Zucchelli: «Persone attaccate con il metodo dei giacobini»
di Edoardo Castagna
« Quello che sta capitando alla stampa italiana è la logica conseguenza di uno stile ormai in campo da tempo». Giorgio Zucchelli, presidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici, nota che i toni e i contenuti delle ultime campagne «mostrano la concezione della vita, e quindi del giornale, che si ha alle spalle: conta soltanto vendere, fare audience per avere più pubblicità – fare soldi. Nulla a che vedere con un’informazione al servizio dei cittadini. E l’assurdo è che questo metodo non paga: di fatto, si registra un continuo calo delle vendite dei giornali».
Perché insistere, allora? «Occorre ricordare che l’informazione italiana è molto schierata politicamente, da ben prima dei fatti degli ultimi mesi. Non abbiamo giornali veramente liberi e indipendenti da poteri politici ed economici, al punto che possiamo individuare la collocazione politica di una persona semplicemente sapendo quale giornale legge. È molto difficile trovare una testata che stia dalla parte di chi lo legge e non di chi lo guida, e che faccia il suo servizio di critica nell’interesse del bene comune. I giornali fanno lotta politica e, come se non bastasse, di una politica di bassa lega, rimanendo sempre soltanto alla superficie delle cose in attesa di ogni occasione buona per attaccare l’avversario – anzi: il nemico. Mai che si approfondisca, che si dia al lettore la possibilità di valutare concretamente la tal legge o il tal avvenimento. Perfino la cronaca esalta oltre ogni limiti i fatti di sangue fino all’assurdità di processi trascinati in televisione per mesi, sera do- po sera, mentre invece si trascurano tanti altri aspetti della vita del Paese ben più importanti».
E le ultime campagne scandalistiche sono anche conseguenza di questa impostazione culturale? «Certo. Ma c’è stato di più, un salto, perché si è alzato il tiro direttamente sulle persone. Non è accettabile che la battaglia politica nei confronti del presidente del Consiglio – piaccia o meno la sua figura e la sua politica – sia fatta per anni prima per via giudiziaria, e poi dal buco della serratura, delegittimandolo dal punto di vista etico per farlo cadere dal punto di vista politico. Lo stesso è successo con Dino Boffo, attaccato personalmente e violentemente per minarne il ruolo nell’informazione – e qui purtroppo il gioco ha funzionato. Ma questo è il metodo giacobino».
Si dice: «Avevo una notizia e dovevo pubblicarla, la gente ha diritto di sapere »... «Ridicolo. Chiunque conosca i giornali sa che i direttori devono cestinare centinaia di notizie ogni giorno, perché non c’è fisicamente lo spazio per metterle tutte. Vengono sempre fatte scelte, in base alle idee che si hanno, e spesso si sacrificano quelle più importanti dal punto di vista sostanziale: quelle, la gente non ha il diritto di sapere? È un atteggiamento farisaico. Il gioco è facile, quando la tal ipotesi buttata lì sul giornale diventa di solito, nella mente di un lettore, un fatto reale. È vero che il giornalista scrive 'potrebbe essere così', ma nella mente del lettore quel condizionale diventa un indicativo: 'è così'. Oppure, altro mezzuccio: non si racconta – e quindi non si verifica – la notizia direttamente, ma la si fa raccontare da altri, dal 'testimone' di turno: se è falsa, affari suoi. Ci si copre le spalle e intanto si getta l’amo, nella consapevolezza che tanto la cultura di massa non fa distinguo: tutto si semplifica, tutto diventa vero, tutto diventa falso».
E questo paga? Il presidente Fisc: «Invece di dare spazio alle notizie che contano davvero si 'spara' per vendere». «Forse, politicamente. Certo Feltri ha aggredito anche per vendere, ma sono cose che funzionano solo sul breve termine. L’esperienza dei settimanali cattolici, con il loro milione di copie settimanali complessive, mostra al contrario che non è vero che la gente rifiuta le testate che scrivono in maniera breve, chiara e soprattutto cercando di spiegare veramente i problemi».
Perché insistere, allora? «Occorre ricordare che l’informazione italiana è molto schierata politicamente, da ben prima dei fatti degli ultimi mesi. Non abbiamo giornali veramente liberi e indipendenti da poteri politici ed economici, al punto che possiamo individuare la collocazione politica di una persona semplicemente sapendo quale giornale legge. È molto difficile trovare una testata che stia dalla parte di chi lo legge e non di chi lo guida, e che faccia il suo servizio di critica nell’interesse del bene comune. I giornali fanno lotta politica e, come se non bastasse, di una politica di bassa lega, rimanendo sempre soltanto alla superficie delle cose in attesa di ogni occasione buona per attaccare l’avversario – anzi: il nemico. Mai che si approfondisca, che si dia al lettore la possibilità di valutare concretamente la tal legge o il tal avvenimento. Perfino la cronaca esalta oltre ogni limiti i fatti di sangue fino all’assurdità di processi trascinati in televisione per mesi, sera do- po sera, mentre invece si trascurano tanti altri aspetti della vita del Paese ben più importanti».
E le ultime campagne scandalistiche sono anche conseguenza di questa impostazione culturale? «Certo. Ma c’è stato di più, un salto, perché si è alzato il tiro direttamente sulle persone. Non è accettabile che la battaglia politica nei confronti del presidente del Consiglio – piaccia o meno la sua figura e la sua politica – sia fatta per anni prima per via giudiziaria, e poi dal buco della serratura, delegittimandolo dal punto di vista etico per farlo cadere dal punto di vista politico. Lo stesso è successo con Dino Boffo, attaccato personalmente e violentemente per minarne il ruolo nell’informazione – e qui purtroppo il gioco ha funzionato. Ma questo è il metodo giacobino».
Si dice: «Avevo una notizia e dovevo pubblicarla, la gente ha diritto di sapere »... «Ridicolo. Chiunque conosca i giornali sa che i direttori devono cestinare centinaia di notizie ogni giorno, perché non c’è fisicamente lo spazio per metterle tutte. Vengono sempre fatte scelte, in base alle idee che si hanno, e spesso si sacrificano quelle più importanti dal punto di vista sostanziale: quelle, la gente non ha il diritto di sapere? È un atteggiamento farisaico. Il gioco è facile, quando la tal ipotesi buttata lì sul giornale diventa di solito, nella mente di un lettore, un fatto reale. È vero che il giornalista scrive 'potrebbe essere così', ma nella mente del lettore quel condizionale diventa un indicativo: 'è così'. Oppure, altro mezzuccio: non si racconta – e quindi non si verifica – la notizia direttamente, ma la si fa raccontare da altri, dal 'testimone' di turno: se è falsa, affari suoi. Ci si copre le spalle e intanto si getta l’amo, nella consapevolezza che tanto la cultura di massa non fa distinguo: tutto si semplifica, tutto diventa vero, tutto diventa falso».
E questo paga? Il presidente Fisc: «Invece di dare spazio alle notizie che contano davvero si 'spara' per vendere». «Forse, politicamente. Certo Feltri ha aggredito anche per vendere, ma sono cose che funzionano solo sul breve termine. L’esperienza dei settimanali cattolici, con il loro milione di copie settimanali complessive, mostra al contrario che non è vero che la gente rifiuta le testate che scrivono in maniera breve, chiara e soprattutto cercando di spiegare veramente i problemi».
«Avvenire» del 9 settembre 2009
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