di Stefano Di Michele
Sul bus 90, il pacifico capobranco che guida gli studenti dell’Aristofane – tanto in salita, quanto in discesa: “Aristofane su! Aristofane giù!” – ha un’acne che trasfigura la faccia in una sorta di cartina dolomitica, con picchi e avvallamenti, l’apparecchio per raddrizzare i denti, i jeans con le toppe. E un casco giallo, come quello degli operai nei cantieri – a distinzione del ruolo, ad avvenuta intronizzazione liceale, a segnale di opportuno intruppamento come fanno i giapponesini dietro l’ombrello levato alto dalla guida turistica.
In attesa dei teppisti a faccia coperta del dopopranzo, sull’autobus mattutino va in scena la lieve sovversione – lieve davvero, sovversione quasi per niente – adolescenziale, un po’ la Gelmini che fa girare i coglioni, un po’ (inevitabile) rito d’iniziazione. Una lieve cagnara, ma appena appena, né slogan fastiosi né bulleschi atteggiamenti (il genere del gruppettaro sussultante: nun me rompete er cazzo che io sto a cambia’ er monno!). Per il momento, dopo l’imbarcata liceale, il bus risuona non tanto di valutazioni sulla riforma, piuttosto di aspettative sulle ultime puntate di Romanzo criminale che stanno per andare in onda. I ragazzi – dal capobranco con l’acne al branco che in genere tale fase ha già superato, o forse non ancora toccato – sono ferratissimi sulle vicende del Libanese, del Freddo e del resto della banda tutta, banditesca anzichenò, ma di non scarsa fascinazione, si passano le battute, rievocano i personaggi ed evocano eventi futuri. “Aho, ma lo sai adesso che succede? Che er Freddo va da zio Carlo e glielo dice: ma tu sei proprio un pezzo de merda! Vuoi scommette’ che finisce così? Te lo dico io…”. Il Freddo, in attesa del caldo della manifestazione – e fino al troppo caldo dei fuochi accesi dai banditi appostati lungo il loro corteo – al momento sembra raccogliere parecchi consensi, nella fase dell’indeterminatezza tra il Piccolo Principe e il Grande Pregiudicato.
“Er mejo, er Freddo…”. Solo dopo, quando in rapida risposta all’imperativo: “Aristofane giù!” si registra lo sbarco in massa a Porta Pia, con relativo spopolamento del bus 90, la Magliana cederà il passo magari all’Internazionale. E intanto i loro coetanei, già assembrati a piazza Esedra intonano, e la scelta canterina deve risalire a qualche cultore estremo della materia, “Cara moglie” – canzone di Ivan Della Mea, rintracciabile in “Avanti popolo”, roba risalente agli anni degli albori dell’epica der Freddo e der Sorcio – e quindi il coro s’allarga, “cara moglie, stasera ti prego / di’ a nostro figlio che vada a dormire / perché le cose che io ho da dire / non sono cose che deve sentir…” – e s’intende cose di lotta di classe, mica altro, e tutti i liceali si spolmonano, e più o meno si ritrovano con l’età dove, a dar retta alla canzone, sarebbero già stati spediti in cameretta.
Piazza Esedra è piena di sole, di bacetti negli angoli come nelle foto di Tano D’Amico, di corse a vuoto a prender carica e misura di piazza. “Con la cultura non si mangia / figuriamoci con l’ignoranza!”, oppure “La nostra fame di cultura / spazzerà via la dittatura”: cose così – impegnative e disimpegnate. C’è chi inalbera un cartello con le parole di Newton: “A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, e certo mai il fisico dev’essere andato in corteo. Sentono un po’ di dolce brezza di rivoluzione… Poi, i fuochi dei cattivi. Più cattivi der Freddo.
In attesa dei teppisti a faccia coperta del dopopranzo, sull’autobus mattutino va in scena la lieve sovversione – lieve davvero, sovversione quasi per niente – adolescenziale, un po’ la Gelmini che fa girare i coglioni, un po’ (inevitabile) rito d’iniziazione. Una lieve cagnara, ma appena appena, né slogan fastiosi né bulleschi atteggiamenti (il genere del gruppettaro sussultante: nun me rompete er cazzo che io sto a cambia’ er monno!). Per il momento, dopo l’imbarcata liceale, il bus risuona non tanto di valutazioni sulla riforma, piuttosto di aspettative sulle ultime puntate di Romanzo criminale che stanno per andare in onda. I ragazzi – dal capobranco con l’acne al branco che in genere tale fase ha già superato, o forse non ancora toccato – sono ferratissimi sulle vicende del Libanese, del Freddo e del resto della banda tutta, banditesca anzichenò, ma di non scarsa fascinazione, si passano le battute, rievocano i personaggi ed evocano eventi futuri. “Aho, ma lo sai adesso che succede? Che er Freddo va da zio Carlo e glielo dice: ma tu sei proprio un pezzo de merda! Vuoi scommette’ che finisce così? Te lo dico io…”. Il Freddo, in attesa del caldo della manifestazione – e fino al troppo caldo dei fuochi accesi dai banditi appostati lungo il loro corteo – al momento sembra raccogliere parecchi consensi, nella fase dell’indeterminatezza tra il Piccolo Principe e il Grande Pregiudicato.
“Er mejo, er Freddo…”. Solo dopo, quando in rapida risposta all’imperativo: “Aristofane giù!” si registra lo sbarco in massa a Porta Pia, con relativo spopolamento del bus 90, la Magliana cederà il passo magari all’Internazionale. E intanto i loro coetanei, già assembrati a piazza Esedra intonano, e la scelta canterina deve risalire a qualche cultore estremo della materia, “Cara moglie” – canzone di Ivan Della Mea, rintracciabile in “Avanti popolo”, roba risalente agli anni degli albori dell’epica der Freddo e der Sorcio – e quindi il coro s’allarga, “cara moglie, stasera ti prego / di’ a nostro figlio che vada a dormire / perché le cose che io ho da dire / non sono cose che deve sentir…” – e s’intende cose di lotta di classe, mica altro, e tutti i liceali si spolmonano, e più o meno si ritrovano con l’età dove, a dar retta alla canzone, sarebbero già stati spediti in cameretta.
Piazza Esedra è piena di sole, di bacetti negli angoli come nelle foto di Tano D’Amico, di corse a vuoto a prender carica e misura di piazza. “Con la cultura non si mangia / figuriamoci con l’ignoranza!”, oppure “La nostra fame di cultura / spazzerà via la dittatura”: cose così – impegnative e disimpegnate. C’è chi inalbera un cartello con le parole di Newton: “A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, e certo mai il fisico dev’essere andato in corteo. Sentono un po’ di dolce brezza di rivoluzione… Poi, i fuochi dei cattivi. Più cattivi der Freddo.
«Il Foglio» del 15 dicembre 2010
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