22 dicembre 2010

Achille, Patroclo e il battaglione sacro dei tebani. Non chiamateli gay

di Nicoletta Tiliacos
“Un gruppo che si è consolidato con l’amicizia radicata nell’amore non si scioglie mai ed è invincibile, poiché gli amanti, per paura di apparire meschini agli occhi dei propri amati, e gli amati per lo stesso motivo, affronteranno volentieri il pericolo per soccorrersi a vicenda”. Lo scrive Plutarco nella “Vita di Pelopida”, a proposito del battaglione sacro dei tebani. Formato, si diceva, da centocinquanta coppie di guerrieri e rimasto invitto fino alla battaglia di Cheronea contro i macedoni (338 a.C.). Il grande storico greco non avrebbe condiviso la posizione del generale John Sheehan, ex comandante delle forze Nato in Europa e convinto – come ha dichiarato lo scorso marzo in un’audizione al Senato americano in cui si discuteva di ammissione dei gay dichiarati nell’esercito – che la strage di Srebrenica, nel 1995, fu resa possibile dalla presenza di omosessuali nel contingente olandese incaricato di difendere dai serbi la città bosniaca.
Andrebbe però fuori strada chi volesse ravvisare nei costumi dell’antica Grecia qualcosa di simile alla rivendicazione dell’omosessualità da parte dei militari americani, appena riabilitata dal voto del Senato. Lo spiega al Foglio la studiosa di diritto greco e romano Eva Cantarella, autrice di Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (Rizzoli): “Per i greci la parola ‘omosessuale’ non aveva alcun senso, e la stessa distinzione tra etero e omosessualità era del tutto estranea all’etica pagana. Virilità era sinonimo di attività, in tutti i sensi contraria alla passività femminile, nella dimensione intellettuale, guerresca, sessuale. Il ruolo sessuale attivo era possibile anche con un maschio, purché fosse un giovane amante. Il quale, una volta diventato adulto, cambiava ruolo, magari si sposava e diventava attivo con altri giovani maschi. Era considerata – continua Eva Cantarella – una regola positiva e auspicabile anche dal punto di vista delle virtù pubbliche, vale a dire le più alte nella gerarchia greca, tra le quali c’è il coraggio in battaglia. Si combatteva valorosamente anche per mostrare all’amato il proprio eroismo, come scrive Plutarco”.
Nemmeno per il rapporto tra Achille e Patroclo, aggiunge l’antichista Maurizio Bettini, vanno scomodate categorie contemporanee: “Il mondo greco valorizza il rapporto omoerotico tra un adulto e un ragazzo imberbe, che dall’adulto riceve un’educazione etica, amorosa, sessuale ma che non va necessariamente verso l’omosessualità (quando ci va, perché quel tipo di rapporto continua tra adulti, non è più apprezzato ma condannato, in Grecia come a Roma). L’omoerotismo ritualizzato tra adulto e giovinetto configura una sorta di iniziazione, un passaggio culturale”. Ma Achille e Patroclo, compagni d’arme e uniti al punto che Achille invoca la morte dopo l’uccisione dell’amico, ci appaiono come pari: “Eppure, secondo alcuni antichi commenti e stando a certe raffigurazioni vascolari, non è così. Patroclo è il più vecchio, e comunque la madre di Achille, Teti, invita il figlio a interrompere le manifestazioni eccessive di lutto e a sposarsi: a diventare adulto. Le amicizie virili con possibili connotazioni omoerotiche che troviamo nella tradizione greca appartengono a un mondo abissalmente lontano da quello in cui il gay dichiarato rivendica il diritto di entrare nell’esercito”. Il mondo omerico, conclude Bettini, “è quello in cui la dea dell’amore, Afrodite, è anche dea della guerra. I due campi non sono così lontani, lo scontro guerriero e l’incontro d’amore sono mescolanze. E le parole per descrivere le azioni di guerra e le azioni d’amore, a volte, sono esattamente le stesse”.
«Il Foglio» del 21 dicembre 2010

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