di Fabio Cavalera
Una ricerca della rivista scientifica Psychologies rivela che un bambino britannico su tre, di età fra i 10 e i 12 anni, è un assiduo utilizzatore dei siti hard su internet. Il problema non è circoscritto al Regno Unito ma qui i dati toccano picchi sconosciuti agli altri Paesi modernizzati. Miranda Suit, fondatrice di SaferMedia, una organizzazione che si occupa di monitorare gli effetti dannosi provocati sui ragazzi dall’eccessiva esposizione al computer e al web, davanti ai Comuni ha sostenuto che la pornografia sulla rete non è più una questione morale, ormai «è una questione di igiene mentale» perché stimola «comportamenti sessuali perversi e devianti». Da qui la necessità di correre ai ripari. Il suo grido d’allarme non è rimasto inascoltato. Il governo Cameron ha avviato una strategia con lo scopo positivo ed encomiabile di impedire che la pornografia, nella sua versione tecnologica, diventi una «malattia» per i giovanissimi. Si tratta però di capire se l’arma individuata sia davvero la più efficace. L’esecutivo convocherà il prossimo mese i maggiori provider, i fornitori dei servizi internet, ai quali chiederà di installare un blocco automatico in grado di oscurare i siti a luce rosse. Con una postilla: se i singoli genitori esprimeranno la volontà di lasciare ai loro figli piena libertà di navigare nel web la censura non sarà attivata. A parte certi toni allarmistici, che sembrano rievocare le campagne «spirituali» del regime cinese, questa giusta e improvvisa sensibilità pubblica su un tema delicato e importante, con la soluzione ipotizzata, solleva un problema: la responsabilità dell’oscuramento e dell’educazione sessuale viene trasferita per intero alle famiglie, come se le istituzioni avessero un ruolo repressivo e non, anche, formativo. Si agisce con mano forte per impedire il «peccato» via internet, e va bene, ma non si risolve il disagio: perché così tanti bambini e adolescenti, nel Regno Unito, sono clienti fissi delle pagine elettroniche a luci rosse? I «comportamenti sessuali perversi» sono solo colpa del papà e della mamma che non spengono i computer di casa? Forse contano anche i modelli educativi (in crisi) della scuola. Quella britannica è una cura a metà.
«Corriere della Sera» del 20 dicembre 2010
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