Educati male, passano caoticamente da una cosa all'altra
di Francesco Alberoni
Quasi tutti i miei colleghi universitari sono d'accordo nel dire che molti loro studenti non sono capaci di seguire una esposizione, un compito impegnativo o un ragionamento per più di dieci minuti. Inoltre non sono capaci di collocare cronologicamente nel tempo gli accadimenti storici, non sanno per esempio se Maometto è vissuto nel 600 avanti Cristo o nel 600 dopo Cristo. Per molto tempo ho pensato che queste e altre lacune dipendessero dal cattivo studio nei licei. Recentemente mi sono reso conto che, invece, dipendono dal tipo di apprendimento già alla scuola elementare.
Prima di andare in queste scuole, quando stanno con i genitori, i bambini piccoli sono attenti, ascoltano, seguono affascinati le favole. Dopo essere stati qualche anno in classe cambiano. Se parli loro, si distraggono, spostano un libro, un giocattolo, non ascoltano. Ti fanno una domanda e poi vanno via, non aspettano la risposta. Alla televisione continuano a fare zapping da un programma all'altro. Non è mancanza di interesse, hanno perso la capacità di concentrazione perché stando con gli altri e giocando con loro si sono abituati a passare, continuamente e caoticamente, da un'attività all'altra e non c'è nessuno che insegna loro come stare attenti, e li rimprovera quando non lo fanno. E, allo stesso modo, nessuno esige da loro che imparino a collocare nel tempo tanto gli accadimenti sia storici sia quelli della propria vita.
Tutto questo non avviene in altri campi, per esempio nello sport. Nel calcio, nella scherma, nel tennis l'allenatore, se ti distrai, ti rimprovera e i tuoi compagni protestano. Gli sportivi, inoltre, ricordano benissimo il succedersi cronologico dei campionati.
Nella scuola, invece, ormai si è diffusa da anni l'opinione che non si debba più rimproverare nessuno, che non si debba più correggere con l'esercizio una tendenza sbagliata. Molti pedagogisti e molti psicologi pensano che se rimproverano o correggono un ragazzo gli creano una grave frustrazione e bloccano la sua libertà creativa. E i genitori aggravano la situazione mettendosi normalmente dalla parte dei figli e contro gli insegnanti.
Il risultato è che molti non impareranno più a concentrarsi, ad applicarsi, a fare un ragionamento complesso. Ed è anche per questo che c'è tanta disoccupazione. Perché le imprese si trovano di fronte giovani con una preparazione evanescente e che danno poco affidamento quanto a capacità di ragionare. Di conseguenza, assumono solo i giovani tecnici e quelli che appaiono preparati e capaci di impegnarsi.
Prima di andare in queste scuole, quando stanno con i genitori, i bambini piccoli sono attenti, ascoltano, seguono affascinati le favole. Dopo essere stati qualche anno in classe cambiano. Se parli loro, si distraggono, spostano un libro, un giocattolo, non ascoltano. Ti fanno una domanda e poi vanno via, non aspettano la risposta. Alla televisione continuano a fare zapping da un programma all'altro. Non è mancanza di interesse, hanno perso la capacità di concentrazione perché stando con gli altri e giocando con loro si sono abituati a passare, continuamente e caoticamente, da un'attività all'altra e non c'è nessuno che insegna loro come stare attenti, e li rimprovera quando non lo fanno. E, allo stesso modo, nessuno esige da loro che imparino a collocare nel tempo tanto gli accadimenti sia storici sia quelli della propria vita.
Tutto questo non avviene in altri campi, per esempio nello sport. Nel calcio, nella scherma, nel tennis l'allenatore, se ti distrai, ti rimprovera e i tuoi compagni protestano. Gli sportivi, inoltre, ricordano benissimo il succedersi cronologico dei campionati.
Nella scuola, invece, ormai si è diffusa da anni l'opinione che non si debba più rimproverare nessuno, che non si debba più correggere con l'esercizio una tendenza sbagliata. Molti pedagogisti e molti psicologi pensano che se rimproverano o correggono un ragazzo gli creano una grave frustrazione e bloccano la sua libertà creativa. E i genitori aggravano la situazione mettendosi normalmente dalla parte dei figli e contro gli insegnanti.
Il risultato è che molti non impareranno più a concentrarsi, ad applicarsi, a fare un ragionamento complesso. Ed è anche per questo che c'è tanta disoccupazione. Perché le imprese si trovano di fronte giovani con una preparazione evanescente e che danno poco affidamento quanto a capacità di ragionare. Di conseguenza, assumono solo i giovani tecnici e quelli che appaiono preparati e capaci di impegnarsi.
«Corriere della Sera» del 29 novembre 2010
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