di Franco Cardini
Sul 'Corriere della Sera' del 12 dicembre scorso, Giulio Giorello ha replicato a proposito di alcuni aspetti di un mio commento pubblicato su 'Avvenire' al libro di William Naphy, Rivoluzione protestante (Cortina): un gran bel libro, e un libro importante. Lo affermo per quanto non sia d’accordo con l’assunto centrale del suo contenuto. Rispondo quindi volentieri alla replica del mio caro e vecchio amico. Il punto è l’equivoca osservazione di Croce.
Non è affatto vero, ed è antistorico affermarlo, che la libertà e la tolleranza fossero «esigenze implicite nel moto della Riforma».
Non discuto affatto che il moderno concetto individualistico di concepire la libertà sia figlio diretto e forse primogenito della Riforma, in quanto l’individualismo si sviluppa appunto sul luterano 'libero esame delle Scritture' del quale costituisce, se non il primo esempio storico completo, la prima affermazione teorica esplicita: anche se, ciò detto, va subito affermato che in ciò vi era senza dubbio un paradosso, dal momento che il 'libero esame' riformato provocò immediatamente un nuovo dogmatismo, del quale appunto i roghi di Ginevra e non solo (dal Serveto alle streghe) sono prova.
Quel che tuttavia Croce non dice, e che magari può aver fatto piacere tanto a lui quanto a te, è che nella misura in cui la Riforma protestante fu il primo decisivo passo verso la modernità (cioè, appunto, la 'libertà' e la 'tolleranza'), esso fu anche il primo passo verso la secolarizzazione della società: quello che noi cattolici, quando siamo in vena di chiamare le cose col loro autentico nome, definiamo 'apostasia'. La modernità ha scristianizzato il mondo: e su ciò siamo d’accordo, per quanto Giorello ne sia felice e io no. Nel suo costituire l’avvio della scristianizzazione sta appunto la sostanza del fallimento finale della Riforma: in quanto intenzione dei suoi padri, senza dubbio sinceri cristiani, non era affatto cancellare il cristianesimo bensì al contrario restaurarne la purezza. Il protestantesimo ha fallito al suo scopo. Non ha 'riformato' la fede: ha posto le basi per creare una società di gente che se ne è allontanata. Quanto alla tolleranza, nel senso propriamente lockiano, va sempre ricordato ch’essa non nasce tanto dalla Riforma quanto dalla stanchezza per le lotte che essa ha prodotto in tutta Europa. Direi ch’è piuttosto il prodotto delle paci di Westfalia.
Che poi in Italia ci sia ormai bisogno di rigorosa onestà, è un fatto su cui siamo tutti d’accordo. E onore da questo punto di vista ai puritani, quelli veri, che di tali virtù sono stati maestri. Ma va tenuto presente, dagli atei, che se i puritani furono tali lo furono in quanto seguaci del Cristo, sia pur secondo modalità che noi cattolici non approviamo. Furono, in ciò, migliori dei cattolici? Può darsi: e ciò fa secondo me parte della complessità della storia, addirittura del suo 'mistero'.
Eppure, il loro cristianesimo 'migliore' aprì le porte all’ateismo diffuso e generalizzato.
Non è affatto vero, ed è antistorico affermarlo, che la libertà e la tolleranza fossero «esigenze implicite nel moto della Riforma».
Non discuto affatto che il moderno concetto individualistico di concepire la libertà sia figlio diretto e forse primogenito della Riforma, in quanto l’individualismo si sviluppa appunto sul luterano 'libero esame delle Scritture' del quale costituisce, se non il primo esempio storico completo, la prima affermazione teorica esplicita: anche se, ciò detto, va subito affermato che in ciò vi era senza dubbio un paradosso, dal momento che il 'libero esame' riformato provocò immediatamente un nuovo dogmatismo, del quale appunto i roghi di Ginevra e non solo (dal Serveto alle streghe) sono prova.
Quel che tuttavia Croce non dice, e che magari può aver fatto piacere tanto a lui quanto a te, è che nella misura in cui la Riforma protestante fu il primo decisivo passo verso la modernità (cioè, appunto, la 'libertà' e la 'tolleranza'), esso fu anche il primo passo verso la secolarizzazione della società: quello che noi cattolici, quando siamo in vena di chiamare le cose col loro autentico nome, definiamo 'apostasia'. La modernità ha scristianizzato il mondo: e su ciò siamo d’accordo, per quanto Giorello ne sia felice e io no. Nel suo costituire l’avvio della scristianizzazione sta appunto la sostanza del fallimento finale della Riforma: in quanto intenzione dei suoi padri, senza dubbio sinceri cristiani, non era affatto cancellare il cristianesimo bensì al contrario restaurarne la purezza. Il protestantesimo ha fallito al suo scopo. Non ha 'riformato' la fede: ha posto le basi per creare una società di gente che se ne è allontanata. Quanto alla tolleranza, nel senso propriamente lockiano, va sempre ricordato ch’essa non nasce tanto dalla Riforma quanto dalla stanchezza per le lotte che essa ha prodotto in tutta Europa. Direi ch’è piuttosto il prodotto delle paci di Westfalia.
Che poi in Italia ci sia ormai bisogno di rigorosa onestà, è un fatto su cui siamo tutti d’accordo. E onore da questo punto di vista ai puritani, quelli veri, che di tali virtù sono stati maestri. Ma va tenuto presente, dagli atei, che se i puritani furono tali lo furono in quanto seguaci del Cristo, sia pur secondo modalità che noi cattolici non approviamo. Furono, in ciò, migliori dei cattolici? Può darsi: e ciò fa secondo me parte della complessità della storia, addirittura del suo 'mistero'.
Eppure, il loro cristianesimo 'migliore' aprì le porte all’ateismo diffuso e generalizzato.
«Avvenire» del 14 dicembre 2010
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