La sete di conoscenza dell’uomo spinge ogni generazione ad ampliare il concetto di ragione e ad abbeverarsi alle fonti della fede
di Benedetto XVI
Pubblichiamo ampi estratti del discorso rivolto domenica 27 da Benedetto XVI al mondo accademico durante l’incontro tenutosi nel Castello di Praga.
Il mondo accademico, sostenendo i valori culturali e spirituali della società e insieme offrendo ad essi il proprio contributo, svolge il prezioso servizio di arricchire il patrimonio intellettuale della nazione e di fortificare le fondamenta del suo futuro sviluppo. I grandi cambiamenti che venti anni fa trasformarono la società ceca furono causati, non da ultimo, dai movimenti di riforma che si originarono nelle università e nei circoli studenteschi. Quella ricerca di libertà ha continuato a guidare il lavoro degli studiosi: la loro diakonia alla verità è indispensabile al benessere di qualsiasi nazione.
Chi vi parla è stato un professore, attento al diritto della libertà accademica e alla responsabilità per l’uso autentico della ragione, ed ora è il Papa che, nel suo ruolo di pastore, è riconosciuto come voce autorevole per la riflessione etica dell’umanità. Se è vero che alcuni ritengono che le domande sollevate dalla religione, dalla fede e dall’etica non abbiano posto nell’ambito della ragione pubblica, tale visione non è per nulla evidente. La libertà che è alla base dell’esercizio della ragione – in una università come nella Chiesa – ha uno scopo preciso: essa è diretta alla ricerca della verità, e come tale esprime una dimensione propria del cristianesimo, che non per nulla ha portato alla nascita dell’università. In verità, la sete di conoscenza dell’uomo spinge ogni generazione ad ampliare il concetto di ragione e ad abbeverarsi alle fonti della fede. (...) L’autonomia propria di una università, anzi di qualsiasi istituzione scolastica, trova significato nella capacità di rendersi responsabile di fronte alla verità. Ciononostante, quell’autonomia può essere resa vana in diversi modi. La grande tradizione formativa, aperta al trascendente, che è all’origine delle università in tutta Europa, è stata sistematicamente sovvertita, qui in questa terra e altrove, dalla riduttiva ideologia del materialismo, dalla repressione della religione e dall’oppressione dello spirito umano. Nel 1989, tuttavia, il mondo è stato testimone in maniera drammatica del rovesciamento di una ideologia totalitaria fallita e del trionfo dello spirito umano.
L’anelito per la libertà e la verità è parte inalienabile della nostra comune umanità. Esso non può mai essere eliminato e, come la storia ha dimostrato, può essere negato solo mettendo in pericolo l’umanità stessa. È a questo anelito che cercano di rispondere la fede religiosa, le varie arti, la filosofia, la teologia e le altre discipline scientifiche, ciascuna col proprio metodo, sia sul piano di un’attenta riflessione che su quello di una buona prassi.
(...) Deve essere riguadagnata l’idea di una formazione integrale, basata sull’unità della conoscenza radicata nella verità. Ciò può contrastare la tendenza, così evidente nella società contemporanea, verso la frammentazione del sapere. Con la massiccia crescita dell’informazione e della tecnologia nasce la tentazione di separare la ragione dalla ricerca della verità. La ragione però, una volta separata dal fondamentale orientamento umano verso la verità, comincia a perdere la propria direzione. Essa finisce per inaridire o sotto la parvenza di modestia, quando si accontenta di ciò che è puramente parziale o provvisorio, oppure sotto l’apparenza di certezza, quando impone la resa alle richieste di quanti danno in maniera indiscriminata uguale valore praticamente a tutto. Il relativismo che ne deriva genera un camuffamento, dietro cui possono nascondersi nuove minacce all’autonomia delle istituzioni accademiche. (...) In questo contesto di una visione eminentemente umanistica della missione dell’università, vorrei accennare brevemente al superamento di quella frattura tra scienza e religione che fu una preoccupazione centrale del mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II.
Egli, come sapete, ha promosso una più piena comprensione della relazione tra fede e ragione, intese come le due ali con le quali lo spirito umano è innalzato alla contemplazione della verità (cfr Fides et ratio, Proemio). L’una sostiene l’altra ed ognuna ha il suo proprio ambito di azione (cfr ibid., 17), nonostante vi siano ancora quelli che vorrebbero disgiungere l’una dall’altra. Coloro che propongono questa esclusione positivistica del divino dall’universalità della ragione non solo negano quella che è una delle più profonde convinzioni dei credenti: essi finiscono per contrastare proprio quel dialogo delle culture che loro stessi propongono. Una comprensione della ragione sorda al divino, che relega le religioni nel regno delle subculture, è incapace di entrare in quel dialogo delle culture di cui il nostro mondo ha così urgente bisogno. Alla fine, la «fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà» ( Caritas in veritate, 9).
Chi vi parla è stato un professore, attento al diritto della libertà accademica e alla responsabilità per l’uso autentico della ragione, ed ora è il Papa che, nel suo ruolo di pastore, è riconosciuto come voce autorevole per la riflessione etica dell’umanità. Se è vero che alcuni ritengono che le domande sollevate dalla religione, dalla fede e dall’etica non abbiano posto nell’ambito della ragione pubblica, tale visione non è per nulla evidente. La libertà che è alla base dell’esercizio della ragione – in una università come nella Chiesa – ha uno scopo preciso: essa è diretta alla ricerca della verità, e come tale esprime una dimensione propria del cristianesimo, che non per nulla ha portato alla nascita dell’università. In verità, la sete di conoscenza dell’uomo spinge ogni generazione ad ampliare il concetto di ragione e ad abbeverarsi alle fonti della fede. (...) L’autonomia propria di una università, anzi di qualsiasi istituzione scolastica, trova significato nella capacità di rendersi responsabile di fronte alla verità. Ciononostante, quell’autonomia può essere resa vana in diversi modi. La grande tradizione formativa, aperta al trascendente, che è all’origine delle università in tutta Europa, è stata sistematicamente sovvertita, qui in questa terra e altrove, dalla riduttiva ideologia del materialismo, dalla repressione della religione e dall’oppressione dello spirito umano. Nel 1989, tuttavia, il mondo è stato testimone in maniera drammatica del rovesciamento di una ideologia totalitaria fallita e del trionfo dello spirito umano.
L’anelito per la libertà e la verità è parte inalienabile della nostra comune umanità. Esso non può mai essere eliminato e, come la storia ha dimostrato, può essere negato solo mettendo in pericolo l’umanità stessa. È a questo anelito che cercano di rispondere la fede religiosa, le varie arti, la filosofia, la teologia e le altre discipline scientifiche, ciascuna col proprio metodo, sia sul piano di un’attenta riflessione che su quello di una buona prassi.
(...) Deve essere riguadagnata l’idea di una formazione integrale, basata sull’unità della conoscenza radicata nella verità. Ciò può contrastare la tendenza, così evidente nella società contemporanea, verso la frammentazione del sapere. Con la massiccia crescita dell’informazione e della tecnologia nasce la tentazione di separare la ragione dalla ricerca della verità. La ragione però, una volta separata dal fondamentale orientamento umano verso la verità, comincia a perdere la propria direzione. Essa finisce per inaridire o sotto la parvenza di modestia, quando si accontenta di ciò che è puramente parziale o provvisorio, oppure sotto l’apparenza di certezza, quando impone la resa alle richieste di quanti danno in maniera indiscriminata uguale valore praticamente a tutto. Il relativismo che ne deriva genera un camuffamento, dietro cui possono nascondersi nuove minacce all’autonomia delle istituzioni accademiche. (...) In questo contesto di una visione eminentemente umanistica della missione dell’università, vorrei accennare brevemente al superamento di quella frattura tra scienza e religione che fu una preoccupazione centrale del mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II.
Egli, come sapete, ha promosso una più piena comprensione della relazione tra fede e ragione, intese come le due ali con le quali lo spirito umano è innalzato alla contemplazione della verità (cfr Fides et ratio, Proemio). L’una sostiene l’altra ed ognuna ha il suo proprio ambito di azione (cfr ibid., 17), nonostante vi siano ancora quelli che vorrebbero disgiungere l’una dall’altra. Coloro che propongono questa esclusione positivistica del divino dall’universalità della ragione non solo negano quella che è una delle più profonde convinzioni dei credenti: essi finiscono per contrastare proprio quel dialogo delle culture che loro stessi propongono. Una comprensione della ragione sorda al divino, che relega le religioni nel regno delle subculture, è incapace di entrare in quel dialogo delle culture di cui il nostro mondo ha così urgente bisogno. Alla fine, la «fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà» ( Caritas in veritate, 9).
«Avvenire» del 29 settembre 2009
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