Di Jurij M. Lotman
Come si pongono rispetto al tema del “viaggio” Ulisse e Dante? In che cosa si assomigliano e in che cosa si differenziano i loro itinerari? Entrambi i personaggi compiono un percorso in linea retta, ma Ulisse su un piano orizzontale di espansione, Dante su un piano verticale di ascesa. Per entrambi la meta è l’aldilà, ma i loro tragitti sono diversi. Diversi sono anche i significati dei due viaggi: Dante è un pellegrino, Ulisse è un esploratore. La sete di conoscenza che muove Ulisse ha certamente un senso profondo anche per Dante, ma diverse sono le vie che li portano alla conoscenza: quella di Dante è una conoscenza che cresce in parallelo con la crescita morale, mentre quella di Ulisse si pone su un piano diverso, un piano che prevede la separazione fra conoscenza e morale. Secondo Lotman, Dante vuole rappresentare in Ulisse — e prenderne le distanze — l’uomo della nuova età e della nuova cultura, l’uomo del Rinascimento, quello della separazione appunto fra intelligenza e coscienza, fra scienza e morale, della frantumazione del sapere nei mille rivoli della specializzazione, della ricerca individuale e fine a se stessa.
Egli si trova nelle Malebolge come consigliere fraudolento. Alla luce di quanto abbiamo detto sull’atteggiamento di Dante nei confronti dell’inganno e della slealtà, questo non desta meraviglia. Attira però l’attenzione un altro elemento: il racconto del personaggio sul suo viaggio e sulla sua morte. A Ulisse come allo stesso Dante, è assegnato un cammino individuale. Nel percorso da loro compiuto nel continuum dell’universo c’è un sostanziale elemento di somiglianza: entrambi sono personaggi che si muovono in linea retta. La somiglianza si manifesta anche nel fatto che il loro movimento è aperto, uno slancio verso l’infinito. Partendo da punti esattamente indicati, entrambi si muovono nella direzione scelta ma non tendono verso una meta fissata in partenza. Nel loro movimento c’è però anche una sostanziale differenza.
Se Dante si trova all’interno di un globo cosmico, il cui spazio tridimensionale è passato da parte a parte dall’asse verticale, Ulisse invece viaggia come su una carta. Il senso del viaggio di Dante è dato dallo slancio verso l’alto. Tutto il viaggio di Ulisse si compie invece secondo le coordinate di un movimento su una superficie piana, mentre i segni che sono in rapporto con l’asse «alto-basso» non esistono. Queste caratteristiche cambiano solo al momento del naufragio. Il movimento in linea retta verso occidente si trasforma infatti in un movimento rotatorio (“il turbo’), che ripete quelli vorticosi dell’Inferno. La nave passa inoltre dalla posizione orizzontale a quella verticale (“alla quar ta levar la poppa in suso / e la prora ire in giù, com’altrui piacque / infin che ‘1 mar fu sopra noi richiuso”), momento che si accompagna ad una morte che si compie come una impetuosa discesa. La fine di Ulisse si contrappone così simmetricamente all’ascesa di Dante.
Ulisse è l’originale doppio di Dante. Questo fatto si rivela in due aspetti sostanziali. Prima di tutto, a differenza degli altri personaggi che per i loro peccati o per le loro virtù sono stati assegnati a luoghi determinati dell’universo dantesco, Dante e Ulisse sono eroi del viaggio sempre in movimento e, fatto che è ancora più importante, superano continuamente i confini di spazi proibiti.
La folla degli altri personaggi danteschi o si trova fissa in un luogo o si affretta verso una meta già stabilita, i cui confini determinano il suo posto nell’universo.
Ognuno di questi personaggi ha il suo spazio. Solo Dante e Ulisse, volontariamente o costretti, spinti da una potente passione, oltrepassano i confini che dividono una regione dell’universo dall’altra. Li unisce inoltre un itinerario comune. Entrambi si muovono infatti nella stessa direzione. Seguendo vie diverse vanno verso il Purgatorio: Dante attraverso l’Inferno e la cavità prodotta dalla caduta del corpo di Lucifero, Ulisse per mare, costeggiando la Spagna, Gibilterra, il Marocco. Benché il viaggio di Dante si compia nel mondo infernale e quello di Ulisse in uno spazio geografico reale, la meta verso la quale si muovono è la stessa. Questo è confermato dal fatto che, nel viaggio attraverso il Purgatorio e il Paradiso, è come se Dante prendesse la staffetta di Ulisse che ha fatto naufragio.
Tuttavia il senso di ogni doppio sta nella differenza che esiste pur nella somiglianza. Come Dante, Ulisse unisce l’aspirazione alla conoscenza «delli vizi umani e del valore» al desiderio di conoscere le strutture segrete del mondo
“De nostri sensi che del rimanente non vogliate negare l’esperienza di retro al sol del mondo sanza gente.” (If XXVI, 115-117)
Dante ha un evidente rispetto per questa nobile sete di conoscenza. Nella Commedia si trova più volte la contrapposizione fra uomini autentici e esseri simili a bestie in sembianze umane. Nel canto XIV del Purgatorio si ha ad esempio l’enume razione degli esseri simili a porci che vivono lungo le rive dell’Arno, dei cani aretini, dei lupi fiorentini, delle volpi pisane. Molte pene infernali si basano inoltre sulla realizzazione della metafora di esseri simili a bestie. Perciò l’“orazion picciola” di Ulisse che ricorda ai compagni che sono uomini e non bestie, che sono nati “per seguir virtute e canoscenza” e non per vivere come bruti, ha per il poeta un senso profondo.
La via per giungere alla conoscenza è tuttavia per Dante diversa da quella di Ulisse. La conoscenza dantesca, che si accompagna ad un’interrotta ascesa lungo l’asse dei valori morali, è una conoscenza che si sviluppa man mano che cresce il perfezionamento morale di chi aspira a realizzarla. L’elevarsi della propria moralità dà luce all’intelligenza.
La sete di conoscenza di Ulisse non è invece legata né alla moralità né all’immoralità, ma si trova su un altro piano. Lo stesso Purgatorio è per lui solo un punto bianco sulla carta e il tentativo di raggiungerlo è un viaggio ispirato dalla sete delle scoperte geografiche. Dante è un pellegrino, Ulisse un esploratore. Non a caso nel suo pellegrinaggio inferna le e cosmico Dante ha sempre una guida, mentre a guidare Ulisse sono solo il carattere intrepido e l’audacia. Allo spirito e al carattere del ricercatore di avventure egli unisce l’indomabilità di Farinata. L’epico briccone, il leggendario eroe degli inganni che si trasfor ma nella poesia di Omero nell’astuto re di Itaca, acquista nel poema di Dante i tratti del l’uomo del Rinascimento, dello scopritore di nuove terre, del viaggiatore. Questa immagine attraeva Dante per la sua integrità e la sua forza e lo allontanava per la sua indiffe renza morale. Ma osservando quest’immagine di eroico avventuriero, di ricercatore che indaga in tutte le regioni esclusa quella morale, Dante ha visto in lui qualcosa di più generale della psicologia del futuro che si stava avvicinando, i tratti propri della coscienza scientifica e più ampiamente culturale del tempo nuovo: la separazione fra la scienza e la morale, fra la scoperta e il suo risultato, fra la scienza e la personalità dello scienziato.
Sarebbe un errore vedere nell’opposizione fra Dante e Ulisse da noi indicata soltanto un conflitto storicamente lontano fra la psicologia del pensatore medievale e quella dell’uomo del Rinascimento.
La storia della cultura mondiale ha più volte confermato che i pensatori che si trovano sulla soglia di un’epoca spesso ne vedono il senso e i risultati più chiaramente delle generazioni successive già in essa coinvolte. Trovandosi sulla soglia di una epoca nuova, Dante ha visto uno dei pericoli fondamentali della cultura che stava per manifestarsi.
La tendenza al potenziamento della singola personalità, alla sua specializzazione, che portava alla separazione dell’intelligenza dalla coscienza, della scienza dalla morale, che egli già preavvertiva nell’epoca nuova, gli era profondamente ostile. Propria del suo ideale era l’integrazione. L’enciclopedismo delle sue conoscenze, che includevano tutto l’arsenale delle scienze del suo tempo, nella sua coscienza non si presentava come somma di informazioni eterogenee, ma costituiva un unico edificio integrato che a sua volta rientrava nell’ideale dell’impero universale e della costruzione armonica del cosmo. Al centro di questa gigantesca costruzione si trovava l’uomo, potente come i giganti del Rinascimento, ma integrato nel mondo che lo circonda, in rapporto con tutte le sfere concentriche dell’uni verso e quindi penetrato del pathos morale.
In questa prospettiva è possibile cogliere fra le coordinate spaziali del viaggio di Ulisse e quelle di Dante un altro punto di contatto. Se l’asse secondo il quale si compie il viaggio ultraterreno di Dante è la verticale «alto-basso», è presente nel poema — ricordata più volte nell’Inferno e infine pienamente svelata nel Paradiso — l’immagine di un altro viaggio, che si compie come il movimento di Ulisse sull’asse orizzontale: quello dell’esule, non libero come il peregrinare dell’eroe greco, ma imposto dalle lotte, le disunioni, gli squilibri del suo tempo.
Per entrambi i personaggi i due assi — orizzontale verticale — entrano fra loro in rapporto di gioco, ma in una prospettiva rovesciata come in uno specchio. A Ulisse, personaggio pagano interpretato dal cristiano Dante, nel suo libero e coraggioso vagare su una superficie orizzontale, manca la spinta ideale verso l’alto. Quando l’asse verticale e le sue coordinate spaziali si presentano alla fine della vita (“il turbo”, la “montagna bruna e alta quanto veduta non avea alcuna”), il loro significato resta per lui incomprensibile e il movi mento della nave dall’altò verso il basso, causa della sua morte, gli viene imposto da una forza che egli non è in grado di riconoscere. Al contrario per Dante personaggio ad essere imposto da una realtà terrena che gli appare caotica e catastrofica e della quale gli sfugge il significato non negativo profonda trasformazione di una epoca di trapasso, è il movimento secondo l’asse orizzontale: la partenza da Firenze, il vagare di corte in corte, la proibizione di fare ritorno. Lo slancio verso l’alto, il suo movimento lungo l’asse verticale, è strettamente legato all’esperienza tutta terrena del movimento orizzontale imposto dall’esilio che a Dante personaggio minacciosamente si prepara — come parte della sua missione e del suo grande destino — e che Dante autore vive durante la stesura della Commedia; immane sforzo per ristabilire, in un tentativo “a cui pongono mano cielo e terra”, quell’equilibrio che rendeva l’uomo parte integrante di un’armonica costruzione cosmica.
Egli si trova nelle Malebolge come consigliere fraudolento. Alla luce di quanto abbiamo detto sull’atteggiamento di Dante nei confronti dell’inganno e della slealtà, questo non desta meraviglia. Attira però l’attenzione un altro elemento: il racconto del personaggio sul suo viaggio e sulla sua morte. A Ulisse come allo stesso Dante, è assegnato un cammino individuale. Nel percorso da loro compiuto nel continuum dell’universo c’è un sostanziale elemento di somiglianza: entrambi sono personaggi che si muovono in linea retta. La somiglianza si manifesta anche nel fatto che il loro movimento è aperto, uno slancio verso l’infinito. Partendo da punti esattamente indicati, entrambi si muovono nella direzione scelta ma non tendono verso una meta fissata in partenza. Nel loro movimento c’è però anche una sostanziale differenza.
Se Dante si trova all’interno di un globo cosmico, il cui spazio tridimensionale è passato da parte a parte dall’asse verticale, Ulisse invece viaggia come su una carta. Il senso del viaggio di Dante è dato dallo slancio verso l’alto. Tutto il viaggio di Ulisse si compie invece secondo le coordinate di un movimento su una superficie piana, mentre i segni che sono in rapporto con l’asse «alto-basso» non esistono. Queste caratteristiche cambiano solo al momento del naufragio. Il movimento in linea retta verso occidente si trasforma infatti in un movimento rotatorio (“il turbo’), che ripete quelli vorticosi dell’Inferno. La nave passa inoltre dalla posizione orizzontale a quella verticale (“alla quar ta levar la poppa in suso / e la prora ire in giù, com’altrui piacque / infin che ‘1 mar fu sopra noi richiuso”), momento che si accompagna ad una morte che si compie come una impetuosa discesa. La fine di Ulisse si contrappone così simmetricamente all’ascesa di Dante.
Ulisse è l’originale doppio di Dante. Questo fatto si rivela in due aspetti sostanziali. Prima di tutto, a differenza degli altri personaggi che per i loro peccati o per le loro virtù sono stati assegnati a luoghi determinati dell’universo dantesco, Dante e Ulisse sono eroi del viaggio sempre in movimento e, fatto che è ancora più importante, superano continuamente i confini di spazi proibiti.
La folla degli altri personaggi danteschi o si trova fissa in un luogo o si affretta verso una meta già stabilita, i cui confini determinano il suo posto nell’universo.
Ognuno di questi personaggi ha il suo spazio. Solo Dante e Ulisse, volontariamente o costretti, spinti da una potente passione, oltrepassano i confini che dividono una regione dell’universo dall’altra. Li unisce inoltre un itinerario comune. Entrambi si muovono infatti nella stessa direzione. Seguendo vie diverse vanno verso il Purgatorio: Dante attraverso l’Inferno e la cavità prodotta dalla caduta del corpo di Lucifero, Ulisse per mare, costeggiando la Spagna, Gibilterra, il Marocco. Benché il viaggio di Dante si compia nel mondo infernale e quello di Ulisse in uno spazio geografico reale, la meta verso la quale si muovono è la stessa. Questo è confermato dal fatto che, nel viaggio attraverso il Purgatorio e il Paradiso, è come se Dante prendesse la staffetta di Ulisse che ha fatto naufragio.
Tuttavia il senso di ogni doppio sta nella differenza che esiste pur nella somiglianza. Come Dante, Ulisse unisce l’aspirazione alla conoscenza «delli vizi umani e del valore» al desiderio di conoscere le strutture segrete del mondo
“De nostri sensi che del rimanente non vogliate negare l’esperienza di retro al sol del mondo sanza gente.” (If XXVI, 115-117)
Dante ha un evidente rispetto per questa nobile sete di conoscenza. Nella Commedia si trova più volte la contrapposizione fra uomini autentici e esseri simili a bestie in sembianze umane. Nel canto XIV del Purgatorio si ha ad esempio l’enume razione degli esseri simili a porci che vivono lungo le rive dell’Arno, dei cani aretini, dei lupi fiorentini, delle volpi pisane. Molte pene infernali si basano inoltre sulla realizzazione della metafora di esseri simili a bestie. Perciò l’“orazion picciola” di Ulisse che ricorda ai compagni che sono uomini e non bestie, che sono nati “per seguir virtute e canoscenza” e non per vivere come bruti, ha per il poeta un senso profondo.
La via per giungere alla conoscenza è tuttavia per Dante diversa da quella di Ulisse. La conoscenza dantesca, che si accompagna ad un’interrotta ascesa lungo l’asse dei valori morali, è una conoscenza che si sviluppa man mano che cresce il perfezionamento morale di chi aspira a realizzarla. L’elevarsi della propria moralità dà luce all’intelligenza.
La sete di conoscenza di Ulisse non è invece legata né alla moralità né all’immoralità, ma si trova su un altro piano. Lo stesso Purgatorio è per lui solo un punto bianco sulla carta e il tentativo di raggiungerlo è un viaggio ispirato dalla sete delle scoperte geografiche. Dante è un pellegrino, Ulisse un esploratore. Non a caso nel suo pellegrinaggio inferna le e cosmico Dante ha sempre una guida, mentre a guidare Ulisse sono solo il carattere intrepido e l’audacia. Allo spirito e al carattere del ricercatore di avventure egli unisce l’indomabilità di Farinata. L’epico briccone, il leggendario eroe degli inganni che si trasfor ma nella poesia di Omero nell’astuto re di Itaca, acquista nel poema di Dante i tratti del l’uomo del Rinascimento, dello scopritore di nuove terre, del viaggiatore. Questa immagine attraeva Dante per la sua integrità e la sua forza e lo allontanava per la sua indiffe renza morale. Ma osservando quest’immagine di eroico avventuriero, di ricercatore che indaga in tutte le regioni esclusa quella morale, Dante ha visto in lui qualcosa di più generale della psicologia del futuro che si stava avvicinando, i tratti propri della coscienza scientifica e più ampiamente culturale del tempo nuovo: la separazione fra la scienza e la morale, fra la scoperta e il suo risultato, fra la scienza e la personalità dello scienziato.
Sarebbe un errore vedere nell’opposizione fra Dante e Ulisse da noi indicata soltanto un conflitto storicamente lontano fra la psicologia del pensatore medievale e quella dell’uomo del Rinascimento.
La storia della cultura mondiale ha più volte confermato che i pensatori che si trovano sulla soglia di un’epoca spesso ne vedono il senso e i risultati più chiaramente delle generazioni successive già in essa coinvolte. Trovandosi sulla soglia di una epoca nuova, Dante ha visto uno dei pericoli fondamentali della cultura che stava per manifestarsi.
La tendenza al potenziamento della singola personalità, alla sua specializzazione, che portava alla separazione dell’intelligenza dalla coscienza, della scienza dalla morale, che egli già preavvertiva nell’epoca nuova, gli era profondamente ostile. Propria del suo ideale era l’integrazione. L’enciclopedismo delle sue conoscenze, che includevano tutto l’arsenale delle scienze del suo tempo, nella sua coscienza non si presentava come somma di informazioni eterogenee, ma costituiva un unico edificio integrato che a sua volta rientrava nell’ideale dell’impero universale e della costruzione armonica del cosmo. Al centro di questa gigantesca costruzione si trovava l’uomo, potente come i giganti del Rinascimento, ma integrato nel mondo che lo circonda, in rapporto con tutte le sfere concentriche dell’uni verso e quindi penetrato del pathos morale.
In questa prospettiva è possibile cogliere fra le coordinate spaziali del viaggio di Ulisse e quelle di Dante un altro punto di contatto. Se l’asse secondo il quale si compie il viaggio ultraterreno di Dante è la verticale «alto-basso», è presente nel poema — ricordata più volte nell’Inferno e infine pienamente svelata nel Paradiso — l’immagine di un altro viaggio, che si compie come il movimento di Ulisse sull’asse orizzontale: quello dell’esule, non libero come il peregrinare dell’eroe greco, ma imposto dalle lotte, le disunioni, gli squilibri del suo tempo.
Per entrambi i personaggi i due assi — orizzontale verticale — entrano fra loro in rapporto di gioco, ma in una prospettiva rovesciata come in uno specchio. A Ulisse, personaggio pagano interpretato dal cristiano Dante, nel suo libero e coraggioso vagare su una superficie orizzontale, manca la spinta ideale verso l’alto. Quando l’asse verticale e le sue coordinate spaziali si presentano alla fine della vita (“il turbo”, la “montagna bruna e alta quanto veduta non avea alcuna”), il loro significato resta per lui incomprensibile e il movi mento della nave dall’altò verso il basso, causa della sua morte, gli viene imposto da una forza che egli non è in grado di riconoscere. Al contrario per Dante personaggio ad essere imposto da una realtà terrena che gli appare caotica e catastrofica e della quale gli sfugge il significato non negativo profonda trasformazione di una epoca di trapasso, è il movimento secondo l’asse orizzontale: la partenza da Firenze, il vagare di corte in corte, la proibizione di fare ritorno. Lo slancio verso l’alto, il suo movimento lungo l’asse verticale, è strettamente legato all’esperienza tutta terrena del movimento orizzontale imposto dall’esilio che a Dante personaggio minacciosamente si prepara — come parte della sua missione e del suo grande destino — e che Dante autore vive durante la stesura della Commedia; immane sforzo per ristabilire, in un tentativo “a cui pongono mano cielo e terra”, quell’equilibrio che rendeva l’uomo parte integrante di un’armonica costruzione cosmica.
Brano tratto da Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura, Laterza, Roma-Bari, 1980
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