Le micro-etichette di silicio per identificare i «prodotti» in vitro
di Assuntina Morresi
Codici a barre per identificare embrioni in provetta? Nei topi, in via sperimentale, si è già fatto. Piccolissime etichette in silicio, dell’ordine di grandezza della millesima parte di un millimetro, sono state inserite con una microiniezione in embrioni di topo di appena un giorno: non sono tossiche, resistono al congelamento e allo scongelamento, e sembrano non interferire con la crescita dell’organismo. È la loro forma a costituire il codice identificativo, che può essere riconosciuto con un microscopio particolare. Saranno rilasciate spontaneamente dagli embrioni stessi, una volta raggiunto un certo grado di sviluppo: questa parte della ricerca tuttavia dev’essere ancora perfezionata.
Secondo gli scienziati dell’Università Autonoma di Barcellona e dell’Istituto di Microelettronica del Csic (il Cnr spagnolo), che hanno messo a punto la tecnica pubblicando i risultati del loro lavoro sulla rivista scientifica internazionale Human reproduction, si tratta di un mezzo formidabile per tracciare embrioni in sicurezza ed evitare drammatici scambi di provette non così rari nei laboratori della fecondazione in vitro.
Può sembrare la trama per un brutto film, ma è tutto vero. In rete sono consultabili le foto degli embrioni di topo contenenti i micro-dispositivi al silicio, il brevetto è già depositato, e il Dipartimento della Salute del governo catalano ha concesso l’autorizzazione a testare il sistema con ovociti ed embrioni umani messi a disposizione da cliniche spagnole.
È l’estremo passo: muniti del sofisticatissimo codice identificativo – ciascuno ha il proprio – gli embrioni umani entrano a pieno titolo nel grande mercato globale, come ogni merce che si rispetti. Una volta applicato il codice a barre – si sa – ogni prodotto finito è pronto per la vendita: il cliente lo sceglie, lo mette nel carrello, va alla cassa, paga e se lo porta a casa. Anche dal punto di vista simbolico, niente come un codice a barre è così efficace nel dare l’idea di commercializzazione, gestione di magazzino, acquisto e vendita: un’etichetta fredda e astrusa, decifrabile solo da speciali lettori ottici, che indica la natura dell’oggetto e il suo valore di mercato. Le barre in bianco e nero si evolvono e diventano microscopiche targhette al silicio, in migliaia di possibili forme diverse: etichette miniaturizzate per distinguere e identificare, inserite all’interno degli embrioni nel loro percorso di 'produzione' in laboratorio. Una classificazione ideale per prodotti commerciali in serie, realizzati su larga scala.
Si potrà dire che già da ora nei laboratori gameti ed embrioni vengono in qualche modo codificati per poterli individuare correttamente. E infatti sarebbe intellettualmente onesto riconoscere da parte di tutti, a prescindere dai convincimenti personali di ciascuno, che è proprio l’avvento della fecondazione in vitro – cioè la disponibilità di embrioni umani fabbricati sotto la lente del microscopio – ad aver aperto le porte alla 'cosificazione' dell’umano, a un nuovo modo di 'utilizzarlo' (nel senso letterale e materiale del termine).
In altre parole, il passaggio dalla numerazione della provetta al codice miniaturizzato in silicio inserito nell’embrione rende solo più evidente e inequivocabile ciò che era chiaro fin dall’inizio: la piena disponibilità della vita umana fin dal concepimento avvenuto al di fuori del corpo della donna e della sua unione con l’uomo modifica l’idea stessa dell’umano, lo rende pienamente 'oggetto', gettando le basi per un suo nuovo mercato.
La numerazione di esseri umani è sempre stata sinonimo inquietante di mancanza di libertà e dignità: basti pensare alle carceri, ai campi di concentramento, o anche semplicemente alle polemiche nate intorno alle impronte digitali per alcuni gruppi sociali, benché giustificate dalla necessità di sicurezza e tutela. Eppure per gli embrioni col codice a barre è difficile immaginare la stessa indignazione, le medesime perplessità, gli identici dubbi di fronte a una soluzione tecnicamente avveniristica, ma antropologicamente raggelante.
Secondo gli scienziati dell’Università Autonoma di Barcellona e dell’Istituto di Microelettronica del Csic (il Cnr spagnolo), che hanno messo a punto la tecnica pubblicando i risultati del loro lavoro sulla rivista scientifica internazionale Human reproduction, si tratta di un mezzo formidabile per tracciare embrioni in sicurezza ed evitare drammatici scambi di provette non così rari nei laboratori della fecondazione in vitro.
Può sembrare la trama per un brutto film, ma è tutto vero. In rete sono consultabili le foto degli embrioni di topo contenenti i micro-dispositivi al silicio, il brevetto è già depositato, e il Dipartimento della Salute del governo catalano ha concesso l’autorizzazione a testare il sistema con ovociti ed embrioni umani messi a disposizione da cliniche spagnole.
È l’estremo passo: muniti del sofisticatissimo codice identificativo – ciascuno ha il proprio – gli embrioni umani entrano a pieno titolo nel grande mercato globale, come ogni merce che si rispetti. Una volta applicato il codice a barre – si sa – ogni prodotto finito è pronto per la vendita: il cliente lo sceglie, lo mette nel carrello, va alla cassa, paga e se lo porta a casa. Anche dal punto di vista simbolico, niente come un codice a barre è così efficace nel dare l’idea di commercializzazione, gestione di magazzino, acquisto e vendita: un’etichetta fredda e astrusa, decifrabile solo da speciali lettori ottici, che indica la natura dell’oggetto e il suo valore di mercato. Le barre in bianco e nero si evolvono e diventano microscopiche targhette al silicio, in migliaia di possibili forme diverse: etichette miniaturizzate per distinguere e identificare, inserite all’interno degli embrioni nel loro percorso di 'produzione' in laboratorio. Una classificazione ideale per prodotti commerciali in serie, realizzati su larga scala.
Si potrà dire che già da ora nei laboratori gameti ed embrioni vengono in qualche modo codificati per poterli individuare correttamente. E infatti sarebbe intellettualmente onesto riconoscere da parte di tutti, a prescindere dai convincimenti personali di ciascuno, che è proprio l’avvento della fecondazione in vitro – cioè la disponibilità di embrioni umani fabbricati sotto la lente del microscopio – ad aver aperto le porte alla 'cosificazione' dell’umano, a un nuovo modo di 'utilizzarlo' (nel senso letterale e materiale del termine).
In altre parole, il passaggio dalla numerazione della provetta al codice miniaturizzato in silicio inserito nell’embrione rende solo più evidente e inequivocabile ciò che era chiaro fin dall’inizio: la piena disponibilità della vita umana fin dal concepimento avvenuto al di fuori del corpo della donna e della sua unione con l’uomo modifica l’idea stessa dell’umano, lo rende pienamente 'oggetto', gettando le basi per un suo nuovo mercato.
La numerazione di esseri umani è sempre stata sinonimo inquietante di mancanza di libertà e dignità: basti pensare alle carceri, ai campi di concentramento, o anche semplicemente alle polemiche nate intorno alle impronte digitali per alcuni gruppi sociali, benché giustificate dalla necessità di sicurezza e tutela. Eppure per gli embrioni col codice a barre è difficile immaginare la stessa indignazione, le medesime perplessità, gli identici dubbi di fronte a una soluzione tecnicamente avveniristica, ma antropologicamente raggelante.
«Avvenire» del 12 dicembre 2010
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