di Roberto I. Zanini
Lo stradello sale dalle sponde del Tevere, al di qua del Ponte Neroniano, verso i primi declivi del Colle Vaticano. Il fondo è in terra battuta. È stretto e consente appena il passaggio a due persone che viaggiano in senso opposto. Su un lato e sull’altro si ergono numerosi edifici sepolcrali, appartenenti a famiglie di grande prestigio, che possono permettersi il lusso di sistemare i loro morti presso la via Trionfale, vicino al grandioso mausoleo di Adriano e alla piramide (ora distrutta) che da sempre viene considerata la tomba di Remo, così come la Piramide Cestia era considerata la tomba di Romolo. Più si allontana dal fiume e più lo stradello sale.
Passa accanto al Circo Vaticano, voluto da Caligola. Bagnato dal sangue di migliaia di martiri cristiani, crocifissi, bruciati sotto il grande obelisco monolite che lo contraddistingue, nella persecuzione scatenata da Nerone, dopo l’incendio della città nel 64. Poco oltre il circo, sul lato destro, a mezza costa, ecco un piccolo piazzale sgombro, delimitato da un muro rosso. Appoggiato a esso un’edicola, sorretta da due colonnine, alta un metro e mezzo. Su un lato ci sono centinaia di graffiti devozionali, incisi su un muro. Fra gli altri una piccola iscrizione in greco, di sei lettere: PIETRO È QUI. I primi cristiani che volevano fare un pellegrinaggio sulla tomba del principe degli apostoli, percorrevano questa strada. A millenovecento anni di distanza possiamo fare i loro stessi passi, e giungere a inginocchiarci accanto a quel muro inciso di graffiti.
Nel punto esatto dove il corpo di Pietro, dopo essere stato martirizzato nel vicino Circo, venne sepolto, previo permesso imperiale, lì dove erano già alcune povere tombe. Quello stradello esiste ancora. «Si trova – spiega Pietro Zander, responsabile delle antichità classiche e della Necropoli Vaticana, per la Fabbrica di San Pietro – esattamente undici metri sotto il livello del pavimento della Basilica Vaticana. Al di sotto delle grotte delle tombe dei Papi. Posto in senso longitudinale, verso la tomba di Pietro, il primo vescovo di Roma, il primo Papa».
Una storia, che da quel momento sembra svilupparsi in senso verticale. «Sopra la sepoltura di Pietro, cento anni dopo, viene eretto il muro intonacato di rosso (così è stato trovato) e la piccola edicola. Dopo il 312, Costantino usa il piano dell’edicola come livello del pavimento di quella che la storia conoscerà come Basilica Costantiniana e racchiude la tomba all’interno di una teca di marmo, la "Memoria costantiniana". Sopra quel sacello viene costruito l’altare cosiddetto di Gregorio Magno, fra il 590 e il 604. Altare racchiuso in uno più grande, voluto da Callisto II nel 1123. Nel 1594 viene eretto l’altare di Clemente VIII, poi sormontato dal baldacchino di Bernini. Il mosaico del IX secolo raffigurante Cristo benedicente, che oggi il pellegrino incontra scendendo dalla Basilica sulla tomba dell’Apostolo, è inserito nella nicchia sul muro rosso racchiusa nella primitiva edicola. Il tutto è posto sotto della grandiosa cupola di Michelangelo».
Dagli undici metri sotto il pavimento ai 133 della croce sulla cupola. Diciannove secoli in verticale, sorretti dalla misera sepoltura di un povero ebreo, le cui ossa sono oggi conservate in un incavo ricavato nel muro dei graffiti. Un percorso di pellegrinaggio sconosciuto ai milioni di fedeli che ogni anno visitano la Basilica. Visitare la Necropoli non è semplicissimo. Bisogna prenotarsi. Ma la lista è lunghissima. Molto più semplice, per chi desideri averne un’idea esaustiva, è la consultazione di Le Necropoli Vaticane, un efficace volume edito da Jaca Book, in collaborazione con i Musei Vaticani e la Libreria Editrice Vaticana. Ricco di immagini, è redatto da Paolo Liverani e Giandomenico Spinola e presenta un contributo dello stesso Zander.
Per accedere alla Necropoli, sul lato destro della Basilica, si passa sugli spazi occupati un tempo dal Circo Vaticano e si può vedere il luogo dove si ergeva l’obelisco. L’unico fra quelli presenti a Roma, che è sempre rimasto in piedi. Da qui venne preso, nel 1586 e portato al centro di Piazza San Pietro. Al di sotto della Basilica, pochi scalini consentono un repentino salto nel tempo. La Necropoli è al di là di un passaggio di cantiere realizzato nelle fondazioni della Basilica Costantiniana dagli architetti del IV secolo e scoperto al momento degli scavi, voluti da Pio XII e iniziati nel 1941. Prima di allora, per rispetto, nessuno aveva osato intraprendere l’iniziativa. Dell’esistenza di tombe romane si era a conoscenza da sterri per precedenti opere di fondazione. Quello che si sono trovati di fronte gli archeologi di papa Pacelli non era immaginabile.
Oltre alla conferma dei documenti storici sulla sepoltura di Pietro in quel luogo, ciò che colpisce il visitatore di oggi è la ricchezza degli edifici sepolcrali. Strutture rimaste intatte perché Costantino, nel realizzare il progetto di portare tutto il piano della Basilica a livello della tomba dell’Apostolo, fu costretto a un’impresa ciclopica e del tutto insensata se quello non fosse stato il luogo di Pietro. La tomba era alla pendici del colle e bisognava riempire il declivio, occupato dal cimitero. Il terreno argilloso doveva essere rinforzato. E allora costruisce un basamento sorretto da grandi piloni collegati da archi. Passa sopra le tombe. Scoperchia quelle più alte e le fa riempire di terra senza danneggiarle. Gli archeologi le hanno trovate così.
La prima che si incontra è la cosiddetta Tomba degli Egizi, dove si trovano, insieme, sepolture di culto egizio, di culto pagano e cristiane. «A testimonianza – sottolinea Zander – che nella Roma al suo massimo splendore, nel secondo e nel terzo secolo, era possibile la convivenza fra più religioni». Poi si incontrano le tombe dei Matucci, dei Tulli, dei Valeri, dei Giuli, dei Cetenni... Cognomi diffusi ancora oggi. Stupendi gli affreschi, così come i mosaici e le decorazioni, tutte ispirate a simbologie legate alla vita che rinasce. C’è Venere che emerge dalle acque, c’è Ercole che scende nell’Ade per riportare in vita Alceste.
Ci sono i pavoni, la pernice dalla molta prole, le stagioni col loro ritmo incessante, il toro, il caprone. La tomba dei Valeri è ridondante di stucchi e bassorilievi che raffigurano i componenti della famiglia. Scene di vita quotidiana, col capostipite, Gayus Valerius Herma e sua moglie Flavia Olympia, immortalata con l’acconciatura alla moda, perché usata dalla first lady, la moglie dell’imperatore Antonino Pio. Dall’iscrizione sulla tomba di famiglia di un certo Popilius Heracla, sappiamo che per costruirla ha lasciato ai suoi eredi seimila sesterzi, la paga di cinque anni di un legionario romano. Vicinissima a quella di Pietro è la sepoltura cristiana degli Iulii. Sulla volta campeggia il mosaico di Gesù Cristo che sale al cielo in quadriga, nelle sembianze del Sole Invicto, la cui festa pagana cadeva il 25 dicembre.
A destra un affresco raffigura Giona divorato dalla balena. A sinistra c’è il Buon Pastore. Sullo sfondo è ritratto un pescatore: all’amo ha un pesce, mentre un altro scappa. Metafora della Chiesa chiamata a convertire uomini, liberi di accogliere o rifiutare.
Passa accanto al Circo Vaticano, voluto da Caligola. Bagnato dal sangue di migliaia di martiri cristiani, crocifissi, bruciati sotto il grande obelisco monolite che lo contraddistingue, nella persecuzione scatenata da Nerone, dopo l’incendio della città nel 64. Poco oltre il circo, sul lato destro, a mezza costa, ecco un piccolo piazzale sgombro, delimitato da un muro rosso. Appoggiato a esso un’edicola, sorretta da due colonnine, alta un metro e mezzo. Su un lato ci sono centinaia di graffiti devozionali, incisi su un muro. Fra gli altri una piccola iscrizione in greco, di sei lettere: PIETRO È QUI. I primi cristiani che volevano fare un pellegrinaggio sulla tomba del principe degli apostoli, percorrevano questa strada. A millenovecento anni di distanza possiamo fare i loro stessi passi, e giungere a inginocchiarci accanto a quel muro inciso di graffiti.
Nel punto esatto dove il corpo di Pietro, dopo essere stato martirizzato nel vicino Circo, venne sepolto, previo permesso imperiale, lì dove erano già alcune povere tombe. Quello stradello esiste ancora. «Si trova – spiega Pietro Zander, responsabile delle antichità classiche e della Necropoli Vaticana, per la Fabbrica di San Pietro – esattamente undici metri sotto il livello del pavimento della Basilica Vaticana. Al di sotto delle grotte delle tombe dei Papi. Posto in senso longitudinale, verso la tomba di Pietro, il primo vescovo di Roma, il primo Papa».
Una storia, che da quel momento sembra svilupparsi in senso verticale. «Sopra la sepoltura di Pietro, cento anni dopo, viene eretto il muro intonacato di rosso (così è stato trovato) e la piccola edicola. Dopo il 312, Costantino usa il piano dell’edicola come livello del pavimento di quella che la storia conoscerà come Basilica Costantiniana e racchiude la tomba all’interno di una teca di marmo, la "Memoria costantiniana". Sopra quel sacello viene costruito l’altare cosiddetto di Gregorio Magno, fra il 590 e il 604. Altare racchiuso in uno più grande, voluto da Callisto II nel 1123. Nel 1594 viene eretto l’altare di Clemente VIII, poi sormontato dal baldacchino di Bernini. Il mosaico del IX secolo raffigurante Cristo benedicente, che oggi il pellegrino incontra scendendo dalla Basilica sulla tomba dell’Apostolo, è inserito nella nicchia sul muro rosso racchiusa nella primitiva edicola. Il tutto è posto sotto della grandiosa cupola di Michelangelo».
Dagli undici metri sotto il pavimento ai 133 della croce sulla cupola. Diciannove secoli in verticale, sorretti dalla misera sepoltura di un povero ebreo, le cui ossa sono oggi conservate in un incavo ricavato nel muro dei graffiti. Un percorso di pellegrinaggio sconosciuto ai milioni di fedeli che ogni anno visitano la Basilica. Visitare la Necropoli non è semplicissimo. Bisogna prenotarsi. Ma la lista è lunghissima. Molto più semplice, per chi desideri averne un’idea esaustiva, è la consultazione di Le Necropoli Vaticane, un efficace volume edito da Jaca Book, in collaborazione con i Musei Vaticani e la Libreria Editrice Vaticana. Ricco di immagini, è redatto da Paolo Liverani e Giandomenico Spinola e presenta un contributo dello stesso Zander.
Per accedere alla Necropoli, sul lato destro della Basilica, si passa sugli spazi occupati un tempo dal Circo Vaticano e si può vedere il luogo dove si ergeva l’obelisco. L’unico fra quelli presenti a Roma, che è sempre rimasto in piedi. Da qui venne preso, nel 1586 e portato al centro di Piazza San Pietro. Al di sotto della Basilica, pochi scalini consentono un repentino salto nel tempo. La Necropoli è al di là di un passaggio di cantiere realizzato nelle fondazioni della Basilica Costantiniana dagli architetti del IV secolo e scoperto al momento degli scavi, voluti da Pio XII e iniziati nel 1941. Prima di allora, per rispetto, nessuno aveva osato intraprendere l’iniziativa. Dell’esistenza di tombe romane si era a conoscenza da sterri per precedenti opere di fondazione. Quello che si sono trovati di fronte gli archeologi di papa Pacelli non era immaginabile.
Oltre alla conferma dei documenti storici sulla sepoltura di Pietro in quel luogo, ciò che colpisce il visitatore di oggi è la ricchezza degli edifici sepolcrali. Strutture rimaste intatte perché Costantino, nel realizzare il progetto di portare tutto il piano della Basilica a livello della tomba dell’Apostolo, fu costretto a un’impresa ciclopica e del tutto insensata se quello non fosse stato il luogo di Pietro. La tomba era alla pendici del colle e bisognava riempire il declivio, occupato dal cimitero. Il terreno argilloso doveva essere rinforzato. E allora costruisce un basamento sorretto da grandi piloni collegati da archi. Passa sopra le tombe. Scoperchia quelle più alte e le fa riempire di terra senza danneggiarle. Gli archeologi le hanno trovate così.
La prima che si incontra è la cosiddetta Tomba degli Egizi, dove si trovano, insieme, sepolture di culto egizio, di culto pagano e cristiane. «A testimonianza – sottolinea Zander – che nella Roma al suo massimo splendore, nel secondo e nel terzo secolo, era possibile la convivenza fra più religioni». Poi si incontrano le tombe dei Matucci, dei Tulli, dei Valeri, dei Giuli, dei Cetenni... Cognomi diffusi ancora oggi. Stupendi gli affreschi, così come i mosaici e le decorazioni, tutte ispirate a simbologie legate alla vita che rinasce. C’è Venere che emerge dalle acque, c’è Ercole che scende nell’Ade per riportare in vita Alceste.
Ci sono i pavoni, la pernice dalla molta prole, le stagioni col loro ritmo incessante, il toro, il caprone. La tomba dei Valeri è ridondante di stucchi e bassorilievi che raffigurano i componenti della famiglia. Scene di vita quotidiana, col capostipite, Gayus Valerius Herma e sua moglie Flavia Olympia, immortalata con l’acconciatura alla moda, perché usata dalla first lady, la moglie dell’imperatore Antonino Pio. Dall’iscrizione sulla tomba di famiglia di un certo Popilius Heracla, sappiamo che per costruirla ha lasciato ai suoi eredi seimila sesterzi, la paga di cinque anni di un legionario romano. Vicinissima a quella di Pietro è la sepoltura cristiana degli Iulii. Sulla volta campeggia il mosaico di Gesù Cristo che sale al cielo in quadriga, nelle sembianze del Sole Invicto, la cui festa pagana cadeva il 25 dicembre.
A destra un affresco raffigura Giona divorato dalla balena. A sinistra c’è il Buon Pastore. Sullo sfondo è ritratto un pescatore: all’amo ha un pesce, mentre un altro scappa. Metafora della Chiesa chiamata a convertire uomini, liberi di accogliere o rifiutare.
«Avvenire» del 12 dicembre 2010
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