di Alen Custovic
Oggi ricorre la Giornata internazionale della lotta all’analfabetismo istituita dall’Unesco. Considerando i circa 800 milioni di persone della Terra che non sanno né leggere né scrivere, dei quali due terzi donne e bambini, si tratta di un tema tanto attuale quanto spesso trascurato. Sebbene le cifre del fenomeno siano sfuggenti, una grande percentuale degli analfabeti si concentra in Africa; il tasso medio nei 'Paesi in via di sviluppo' si aggira sul 40%. La centralità dell’educazione, sancita già nel 1989 dalla convenzione dell’Onu, riconosce quest’ultima componente portante dei diritti dell’infanzia. Ancora oggi però troppi bambini nel mondo non hanno possibilità di studiare.
Secondo l’Istat in Italia lavorano circa 150mila bambini tra i 7 e i 14 anni, anche se altre indagini parlano di cifre più alte. Ecco che allora portare o riportare i bambini sui banchi di scuola diventa un obiettivo da raggiungere per proteggerli da abusi e devianze.
Per disporre, attraverso l’alfabetizzazione diffusa, i mattoni portanti di una società più solida. Sebbene l’Italia abbia fatto passi da gigante dai tempi dell’Unità, quando l’analfabetismo si aggirava sull’80%, il Paese non ha ancora vinto del tutto questa battaglia. Infatti, oltre ad uno zoccolo duro di analfabeti tradizionalmente presenti, che l’Istat stima attorno a 800mila persone, si aggiungono nuove schiere di analfabeti adulti e giovani. Così, anche se attualmente l’Italia si attesta ufficialmente tra i Paesi più alfabetizzati al mondo, con quasi il 99%, ciò non significa che vi corrispondano effettive abilità comunicative; anche perché le modalità di rilevamento spesso si basano su autodichiarazioni. Lo stesso Unesco identifica la categoria degli 'analfabeti funzionali', persone che seppure formalmente del tutto o parzialmente alfabetizzate non sono in grado di utilizzare tali competenze in modo efficiente.
Da questo punto di vista secondo l’Unla, associazione che lotta contro l’analfabetismo, gli 'illetterati' sarebbero molti di più di quelli stimati dall’Istat. Se a questi si aggiungono infatti gli oltre 5 milioni di cittadini che hanno frequentato solo le elementari, e se si considera che le conoscenze acquisite a scuola e non esercitate finiscono per essere perse, significa che probabilmente in Italia ci sono circa 6 milioni di persone con serie difficoltà nella lettura e nell’espressione scritta dei pensieri. Nella stessa direzione muove anche una ricerca dell’Osce che, attraverso interviste basate su prove concrete di misurazione delle capacità, evidenzia un quadro poco incoraggiante. Dati ai quali contribuisce il fenomeno della dispersione scolastica. A proposito dell’istruzione è interessante notare la posizione di fanalino di coda, rilevata dall’Eurostat, dei giovani laureati italiani: a fronte di una media europea del 30%, soltanto il 19% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è in possesso della laurea; risultato peraltro fortemente legato alle condizioni della famiglia di provenienza. Forse è proprio dalla sommatoria tra 'vecchi' e 'nuovi' analfabeti che si spiegano situazioni, ad esempio, di persone negli uffici postali in difficoltà con un bollettino postale oppure alle prese con ostiche letture di moduli e inserimenti dei propri dati. Per non parlare poi del 'digital divide', cioè del divario tra chi riesce e chi non riesce ad accedere alle nuove tecnologie, i cosiddetti nuovi analfabeti non in grado per esempio di comprare un biglietto dal distributore automatico. Una cosa ormai sembra assodata: nel mondo complesso in cui viviamo il bagaglio di competenze di una volta, il 'leggere, scrivere e far di conto', è ormai insufficiente per muoversi a proprio agio nelle dinamiche sociali.
Secondo l’Istat in Italia lavorano circa 150mila bambini tra i 7 e i 14 anni, anche se altre indagini parlano di cifre più alte. Ecco che allora portare o riportare i bambini sui banchi di scuola diventa un obiettivo da raggiungere per proteggerli da abusi e devianze.
Per disporre, attraverso l’alfabetizzazione diffusa, i mattoni portanti di una società più solida. Sebbene l’Italia abbia fatto passi da gigante dai tempi dell’Unità, quando l’analfabetismo si aggirava sull’80%, il Paese non ha ancora vinto del tutto questa battaglia. Infatti, oltre ad uno zoccolo duro di analfabeti tradizionalmente presenti, che l’Istat stima attorno a 800mila persone, si aggiungono nuove schiere di analfabeti adulti e giovani. Così, anche se attualmente l’Italia si attesta ufficialmente tra i Paesi più alfabetizzati al mondo, con quasi il 99%, ciò non significa che vi corrispondano effettive abilità comunicative; anche perché le modalità di rilevamento spesso si basano su autodichiarazioni. Lo stesso Unesco identifica la categoria degli 'analfabeti funzionali', persone che seppure formalmente del tutto o parzialmente alfabetizzate non sono in grado di utilizzare tali competenze in modo efficiente.
Da questo punto di vista secondo l’Unla, associazione che lotta contro l’analfabetismo, gli 'illetterati' sarebbero molti di più di quelli stimati dall’Istat. Se a questi si aggiungono infatti gli oltre 5 milioni di cittadini che hanno frequentato solo le elementari, e se si considera che le conoscenze acquisite a scuola e non esercitate finiscono per essere perse, significa che probabilmente in Italia ci sono circa 6 milioni di persone con serie difficoltà nella lettura e nell’espressione scritta dei pensieri. Nella stessa direzione muove anche una ricerca dell’Osce che, attraverso interviste basate su prove concrete di misurazione delle capacità, evidenzia un quadro poco incoraggiante. Dati ai quali contribuisce il fenomeno della dispersione scolastica. A proposito dell’istruzione è interessante notare la posizione di fanalino di coda, rilevata dall’Eurostat, dei giovani laureati italiani: a fronte di una media europea del 30%, soltanto il 19% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è in possesso della laurea; risultato peraltro fortemente legato alle condizioni della famiglia di provenienza. Forse è proprio dalla sommatoria tra 'vecchi' e 'nuovi' analfabeti che si spiegano situazioni, ad esempio, di persone negli uffici postali in difficoltà con un bollettino postale oppure alle prese con ostiche letture di moduli e inserimenti dei propri dati. Per non parlare poi del 'digital divide', cioè del divario tra chi riesce e chi non riesce ad accedere alle nuove tecnologie, i cosiddetti nuovi analfabeti non in grado per esempio di comprare un biglietto dal distributore automatico. Una cosa ormai sembra assodata: nel mondo complesso in cui viviamo il bagaglio di competenze di una volta, il 'leggere, scrivere e far di conto', è ormai insufficiente per muoversi a proprio agio nelle dinamiche sociali.
«Avvenire» dell'8 settembre 2009
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