di Adriano dell'Asta
In base a un’ordinanza del ministro russo dell’educazione e della scienza Andrej Fursenko, l’«Arcipelago Gulag» entrerà nei programmi delle scuole russe, in forma ridotta (meno di un terzo dell’originale), ma comunque in una versione preparata dalla vedova del grande scrittore e sottoposta al giudizio di una commissione di esperti. Questa è la notizia ufficiale, di cui si discuteva da un po’ di tempo, soprattutto dal 28 luglio scorso quando, dopo un incontro con Putin, la signora Solzenicyna aveva tenuto a sottolineare che parlando dell’opera del marito non si poteva in alcun modo pensare ad una qualsiasi forma di propaganda. In quell’occasione la signora Solzenicyna aveva anche precisato i motivi che la spingevano a guardare con grande favore il progetto che adesso sta per diventare realtà: «mi pare che sarebbe giusto, anche solo in relazione a quella che è stata la storia del nostro paese. Perché se cominceremo a pensare che tutto questo non è mai avvenuto, o che si è trattato di 'costi' necessari, come si dice a volte da noi negli ultimi tempi, non andremo da nessuna parte». Il problema è quello scottante della memoria storica di un paese che è uscito da una tragedia quasi indicibile come quella del totalitarismo sovietico e che spesso è ancora tentato dall’illusione di poter considerare le vittime di quegli anni un costo necessario per l’edificazione di un paese moderno o qualcosa di cui non si deve comunque parlare perché getterebbe un discredito insostenibile sulla Russia di oggi.
Questo modo di argomentare è profondamente illusorio e pericoloso in quanto riduce il problema della memoria storica a una limitata questione di politica corrente e, in nome di una dubbia grandezza della Russia, perde di vista quelle che sono le ragioni di una grandezza non discutibile; infatti se sono ben discutibili la modernità sovietica (del resto mai raggiunta) e i suoi costi, l’essenza innegabile della storia russa del XX secolo è che essa ha mostrato come nel secolo-lupo l’uomo poteva restare ancora uomo.
Questa è la vera grandezza della Russia, e questa è la memoria che nasce dalla lettura dell’«Arcipelago», fuori da ogni propaganda e in perfetta conformità a quelle che erano le intenzioni dello scrittore. Non va infatti dimenticato che proprio quando quest’opera si prestava a una lettura politica, in quanto denunciava l’esistenza dei campi, proprio allora il suo autore, rifiutando esplicitamente una simile interpretazione, precisava che si trattava di un’opera il cui centro era il cuore dell’uomo; «la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno», leggiamo nell’«Arcipelago». Il fatto che questa coscienza sia oggi affidata a un’opera d’arte è particolarmente significativo di una sfida che non riguarda la sola Russia: dopo i Colossei moderni, la verità deve incarnarsi, rendersi visibile nel bello, se vuole essere convincente. Una delle forme supreme del nichilismo è che nulla di questo mondo possa rinviarci al suo significato e, soprattutto, a un significato buono per l’uomo; la sfida lasciataci da opere come l’«Arcipelago» è che proprio attraverso un’opera d’arte sugli abissi dell’iniquità questo significato è ancora capace di rendersi visibile.
Questo modo di argomentare è profondamente illusorio e pericoloso in quanto riduce il problema della memoria storica a una limitata questione di politica corrente e, in nome di una dubbia grandezza della Russia, perde di vista quelle che sono le ragioni di una grandezza non discutibile; infatti se sono ben discutibili la modernità sovietica (del resto mai raggiunta) e i suoi costi, l’essenza innegabile della storia russa del XX secolo è che essa ha mostrato come nel secolo-lupo l’uomo poteva restare ancora uomo.
Questa è la vera grandezza della Russia, e questa è la memoria che nasce dalla lettura dell’«Arcipelago», fuori da ogni propaganda e in perfetta conformità a quelle che erano le intenzioni dello scrittore. Non va infatti dimenticato che proprio quando quest’opera si prestava a una lettura politica, in quanto denunciava l’esistenza dei campi, proprio allora il suo autore, rifiutando esplicitamente una simile interpretazione, precisava che si trattava di un’opera il cui centro era il cuore dell’uomo; «la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno», leggiamo nell’«Arcipelago». Il fatto che questa coscienza sia oggi affidata a un’opera d’arte è particolarmente significativo di una sfida che non riguarda la sola Russia: dopo i Colossei moderni, la verità deve incarnarsi, rendersi visibile nel bello, se vuole essere convincente. Una delle forme supreme del nichilismo è che nulla di questo mondo possa rinviarci al suo significato e, soprattutto, a un significato buono per l’uomo; la sfida lasciataci da opere come l’«Arcipelago» è che proprio attraverso un’opera d’arte sugli abissi dell’iniquità questo significato è ancora capace di rendersi visibile.
«Avvenire» del 10 settembre 2009
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