di Graziella Melina
L’embrione nel grembo materno non è «un cumulo di materiale biologico», ma «un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana... persona fin dal concepimento». Benedetto XVI lo ha ribadito ancora una volta ai primi vespri d’Avvento durante la veglia per la vita nascente in San Pietro. E non si tratta certo di tesi tutte ancora da sostenere ma, come spiegano gli scienziati, sono affermazioni che si fondano su nozioni ben consolidate e condivise. «L’embrione umano fin dalla sua immediata costituzione, vale a dire con il processo della fecondazione – sottolinea infatti Lucio Romano, ginecologo dell’Università Federico II di Napoli – si caratterizza per una sua propria individualità».
È scientificamente dimostrato che esistono «contatti diretti di relazione tra madre e figlio, quindi – continua Romano – sotto il profilo biomedico, tra organismo materno e embrione». Una relazione che è caratterizzata «dalla presenza di sostanze embrionali o di altre proteine e molecole che rappresentano la giusta comunicazione tra le due individualità».
Esistono poi «meccanismi di natura biologica che stanno a indicare come dal momento della fecondazione si inneschi un meccanismo inarrestabile sotto il profilo biologico che è coordinato, continuo e graduale e che porterà alle successive specializzazioni di un essere che in quanto tale lo è già dal momento della fecondazione stessa».
«Gli scienziati hanno ormai dimostrato che se l’ovocita non produce il progesterone e una proteina che si chiama zp3 – spiega inoltre Giuseppe Noia, docente di medicina prenatale della Cattolica e presidente – lo spermatozoo non entrerebbe mai all’interno dell’ovocita. La prima relazione addirittura precede il concepimento ed è una relazione fra i due gameti che si aiutano a vicenda per ottenere il concepimento». Esistono poi una «serie di elementi relazionali che caratterizzano l’embrione anche nei primi otto giorni, nella cosiddetta 'prima casa'. Il protagonismo biologico dell’embrione e la sua relazionalità con la madre fatta di messaggi ormonali, immunologici, biochimici – prosegue Noia – sono le condizioni indispensabili perché si abbia un 'buon impianto' e dal ' buon impianto' si avrà una normale 'trofoblastizzazione', vale a dire la formazione di una placenta che permetterà lo scambio ottimale di ossigeno e nutrizionali importanti per la crescita dell’embrione e del feto».
A dimostrazione poi del fatto che l’embrione non sia un ammasso di cellule, esiste un’evidenza di carattere genetico. «Noi sappiamo che il genoma presente sui cromosomi della mamma è regolato in un fenomeno che chiamiamo epigenesi, cioè la regolazione del genoma – sottolinea Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma –. Questo fenomeno di sofisticata regolazione del genoma inizia nel momento in cui il corpo estraneo, cioè lo spermatozoo, entra nella cellula uovo. In questo momento queste due strutture che erano separate iniziano una unità biologica unica e irripetibile.
Sappiamo che siamo gli uni diversi dagli altri e questa diversità inizia proprio da questa prima cellula».
Nessuno scienziato in sostanza non può non affermare che l’embrione è «comunque anche un individuo, che ci sia oppure no l’eventuale impianto, quindi che ci sia la gravidanza», aggiunge Eleonora Porcu, responsabile del Centro di infertilità e fecondazione assistita dell’ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna. «Il punto fondamentale è soltanto il tipo di nutrizione» che avviene nelle due fasi in modo diverso. Mentre prima dell’impianto viene assorbita dall’esterno, nella tuba se si trova in condizioni naturali o in soluzione artificiale nella provetta, «dopo l’impianto la nutrizione che arriva all’embrione diventa vascolare», arriva cioè direttamente attraverso il sangue della madre.
Che l’embrione goda poi di autonomia, è un’evidenza scientifica ormai assodata. La spiegazione sta nel fatto che, come evidenzia Giovanni Neri, direttore dell’Istituto di genetica medica dell’Università Cattolica, l’embrione «è capace già di processi biochimici e molecolari autonomi all’interno di questa unica singola cellula». E questa identità e autonomia ce l’ha sin dal suo concepimento. «Qualsiasi cultura cellulare – prosegue Neri – non ha una sua capacità di mettere insieme un processo evolutivo che la porti a essere alla fine un soggetto, o animale o pianta che sia. Mentre questo particolare ammasso cellulare ha questa potenzialità che è unica e che testimonia del fatto che all’interno di queste cellule c’è già un’identità umana».
È scientificamente dimostrato che esistono «contatti diretti di relazione tra madre e figlio, quindi – continua Romano – sotto il profilo biomedico, tra organismo materno e embrione». Una relazione che è caratterizzata «dalla presenza di sostanze embrionali o di altre proteine e molecole che rappresentano la giusta comunicazione tra le due individualità».
Esistono poi «meccanismi di natura biologica che stanno a indicare come dal momento della fecondazione si inneschi un meccanismo inarrestabile sotto il profilo biologico che è coordinato, continuo e graduale e che porterà alle successive specializzazioni di un essere che in quanto tale lo è già dal momento della fecondazione stessa».
«Gli scienziati hanno ormai dimostrato che se l’ovocita non produce il progesterone e una proteina che si chiama zp3 – spiega inoltre Giuseppe Noia, docente di medicina prenatale della Cattolica e presidente – lo spermatozoo non entrerebbe mai all’interno dell’ovocita. La prima relazione addirittura precede il concepimento ed è una relazione fra i due gameti che si aiutano a vicenda per ottenere il concepimento». Esistono poi una «serie di elementi relazionali che caratterizzano l’embrione anche nei primi otto giorni, nella cosiddetta 'prima casa'. Il protagonismo biologico dell’embrione e la sua relazionalità con la madre fatta di messaggi ormonali, immunologici, biochimici – prosegue Noia – sono le condizioni indispensabili perché si abbia un 'buon impianto' e dal ' buon impianto' si avrà una normale 'trofoblastizzazione', vale a dire la formazione di una placenta che permetterà lo scambio ottimale di ossigeno e nutrizionali importanti per la crescita dell’embrione e del feto».
A dimostrazione poi del fatto che l’embrione non sia un ammasso di cellule, esiste un’evidenza di carattere genetico. «Noi sappiamo che il genoma presente sui cromosomi della mamma è regolato in un fenomeno che chiamiamo epigenesi, cioè la regolazione del genoma – sottolinea Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma –. Questo fenomeno di sofisticata regolazione del genoma inizia nel momento in cui il corpo estraneo, cioè lo spermatozoo, entra nella cellula uovo. In questo momento queste due strutture che erano separate iniziano una unità biologica unica e irripetibile.
Sappiamo che siamo gli uni diversi dagli altri e questa diversità inizia proprio da questa prima cellula».
Nessuno scienziato in sostanza non può non affermare che l’embrione è «comunque anche un individuo, che ci sia oppure no l’eventuale impianto, quindi che ci sia la gravidanza», aggiunge Eleonora Porcu, responsabile del Centro di infertilità e fecondazione assistita dell’ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna. «Il punto fondamentale è soltanto il tipo di nutrizione» che avviene nelle due fasi in modo diverso. Mentre prima dell’impianto viene assorbita dall’esterno, nella tuba se si trova in condizioni naturali o in soluzione artificiale nella provetta, «dopo l’impianto la nutrizione che arriva all’embrione diventa vascolare», arriva cioè direttamente attraverso il sangue della madre.
Che l’embrione goda poi di autonomia, è un’evidenza scientifica ormai assodata. La spiegazione sta nel fatto che, come evidenzia Giovanni Neri, direttore dell’Istituto di genetica medica dell’Università Cattolica, l’embrione «è capace già di processi biochimici e molecolari autonomi all’interno di questa unica singola cellula». E questa identità e autonomia ce l’ha sin dal suo concepimento. «Qualsiasi cultura cellulare – prosegue Neri – non ha una sua capacità di mettere insieme un processo evolutivo che la porti a essere alla fine un soggetto, o animale o pianta che sia. Mentre questo particolare ammasso cellulare ha questa potenzialità che è unica e che testimonia del fatto che all’interno di queste cellule c’è già un’identità umana».
«Avvenire» del 9 dicembre 2010
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