, se l’uomo ha il coraggio di guardarla in faccia. Ma anche il pensiero è una dote laica e mondana. Anche da questo punto di vista, la concezione della vita è ormai pienamente moderna, lontana dalla luce della redenzione che il trascendente conferiva alla stessa tematica durante il Medioevo.
È significativa l’attrazione quasi ossessiva, dimostrata dai poeti, per il tema dell’orologio, che conferisce serietà simbolica alla curiosità tipicamente secentesca per la novità tecnica. In L’orologio a rote Ciro di Pers non esalta l’invenzione dello strumento: anzi, la precisione meccanica con cui l’orologio scandisce il tempo («lo divide in ore») è posta sotto l’insegna della distruzione («dentate rote», «lacera il giorno»). La fugacità del tempo non induce a un richiamo all’intensità vitale, ma il rintocco metallico e lugubre («Sempre si more») non fa che accelerare la corsa dell’«età vorace» verso la tomba.
Il sentimento stesso della vita è pervaso dal senso dell’annientamento. Si precipita nella tomba fin dalla nascita. La morte si cova nell’«assiduo calor», nel «nido vitale» del letto, che è anche «notturno sepolcro» e «funesto feretro» (così dice Cìro di Pers nel sonetto Al proprio letto). Il gusto barocco del contrasto sottolinea una visione drammatica dell’esistenza, dominata, in ogni momento; dall’incubo della fine. Il poeta non osa addormentarsi nel letto, perché sa’ «che del tempo un sol momento avaro (quello della morte) /ivi de’ (deve) alfin rapire il mio riposo».
Altrove il trascorrere del tempo è rappresentato come fragilità e inconsistenza delle forme, una mutevole e perenne trasformazione della bellezza e della gioia nel loro contrario. Il tempo incide infatti anche sulla natura, che è avvertita come qualcosa di mobile, sfuggente, metamorfico.
Più tragico e luttuoso appare il senso del tempo nel poeta spagnolo Góngora. La vita è inganno, ombra. Il tempo non è vissuto nel presente o nel passato, ma concepito come, proiezione in un futuro di morte, laicamente rappresentata come puro annientamento della vita.
Nel componimento Alla memoria della morte e dell’inferno la fuga del tempo si materializza in una metafora crudele: il tempo è «carnefice dei giorni». La morte, sottratta sia alla sublimazione religiosa che alla rimozione della pietà umana, si rivela nell’orrore dei nudi scheletri, delle «raggelate ceneri»; è «abisso infernale», che solo la memoria, la forza del pensiero, può vincere, se l’uomo ha il coraggio di guardarla in faccia. Ma anche il pensiero è una dote laica e mondana. Anche da questo punto di vista, la concezione della vita è ormai pienamente moderna, lontana dalla luce della redenzione che il trascendente conferiva alla stessa tematica durante il Medioevo.
Postato l'8 febbraio 2011
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