di Giuseppe O. Longo
I Padri Fondatori che gettarono le basi del sistema di governo degli Stati Uniti esaminarono i precedenti storici e in particolare il prototipo di tutte le democrazie, quella ateniese, ma decisero di non adottarla.
Ritenevano infatti che il regime partecipativo assembleare comportasse instabilità e risentimenti personali e che il popolo minuto e incolto potesse essere facilmente subornato da abili oratori e sofisti.
Insomma la partecipazione diretta di un gran numero di inesperti avrebbe portato a decisioni dissennate. Quindi i Fondatori adottarono un sistema rappresentativo, nel quale la partecipazione diretta dei cittadini era ( ed è tuttora) ridotta al minimo: in pratica si limita al momento delle elezioni. Nel suo ultimo libro, Democracy and Knowledge, il classicista di Stanford Josiah Ober sostiene invece che la democrazia ateniese era tutt’altro che fragile e caotica, e che anzi il lungo primato culturale e politico esercitato da Atene sulle città elleniche derivava proprio dal sistema democratico partecipativo. Quindi, secondo Ober, i Fondatori commisero un errore ritenendo che solo un ristretto drappello di persone colte e di esperti fosse in grado di fare gli interessi della nazione: in realtà nell’assemblea ateniese ciascun cittadino portava le proprie preziose competenze concrete di fabbro, pescatore o filosofo, che contribuivano magnificamente alla soluzione dei piccoli e grandi problemi della città. Ci si può chiedere se un ritorno alla democrazia diretta sia concepibile oggi: l’ostacolo principale è rappresentato dalla complessità degli stati moderni e, ancora prima, dal numero dei cittadini, decine o centinaia di milioni contro le poche migliaia di Ateniesi.
Alcuni sostengono addirittura che anche la democrazia rappresentativa comincia a dimostrare i suoi limiti di fronte alla necessità di prendere risoluzioni immediate, che non tollerano i tempi lunghi delle discussioni democratiche. Per converso le istanze della società civile puntano verso un allargamento della base direttamente coinvolta nelle decisioni, contestando la delega agli specialisti, siano essi tecnologi, scienziati o anche politici. Oggi il tema della democrazia diretta torna alla ribalta grazie a Internet e alle reti sociali: tra gli altri Paul Glastris, in un articolo comparso sul «Washigton Monthly», sostiene il sapore 'ateniese' delle nuove tecnologie, che consentono una veloce diffusione delle notizie, rapide consultazioni e movimenti d’opinione simili a votazioni, e cita ad esempio la funzione che ha avuto Twitter nel diffondere le informazioni sulla rivoluzione iraniana. Ma da qui a sostenere che la democrazia assemblare ateniese può essere risuscitata da Internet ne corre. I cittadini di Atene erano pochi, avevano molto tempo libero e si potevano adunare nell’agorà in men che non si dica, discutendo, vociando e guardandosi in faccia. La democrazia diretta mediata dalla tecnologia in un mondo complesso e globalizzato, gremito di problemi, ci obbligherebbe a passare gran parte del nostro tempo davanti al computer.
Ritenevano infatti che il regime partecipativo assembleare comportasse instabilità e risentimenti personali e che il popolo minuto e incolto potesse essere facilmente subornato da abili oratori e sofisti.
Insomma la partecipazione diretta di un gran numero di inesperti avrebbe portato a decisioni dissennate. Quindi i Fondatori adottarono un sistema rappresentativo, nel quale la partecipazione diretta dei cittadini era ( ed è tuttora) ridotta al minimo: in pratica si limita al momento delle elezioni. Nel suo ultimo libro, Democracy and Knowledge, il classicista di Stanford Josiah Ober sostiene invece che la democrazia ateniese era tutt’altro che fragile e caotica, e che anzi il lungo primato culturale e politico esercitato da Atene sulle città elleniche derivava proprio dal sistema democratico partecipativo. Quindi, secondo Ober, i Fondatori commisero un errore ritenendo che solo un ristretto drappello di persone colte e di esperti fosse in grado di fare gli interessi della nazione: in realtà nell’assemblea ateniese ciascun cittadino portava le proprie preziose competenze concrete di fabbro, pescatore o filosofo, che contribuivano magnificamente alla soluzione dei piccoli e grandi problemi della città. Ci si può chiedere se un ritorno alla democrazia diretta sia concepibile oggi: l’ostacolo principale è rappresentato dalla complessità degli stati moderni e, ancora prima, dal numero dei cittadini, decine o centinaia di milioni contro le poche migliaia di Ateniesi.
Alcuni sostengono addirittura che anche la democrazia rappresentativa comincia a dimostrare i suoi limiti di fronte alla necessità di prendere risoluzioni immediate, che non tollerano i tempi lunghi delle discussioni democratiche. Per converso le istanze della società civile puntano verso un allargamento della base direttamente coinvolta nelle decisioni, contestando la delega agli specialisti, siano essi tecnologi, scienziati o anche politici. Oggi il tema della democrazia diretta torna alla ribalta grazie a Internet e alle reti sociali: tra gli altri Paul Glastris, in un articolo comparso sul «Washigton Monthly», sostiene il sapore 'ateniese' delle nuove tecnologie, che consentono una veloce diffusione delle notizie, rapide consultazioni e movimenti d’opinione simili a votazioni, e cita ad esempio la funzione che ha avuto Twitter nel diffondere le informazioni sulla rivoluzione iraniana. Ma da qui a sostenere che la democrazia assemblare ateniese può essere risuscitata da Internet ne corre. I cittadini di Atene erano pochi, avevano molto tempo libero e si potevano adunare nell’agorà in men che non si dica, discutendo, vociando e guardandosi in faccia. La democrazia diretta mediata dalla tecnologia in un mondo complesso e globalizzato, gremito di problemi, ci obbligherebbe a passare gran parte del nostro tempo davanti al computer.
«Avvenire» del 1 settembre 2009
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