Globalizzazione e libertà: l’analisi di Mary Ann Glendon
di Mary Ann Glendon
A prima vista, la democrazia appare trionfante all’alba del ventunesimo secolo. Repubbliche democratiche si sono sviluppate in Europa orientale, in America latina e in molte parti di Asia e Africa.
La maggioranza degli Stati nel mondo, oltre cento nazioni, si definiscono democratici, anche se la locuzione «in via di democratizzazione» sembra più appropriata in alcuni casi. Gli studiosi ci dicono che le democrazie non sono solite farsi la guerra l’un l’altra e non vi è mai stata alcuna carestia in un regime democratico. Le idee e i principi democratici sono sempre più pressantemente sostenuti e fatti propri da molti gruppi sociali.
Ma sotto le forme democratiche si possono mascherare realtà antidemocratiche. Il futuro delle esperienze democratiche nel mondo appare oscurato da molte linee di tendenza simultanee. In primis, vi è stata una certa atrofia degli elementi democratici negli Stati moderni. La centralizzazione dell’amministrazione ha allontanato il potere decisionale dai governi locali che una volta erano vere e proprie «scuole di cittadinanza» e davano al cittadino medio l’opportunità di partecipare alla vita pubblica. La globalizzazione ha drenato il potere dallo Stato nazione. Gruppi particolari di interesse non rappresentativi e lobby hanno spesso giocato un ruolo decisivo nella formazione delle leggi e nell’attività amministrativa. Una linea di tendenza di alcuni Stati, che può estendersi ai tribunali internazionali, è rappresentata dall’esercizio eccessivamente ambizioso del potere giudiziario per rendere invalide le leggi approvate democraticamente, così come dall’uso di un’interpretazione iper-individualista dei diritti, per minare i gruppi sociali.
Complessivamente, è sempre più difficile per la maggior parte degli uomini e delle donne negli odierni regimi democratici avere voce nel definire le condizioni nelle quali vivere, lavorare e allevare i figli.
Inoltre, gli esperimenti democratici sono altresì minacciati dal declino dei vivai delle virtù civiche. Il carattere e le capacità non emergono di punto in bianco. Essi sono acquisiti solo attraverso una pratica abituale. Tali abitudini saranno rafforzate o indebolite dal contesto nel quale la persona vive, lavora o gioca. Le democrazie dunque non possono permettersi di ignorare la cura e l’educazione dei minori o le istituzioni sociali e politiche nelle quali si sviluppano e si trasmettono da una generazione all’altra le qualità e le capacità che creano buoni cittadini e uomini di Stato. Inoltre, le 'megastrutture' della società civile hanno assunto un potere tale da suscitare lo spettro di nuove forme di oligarchia. In termini di risorse economiche e di capacità di influenzare politiche ed eventi, il potere di alcuni attori economici, fondazioni e gruppi di interesse è superiore a quello di molte nazioni. Di conseguenza, gli Stati hanno un potere limitato di influenzare i grandi gruppi economici che regolano la vita dei loro stessi cittadini. La condizione e la sicurezza sociale di molti cittadini sono sempre più dipendenti dai grandi datori di lavoro privati, piuttosto che dallo Stato. Gli stili di vita delle famiglie sono stati modificati per adattarli alle richieste e ai ritmi dell’economia. Il livello generale di vita è cresciuto in molti luoghi, ma al contempo le disparità tra ricchi e poveri si sono accentuate [...]. E come diventeranno le nuove oligarchie, se gli elementi democratici negli stati moderni dovessero divenire un giorno mere forme vuote? Gli uomini e le donne che detengono posizioni chiave nell’amministrazione, nei partiti politici, nelle imprese, nei media, nelle fondazioni e così via sono spesso distanti dalle preoccupazioni del cittadino medio. I legami forti a persone e luoghi, le fedi religiose, l’attaccamento alla tradizione e persino la vita familiare sono valori che tendono ad essere meno rilevanti per chi è al vertice piuttosto che per gli uomini e le donne la cui vita questi influenzano [...].
Infine, vi è l’effetto corrosivo sul sistema di governo della crescente mancanza di fiducia che esistano verità comuni, alle quali possano richiamarsi uomini e donne di differenti origini e cultura. Molti seri pensatori del ventesimo secolo ritengono che le dittature, vecchie e nuove, sia della maggioranza che di minoranze, abbiano le loro radici nel nichilismo.
Hannah Arendt, ad esempio, scrisse che «il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più». Papa Giovanni Paolo II, riflettendo sull’esperienza del totalitarismo nell’Europa orientale, scrive: «Il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro». In vista della atrofia della partecipazione democratica, del caos tra le piccole strutture della società civile, della minaccia dell’oligarchia, dell’espansione del materialismo dell’iper-individualismo e del relativismo popolare, che cosa si può dire sulle prospettive di rinnovamento della cultura americana?
Benedetto XVI si recherà negli Stati Uniti dal 15 al 20 aprile prossimi in un viaggio che toccherà le città di Washington e New York. Il Pontefice incontrerà il presidente Bush alla Casa Bianca, si fermerà a Ground Zero a New York e terrà un importante discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. È in questa chiave che qui proponiamo una riflessione della studiosa Mary Ann Glendon, da poco ambasciatrice degli Usa in Vaticano, sul futuro della democrazia nel mondo e sul rispetto dei diritti umani. L’intervento è tratto dal volume Tradizioni in subbuglio appena edito da Rubbettino (pagine 242, euro 16) a cura di Paolo G. Carrozza e Marta Cartabia. Il volume verrà presentato martedì 1° aprile alle ore 17.30 a Roma, presso l’Istituto Sturzo, da Valerio Onida, Marcelo Sanchez Sorondo e Andrea Simoncini, alla presenza dell’autrice.
La maggioranza degli Stati nel mondo, oltre cento nazioni, si definiscono democratici, anche se la locuzione «in via di democratizzazione» sembra più appropriata in alcuni casi. Gli studiosi ci dicono che le democrazie non sono solite farsi la guerra l’un l’altra e non vi è mai stata alcuna carestia in un regime democratico. Le idee e i principi democratici sono sempre più pressantemente sostenuti e fatti propri da molti gruppi sociali.
Ma sotto le forme democratiche si possono mascherare realtà antidemocratiche. Il futuro delle esperienze democratiche nel mondo appare oscurato da molte linee di tendenza simultanee. In primis, vi è stata una certa atrofia degli elementi democratici negli Stati moderni. La centralizzazione dell’amministrazione ha allontanato il potere decisionale dai governi locali che una volta erano vere e proprie «scuole di cittadinanza» e davano al cittadino medio l’opportunità di partecipare alla vita pubblica. La globalizzazione ha drenato il potere dallo Stato nazione. Gruppi particolari di interesse non rappresentativi e lobby hanno spesso giocato un ruolo decisivo nella formazione delle leggi e nell’attività amministrativa. Una linea di tendenza di alcuni Stati, che può estendersi ai tribunali internazionali, è rappresentata dall’esercizio eccessivamente ambizioso del potere giudiziario per rendere invalide le leggi approvate democraticamente, così come dall’uso di un’interpretazione iper-individualista dei diritti, per minare i gruppi sociali.
Complessivamente, è sempre più difficile per la maggior parte degli uomini e delle donne negli odierni regimi democratici avere voce nel definire le condizioni nelle quali vivere, lavorare e allevare i figli.
Inoltre, gli esperimenti democratici sono altresì minacciati dal declino dei vivai delle virtù civiche. Il carattere e le capacità non emergono di punto in bianco. Essi sono acquisiti solo attraverso una pratica abituale. Tali abitudini saranno rafforzate o indebolite dal contesto nel quale la persona vive, lavora o gioca. Le democrazie dunque non possono permettersi di ignorare la cura e l’educazione dei minori o le istituzioni sociali e politiche nelle quali si sviluppano e si trasmettono da una generazione all’altra le qualità e le capacità che creano buoni cittadini e uomini di Stato. Inoltre, le 'megastrutture' della società civile hanno assunto un potere tale da suscitare lo spettro di nuove forme di oligarchia. In termini di risorse economiche e di capacità di influenzare politiche ed eventi, il potere di alcuni attori economici, fondazioni e gruppi di interesse è superiore a quello di molte nazioni. Di conseguenza, gli Stati hanno un potere limitato di influenzare i grandi gruppi economici che regolano la vita dei loro stessi cittadini. La condizione e la sicurezza sociale di molti cittadini sono sempre più dipendenti dai grandi datori di lavoro privati, piuttosto che dallo Stato. Gli stili di vita delle famiglie sono stati modificati per adattarli alle richieste e ai ritmi dell’economia. Il livello generale di vita è cresciuto in molti luoghi, ma al contempo le disparità tra ricchi e poveri si sono accentuate [...]. E come diventeranno le nuove oligarchie, se gli elementi democratici negli stati moderni dovessero divenire un giorno mere forme vuote? Gli uomini e le donne che detengono posizioni chiave nell’amministrazione, nei partiti politici, nelle imprese, nei media, nelle fondazioni e così via sono spesso distanti dalle preoccupazioni del cittadino medio. I legami forti a persone e luoghi, le fedi religiose, l’attaccamento alla tradizione e persino la vita familiare sono valori che tendono ad essere meno rilevanti per chi è al vertice piuttosto che per gli uomini e le donne la cui vita questi influenzano [...].
Infine, vi è l’effetto corrosivo sul sistema di governo della crescente mancanza di fiducia che esistano verità comuni, alle quali possano richiamarsi uomini e donne di differenti origini e cultura. Molti seri pensatori del ventesimo secolo ritengono che le dittature, vecchie e nuove, sia della maggioranza che di minoranze, abbiano le loro radici nel nichilismo.
Hannah Arendt, ad esempio, scrisse che «il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più». Papa Giovanni Paolo II, riflettendo sull’esperienza del totalitarismo nell’Europa orientale, scrive: «Il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro». In vista della atrofia della partecipazione democratica, del caos tra le piccole strutture della società civile, della minaccia dell’oligarchia, dell’espansione del materialismo dell’iper-individualismo e del relativismo popolare, che cosa si può dire sulle prospettive di rinnovamento della cultura americana?
Benedetto XVI si recherà negli Stati Uniti dal 15 al 20 aprile prossimi in un viaggio che toccherà le città di Washington e New York. Il Pontefice incontrerà il presidente Bush alla Casa Bianca, si fermerà a Ground Zero a New York e terrà un importante discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. È in questa chiave che qui proponiamo una riflessione della studiosa Mary Ann Glendon, da poco ambasciatrice degli Usa in Vaticano, sul futuro della democrazia nel mondo e sul rispetto dei diritti umani. L’intervento è tratto dal volume Tradizioni in subbuglio appena edito da Rubbettino (pagine 242, euro 16) a cura di Paolo G. Carrozza e Marta Cartabia. Il volume verrà presentato martedì 1° aprile alle ore 17.30 a Roma, presso l’Istituto Sturzo, da Valerio Onida, Marcelo Sanchez Sorondo e Andrea Simoncini, alla presenza dell’autrice.
«Avvenire» del 30 marzo 2008
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