14 dicembre 2010

La scuola, killer della bellezza?

di Alessandro Rivali
Come si può «insegnare agli insegnanti» a non essere «killer della bellezza?». È già davvero tutta persa la partita? Certo, possono cambiare mestiere, però se ci fosse qualcuno che leggendo il tuo libro volesse davvero mettersi in discussione? Come fa un insegnante a diventare un buon perfomer?
Il problema non è divenire performer (parola che ormai vale per il mago della sagra di paese come per l'artista strapagato nelle astute e banalissime mostre a Palazzo reale), ma lasciare piuttosto che la poesia e il narrare siano qualcosa che formano, deformano, riformano la nostra stessa umanità di adulti e che di questo «spettacolo» fatto di dolore, di gioia, di carne e sangue, di allegria e di abisso si dia offerta ai più giovani, introducendoli e invitandoli. Con l'anima e con il corpo, con la voce e con la mente. E non di tutta la letteratura (parola vaga e ormai ridotta a larva di mercato o di programma scolastico) ma di quelle parole che davvero hanno in noi lavorato e stanno lavorando per farci riconoscere il nostro abisso e il nostro volto. Questa attitudine che diventa poi una esperienza, una tecnica se vogliamo, di insegnamento si impara da uomini che sono così, mica nei corsi di aggiornamento... La mia proposta (che non è riassumibile in poche parole, e infatti ho dovuto scrivere un libro intero, per motivarla e farla fuggire se possibile dalle banalizzazioni che uccidono tutto) non è contro gli insegnanti, ma è l'invito estremo, supplicante, che viene dall'ultimo dei poeti della letteratura o forse nemmeno ultimo, perché rischino su sé stessi, sulla loro voglia, sulla loro libertà, sul loro sperdutissimo amore per i capolavori che hanno ereditato e devono far ereditare...

I ragazzi di oggi sono definiti come screen generation. Vivono in un tempo rapidissimo. Dalla tua esperienza: la letteratura e la poesia possono avere ancora qualcosa da dire? Raccontami della tua esperienza come ambasciatore di poesia nelle scuole... Come sono le reazioni dei ragazzi... Rispondono?
Le definizioni «dei ragazzi di oggi» falliscono almeno da oltre quarant'anni... I ragazzi sono futuri e antichissimi. E oltre agli schermi usano un sacco le parole, stanno formando un nuovo volgare italiano, un bastardissimo neovolgare, con il loro infinito continuo scriversi... I ragazzi rispondono ogni volta vedono un uomo che vive il loro stesso rischio, l'avventura di perdersi e trovarsi, e che affronta questo rischio non con la vanità del personaggio o con lo scetticismo della maggior parte che li circondano, ma con l'umile certezza che vale la pena, che la partita è aperta, che non siamo destinati alla schiavitù... Ecco, piuttosto direi che i nostri figli (imbottiti di messaggi da inoculatori del nulla come in milioni di canzoni e dal nulla che leggono negli occhi annoiati dei loro genitori o nella loro triste brama di denaro o comodità) ecco, direi piuttosto che si sentono schiavi, come dei condannati...

Nella nuova èra digitale quale sarà il destino dell'oggetto libro?
Dell'oggetto libro non me ne frega niente. Un tempo c'erano i supporti fatti con la pelle di capra per trasmettere le parole vive, i rotoli, poi ci sono stati i libri, domani ci sarà non so cosa. Il problema non è il supporto, ma la vita delle parole. Uomini morti possono avere supporti eccezionali, ma sarà solo più brillante la loro morte e quella delle loro parole. È il destino dell'uomo di oggi quello che si sta consumando in una quasi totale cancellazione del suo cuore e della sua abissale aspirazione.

Perché in Italia si legge così poco? È vero? Se tu fossi il direttore del nuovo Centro per il Libro quali iniziative promuoveresti per diffondere la lettura tra i giovani (e non solo)?
Non sono quel direttore. Hanno voluto altri a dirigerlo e presiederlo e mi pare dia poco frutto. Non mi pare che il problema sia promuovere il libro, ma dare motivi per cui vale la pena leggere, tenendo conto che c'è in giro a mio povero avviso un sacco di roba che non so se vale la pena leggere... Mia nonna non aveva letto granché, ma biascicava tra sé e sé parole che sapevano di morte e di vita, di destino e di ripresa, di sperimento e di misericordia. E fu anche per questo una donna di caparbia costruttività, di umilissimo servizio, di luce infinita. Non so se siano così quelli che si sono letti tutto Eco o tutto Fabio Volo o tutto Calasso (o anche tutto Rondoni o altri degli ultimi della fila).

Quali sono le reazioni degli addetti ai lavori alla tua proposta? Sei preso per un pazzo o un provocatore? C'è qualcuno che ha deciso di prenderti sul serio?
Si molti lo prendono sul serio. Molti si riconoscono. Molti si difendono. Molti saltano il problema dicendo che è una provocazione mentre è una proposta. In giro ci sono – tra tutte le file politiche – tanti conservatori travestiti da progressisti.

Tra gli scrittori qualcuno si è lasciato contagiare dalla tua idea?
Nel libro cito diversi scrittori in varie parti del mondo che hanno atteggiamenti e proposte simili. In Italia un uomo acuto come Pietro Citati ha detto in Tv d'esser d'accordo. Già lo disse quel mattacchione di Vittorio Sgarbi, ma soprattutto lo dicono un sacco di studenti e di professori.

Quali sono i libri che bandiresti dai primi anni delle scuole superiori?
Non bandirei nessun libro. Bandirei la presentazione noiosa e non vissuta di ogni libro.

E quelli da proporre su tutti?
Non ci sono libri da imporre, ma bisogna invitare tutti a fare i conti con alcuni capolavori fondanti come la Commedia, I promessi sposi, Petrarca, Baudelaire...

Non credi che anche all'università molti insegnamenti di letteratura italiana siano da svecchiare?
Il problema non è svecchiare. È farlo veramente. Semmai molti sono ringiovaniti e paiono quelli che si fan la plastica una due tre volte. Mostruosità. Il problema è l'uomo non l'insegnamento. La crisi dell'insegnamento scolastico sta nel cuore degli insegnanti e nella loro supina accettazione di tante troppe aberrazioni e pigrizie sono discese dall'università. Ma il perverso meccanismo per quanto potente e totalizzante può essere messo in crisi dalla coscienza e dalla iniziativa di un singolo.

Abbiamo parlato di insegnanti, ma vogliamo dare qualche consiglio per i genitori? Come interessare alla lettura i proprifigli? E i genitori che non hanno letto da ragazzi...
Le cose non cambiano. Occorre sempre la pazienza della proposta, la vita dentro la proposta, e il rispetto della libertà. Ho dei figli, so la fatica. So che non bisogna scoraggiarsi. E ognuno dia quello che ha, colto o incolto che sia.

Come ti sembra l'insegnamento della letteratura all'estero? C'è qualche buon esempio da seguire?
I problemi che tocco sono comuni. Mi pare che in alcune situazioni degli Stati Uniti si stia affrontando il problema di una maggiore responsabilizzazione del docente, e questo sicuramente fa bene.

Vuoi commentarmi un poco queste affermazioni, che sono il centro della tua storia: «Non fare dei ragazzi degli esperti, ma degli amanti...»; «Si studia troppo il contesto»; «È essenziale la bellezza, non le circostanze della bellezza» (Borges).
Ah, ma il commento a queste frasi è il libro intero. Che si legge in un'ora e mezza, quasi di meno che questa intervista!

Quando è iniziata in Italia la frattura tra letteratura e pubblico? Perché è cosi accentuato il divario tra il pubblico e i poeti?
Frattura tra l'uomo e l'uomo, dentro l'uomo e perciò poi fratture di ogni genere, non solo tra la letteratura (ma che cosa è questa parola, cosa si intende veramente? Un insieme di libri? Cosa diavolo è?) e quindi difficoltà di ogni colloquio che tocchi il cuore e il dolore, il sangue e la pena non in modo superficiale...

Vuoi darmi una tua definizione di poesia? Perché scrivi poesia?
Non lo so. Non lo saprò mai. Non lo voglio nemmeno sapere. E non credo sia importante. Il problema è che sia poesia che dica qualcosa di essenziale nel disastro e nella gloria della vita. La poesia non si definisce, se no sarebbe cosa morta.

Nel libro affermi: «Galleggiano solo mezzi scrittori...». Fammi qualche esempio e quali sono invece quelli che andrebbero pubblicati e forse non hanno trovato ancora la giusta collocazione editoriale?
Gli italiani leggono Fabio Volo, perché viene proposto loro in gran quantità Fabio Volo o Roberto Saviano. Meglio se leggessero i romanzi e i racconti di Aurelio Picca o di Guido Conti o di Andrea Di Consoli. Sarebbero poi meno ipocritamente sorpresi di fronte alla vita.

Come far passare la bellezza e la grande letteratura su internet, come vincere il rischio della dispersione?
Come nella vita reale, di cui internet fa in definitiva parte: con autorevolezza.

Vorresti chiamare i tuoi corsi: «Camminate con le suole di vento» oppure «La parole del fuoco»... quali sono le esperienze più coinvolgenti che hai incontrato? Raccontaci qualche episodio.
Oh, sono infiniti... Ti dico solo di una prof che ha invitato i suoi studenti nella sua scuola a un incontro con me su Baudelaire, e poi alla fine mi ha dato una bustina di quattrini dicendo che li aveva raccolti tra i suoi colleghi. E poi al pomeriggio l'ho ritrovata in un'altra scuola — non la sua — a seguire un corso che alcuni studenti hanno deciso di fare, e questi studenti al contrario delle aspettative di chi aveva lanciato l'invito erano oltre cinquanta invece dei quindici previsti. E la prof e i ragazzi non erano lì per me, ma per dare pane di parole al loro cuore!

Ti ricordi il tuo primo giorno di scuola? Qual era il tuo rapporto con la prof di lettere?
Non me lo ricordo. Amore e odio e ancora amore. Ma non ho scoperto la poesia grazie ai miei professori. Uno però me l'ha resa alle medie una cosa non noiosa, almeno. Era il buon Claudio Chieffo, il cantautore.

Il libro che più ti ha fatto sognare da bambino?
Leggevo poco da bambino e anche da ragazzino. Non sono di quelli che a 8 anni leggevano Moby Dick, e si vede. Non sono un colto, ma uno che ha fame.

Quando hai deciso di essere poeta?
Lo devo decidere ogni volta che la parola del mondo e del cielo, del cuore e del dolore mi si rivolge da ogni lato della vita e da ogni sua oscura fonte. Non so se lo sarò domani. Non è una decisione, è un obbedire quasi cieco, un abbandono, una maledizione d'amore.

Consigli pratici per il ministro Gelmini?
Faccia una sperimentazione con le idee esposte nel mio libro e vedremo chi ha ragione.
«Fogli» del mese di novembre 2010

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