di Michele Brambilla
C’erano infiltrati tra i ragazzi che l’altro ieri hanno manifestato per le vie di Roma, con i risultati che sappiamo?
Tutto è possibile, per carità.
Per affermarlo occorrerebbero però, se non delle prove, perlomeno degli indizi seri. Invece ieri, sulla base di alcune foto fatte girare su Internet - e rivelatesi poi in alcuni casi tutt’altro che chiare, e in altri delle autentiche patacche - è partito il tragicomico déjà vu di accuse alla polizia cattiva e complottista al servizio della Reazione.
Tutto è cominciato perché in alcune immagini scattate durante la guerriglia si vede un ragazzo con un giubbotto beige e il volto coperto da una sciarpa bianca che impugna un manganello e tiene, nell’altra mano, un paio di manette. E chi può avere un paio di manette, se non un questurino? Altre foto, poi, evidenziano che alcuni teppisti calzano scarponi identici a quelli in dotazione alla polizia. Tanto è bastato per dare il via al tam tam: ecco le prove, i violenti sono in realtà poliziotti travestiti e manovrati da un governo che ha interesse a dare, di chi protesta pacificamente, l’immagine degli estremisti pericolosi.
Se tutto questo veleno fosse stato messo in circolo da, che so, esponenti di alcuni centri sociali, o comunque dal cosiddetto «mondo antagonista», non meriterebbe neppure di essere commentato. Purtroppo i sospetti, le illazioni, la consueta patologica caccia a registi occulti sono venuti da pulpiti che godono di grande autorevolezza. Giornalisti e politici dell’opposizione hanno chiesto spiegazioni al ministro degli Interni e perfino una persona solitamente assennata come il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, ha detto: «Vogliamo sapere chi erano questi che evidentemente erano infiltrati, chi li ha mandati, chi li paga e che cosa devono provocare».
Siccome anche gli avverbi a volte sono pietre, quell’«evidentemente» uscito dalla bocca della Finocchiaro è una cosa che fa male. «Evidentemente», e quindi senza dubbi. Sarebbe bastato che la senatrice, e con lei molti altri (l’ex ministro della Giustizia Diliberto, ad esempio) avessero fatto ricorso alla prima delle virtù cardinali, che è la prudenza. O almeno alla pazienza: avessero aspettato un paio d’ore, avrebbero visto altri filmati, ad esempio quello in cui si vede che il misterioso «infiltrato» viene poi fermato dalla polizia, e che mentre implora clemenza ripetendo più volte «sono minorenne» non si cura della telecamera che lo riprende. Fosse stato uno sbirro in missione segreta, avrebbe permesso (e avrebbero permesso i suoi «colleghi» poliziotti) quelle riprese? Con un po’ di pazienza, poi, i sostenitori del complotto avrebbero appurato che le fotografie in cui si vedono manifestanti con gli stessi scarponi dei poliziotti non sono state scattate a Roma martedì, ma a Toronto quattro mesi fa. Infine, un po’ di paziente attesa avrebbe permesso la lettura del comunicato con il quale la questura ha fatto sapere che ieri sera ha identificato e arrestato il ragazzo, che è un estremista di sinistra, e non un brigadiere.
Purtroppo questo ricorso al complottismo e al vittimismo è un vizio antico della nostra sinistra. Già negli Anni Settanta si cercò goffamente, e per anni, di negare la vera matrice delle Brigate Rosse; e anche allora, negli scontri di piazza, secondo una certa vulgata c’erano da una parte i giovanotti inermi, e dall’altra la polizia assassina. È un vizio che forse ha origine nella pretesa di una immacolata concezione, per cui è impossibile che «qualcuno dei nostri» possa anche comportarsi male; e nella tentazione di cercare sempre un alibi ai propri insuccessi, per cui se non si vince è perché qualcuno rema contro in modo sporco.
E invece uno dei - non il solo: ma uno dei - motivi per cui la sinistra italiana non ha vinto è anche questo suo ahimè ricorrente atteggiamento, che l’ha resa agli occhi di molti poco simpatica e ancor meno credibile. Ne ha sicuramente, la sinistra, di argomenti per fare opposizione. Lasci perdere i complotti della polizia.
Tutto è possibile, per carità.
Per affermarlo occorrerebbero però, se non delle prove, perlomeno degli indizi seri. Invece ieri, sulla base di alcune foto fatte girare su Internet - e rivelatesi poi in alcuni casi tutt’altro che chiare, e in altri delle autentiche patacche - è partito il tragicomico déjà vu di accuse alla polizia cattiva e complottista al servizio della Reazione.
Tutto è cominciato perché in alcune immagini scattate durante la guerriglia si vede un ragazzo con un giubbotto beige e il volto coperto da una sciarpa bianca che impugna un manganello e tiene, nell’altra mano, un paio di manette. E chi può avere un paio di manette, se non un questurino? Altre foto, poi, evidenziano che alcuni teppisti calzano scarponi identici a quelli in dotazione alla polizia. Tanto è bastato per dare il via al tam tam: ecco le prove, i violenti sono in realtà poliziotti travestiti e manovrati da un governo che ha interesse a dare, di chi protesta pacificamente, l’immagine degli estremisti pericolosi.
Se tutto questo veleno fosse stato messo in circolo da, che so, esponenti di alcuni centri sociali, o comunque dal cosiddetto «mondo antagonista», non meriterebbe neppure di essere commentato. Purtroppo i sospetti, le illazioni, la consueta patologica caccia a registi occulti sono venuti da pulpiti che godono di grande autorevolezza. Giornalisti e politici dell’opposizione hanno chiesto spiegazioni al ministro degli Interni e perfino una persona solitamente assennata come il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, ha detto: «Vogliamo sapere chi erano questi che evidentemente erano infiltrati, chi li ha mandati, chi li paga e che cosa devono provocare».
Siccome anche gli avverbi a volte sono pietre, quell’«evidentemente» uscito dalla bocca della Finocchiaro è una cosa che fa male. «Evidentemente», e quindi senza dubbi. Sarebbe bastato che la senatrice, e con lei molti altri (l’ex ministro della Giustizia Diliberto, ad esempio) avessero fatto ricorso alla prima delle virtù cardinali, che è la prudenza. O almeno alla pazienza: avessero aspettato un paio d’ore, avrebbero visto altri filmati, ad esempio quello in cui si vede che il misterioso «infiltrato» viene poi fermato dalla polizia, e che mentre implora clemenza ripetendo più volte «sono minorenne» non si cura della telecamera che lo riprende. Fosse stato uno sbirro in missione segreta, avrebbe permesso (e avrebbero permesso i suoi «colleghi» poliziotti) quelle riprese? Con un po’ di pazienza, poi, i sostenitori del complotto avrebbero appurato che le fotografie in cui si vedono manifestanti con gli stessi scarponi dei poliziotti non sono state scattate a Roma martedì, ma a Toronto quattro mesi fa. Infine, un po’ di paziente attesa avrebbe permesso la lettura del comunicato con il quale la questura ha fatto sapere che ieri sera ha identificato e arrestato il ragazzo, che è un estremista di sinistra, e non un brigadiere.
Purtroppo questo ricorso al complottismo e al vittimismo è un vizio antico della nostra sinistra. Già negli Anni Settanta si cercò goffamente, e per anni, di negare la vera matrice delle Brigate Rosse; e anche allora, negli scontri di piazza, secondo una certa vulgata c’erano da una parte i giovanotti inermi, e dall’altra la polizia assassina. È un vizio che forse ha origine nella pretesa di una immacolata concezione, per cui è impossibile che «qualcuno dei nostri» possa anche comportarsi male; e nella tentazione di cercare sempre un alibi ai propri insuccessi, per cui se non si vince è perché qualcuno rema contro in modo sporco.
E invece uno dei - non il solo: ma uno dei - motivi per cui la sinistra italiana non ha vinto è anche questo suo ahimè ricorrente atteggiamento, che l’ha resa agli occhi di molti poco simpatica e ancor meno credibile. Ne ha sicuramente, la sinistra, di argomenti per fare opposizione. Lasci perdere i complotti della polizia.
«La Stampa» del 16 dicembre 2010
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