Le poesie di Orazio nei Millenni
di Armando Torno
Suggeriva di mettersi, in qualunque modo, al riparo dai colpi della vita
Se dovessimo prestare fede a quanto scrive Svetonio nella sezione riservata ai poeti del De viris illustribus, Orazio non era bello. Aveva occhi cisposi, colorito scuro, capelli argentati prima dell' età canonica; era poi grassoccio e di bassa statura. Non gli batteva nel petto un cuore di leone e quella rara volta che rischiò qualcosa - infiammatosi delle idee di libertà entrò nell' esercito di Bruto, conosciuto ad Atene, e combattè a Filippi - si salvò dalla sconfitta con la fuga, non prima di avere abbandonato lo scudo. Ebbe la fortuna di piacere a Mecenate e di essere stimato da Augusto, anzi potè permettersi il lusso di declinare l' invito a ricoprire l' incarico di segretario particolare dell' imperatore, senza che questi se ne adontasse. Studiò filosofia ma non si lasciò coinvolgere più del dovuto dalle idee e dagli entusiasmi di coloro che desiderano realizzarle; cercò, caso mai, di ricavarne qualche precetto di vita, rimanendo nei confini del buon senso. Si accostò prima alla scuola accademica e poi a quella di Epicuro; la polemica contro lo stoicismo e i suoi dogmi si avverte nelle Satire, anche se talune simpatie per questa corrente di pensiero le provò più in là negli anni. Del resto, egli non si pose fini particolari: la sua poetica, venata di edonismo, riteneva che i versi avessero il potere di giovare e dilettare, ovvero di unire l'utile al piacere. Indole indipendente, animo alieno dalle grandi passioni (anche se il solito Svetonio lo ricorda dedito ai sollazzi venerei), sincero cultore dell'amicizia e della vita appartata, osservatore più che sognatore, lanciò dal suo ritiro discreto il motto appuntito come uno spillo: Carpe diem. In esso, come nello specchio di Narciso, si possono riflettere le filosofie e le antifilosofie dell'occidente: per questo le due parole rotoleranno nei secoli mietendo proseliti, giungendo sino a noi, accolte a Hollywood nel film di Weir L'attimo fuggente. Ma perché Orazio invita nel primo libro delle Odi a godere il giorno che passa? La risposta, banale e sublime al tempo stesso, si legge nella continuazione del verso: «Quam minimum credula postero», vale a dire: «Confidando il meno possibile nel futuro». Per tal motivo egli consiglia, nel secondo libro delle ricordate Odi, di cercare rifugio in quell'«aurea mediocritas» che non piace agli eroi ma vince gli affanni. Non si creda tuttavia che Orazio fosse di mente mediocre, appartenente a quel genere che anche i dilettanti di umanesimo possono capire e tradurre nelle pause delle loro dense giornate. Il suo latino scivola dalle mani, giacché si è dinanzi a un poeta allo stesso tempo lontano e vicino, insulso e indispensabile. Bisogna essere stati delusi dalla vita per entrare nel suo segreto, occorre avere nel cuore cicatrici profonde per apprezzare versi come i seguenti, tratti del primo libro delle Epistole: «Nil admirari prope res est una, Numici, /solaque, quae possit facere et servare beatum», ovvero: «Non stupirsi di nulla è quasi l'unica, /la sola cosa, o Numicio, che può fare/ e conservare felici». La traduzione che abbiamo riportato è di Carlo Carena e si trova nella raccolta di Orazio Tutte le poesie (Einaudi, I Millenni, pp. 1.048, 95). Curato da Paolo Fedeli, che ha scritto una introduzione che è anche un prezioso ritratto, questo volume riflette l'affetto che Carena ha testimoniato per tutta la vita ai classici. Nasce facendo tesoro dell'edizione realizzata per il Poligrafico dello Stato nella ricorrenza del bimillenario oraziano, che vide la luce tra il 1991 e il 1997, dove i nomi ricordati di Fedeli e Carena si ritrovano. Ma quel che ci sentiamo di notare in margine è l'utilità pratica del libro einaudiano, sorta di manuale per sopravvivere al presente. Il sommo autore latino offre sempre le parole per la legittima difesa dello spirito e per sbugiardare i cretini di talento, categoria oggi in forte espansione. Nel saggio A tu per tu con Orazio, premesso alla raccolta da Carena, ci sono mille spunti, innumerevoli suggerimenti raccolti sulla fortuna secolare del poeta, tra i quali non mancano quelli di Michel de Montaigne. E qui occorre richiamare un passo degli Essais, ispirato a versi tratti da Odi ed Epistole: «Mettersi come che sia al riparo dai colpi, anche se il modo non è molto glorioso e neanche esemplare; perciò non alzare nemmeno il capo troppo in alto». Prudenza e sano egoismo, insomma: proteggono dai violenti e dai veri mediocri. Che abbondano e purtroppo non sanno di essere tali.
«Corriere della Sera» del 14 settembre 2009 2009
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