01 settembre 2009

Omero nella banlieue

Un libro racconta la singolare lotta di un insegnante francese che nel degrado delle periferie parigine propone i classici dell’antichità
di Daniele Zappalà
Il greco e il latino, lingue di studio per eccellenza della cultura 'alta', come armi per sconfiggere l’emarginazione nella famigerata banlieue parigina.
L’idea potrà apparire paradossale, ma funziona. Parola di tanti ex allievi di Augustin d’Humières, giovani dei ceti più sfavoriti che ce l’hanno fatta grazie all’ostinazione e allo spirito indipendente di un professore di liceo diverso da tanti altri. Tutto comincia nel 1995, quando d’Humières viene assegnato ad un istituto superiore nella lontana periferia della capitale: il liceo Jean Vilar, dal nome del celebre direttore del Festival teatrale d’Avignone che fu anche un grande avvocato della necessità dell’ «alta cultura per tutti» e soprattutto per i ceti più popolari. Entrato col suo solido bagaglio classico per insegnare il greco e il latino, d’Humières non mette molto a comprendere quanto le vecchie ambizioni di Vilar si scontrino contro un muro apparentemente insormontabile nelle contrade più sfavorite della Francia di oggi, come ha raccontato il regista Laurent Cantet nel film La classe-Entre les murs vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2008. Lo stesso preside della struttura e gli altri insegnanti accolgono il brillante neolaureato con una certa commiserazione.
Come insegnare greco e latino a giovani che spesso stentano a comunicare in francese e talora apparentemente destinati a finire nel vortice della devianza? La prima battaglia di d’Humières consisterà in effetti nel 'salvare' i propri corsi opzionali, minacciati di soppressione per assenza d’iscritti. Una battaglia tutta in salita. Ma come talvolta capita di fronte alle sfide impossibili, d’Humières si convince che i suoi liceali non sono necessariamente condannati a una «vita da banlieue». Il professore decide di andare a pescare i propri futuri allievi nelle classi anteriori, per tentare di convincerli che il greco è utile anche al giorno d’oggi.
Con sua grande sorpresa, di fronte a giovani spesso disorientati e lasciati soli davanti alle proprie scelte, i mezzi della persuasione funzionano per raggranellare rapidamente una classe degna di questo nome. Comincerà così, quasi per caso, un’avventura esaltante rinnovata di anno in anno con crescente successo e finita adesso in un libro intitolato Omero e Shakespeare nella banlieue (Grasset). D’Humières vi racconta tutte le tappe di un autentico trionfo della maieutica e della pedagogia proprio laddove nessuno osava più sperare. L’insegnante ha impiegato ogni mezzo ed astuzia per incuriosire i propri allievi, senza mai temere gli sconfinamenti. Un esempio: «Da dove deriva il nome della marca Nike, se non dalla parola greca che designa la vittoria?». O ancora: «Come comprendere se non col greco la natura della malattia, la leucodistrofia, contro cui il calciatore Zinedine Zidane ha creato una fondazione?». Fra gli ex allievi di d’Humières figurano oggi avvocati, studenti in medicina o iscritti a prestigiosi master, tutti riconoscenti verso l’insegnante che ha aperto loro delle porte dapprincipio apparentemente sbarrate. A cominciare da quella del gusto per la cultura.
Circa un centinaio di questi adolescenti di periferia divenuti adulti anche grazie alle massime dei tempi antichi (apprese spesso a memoria) hanno deciso di seguire d’Humières nel quadro dei progetti della neonata associazione «Metis», volta a diffondere nei quartieri sfavoriti le lingue classiche e il teatro. E a proposito di drammaturghi, Shakespeare ha rappresentato l’altra imprevedibile arma vincente impiegata dal docente. La preparazione di rappresentazioni impegnative ma avvincenti come quella del Sogno di una notte di mezz’estate , per di più nella versione inglese originale, ha suscitato un vivo interesse, se non autentico entusiasmo. La prima dello spettacolo, nel 2003 presso il teatro comunale di Meaux, ha riunito mezzo migliaio di spettatori, fra cui tanti insegnanti quasi esterefatti. Una di loro, stravolta dall’esperimento riuscito del collega 'idealista', confesserà: «Non riconoscevamo i nostri allievi.
Era magico vedere quelli in maggiore difficoltà, bianchi, maghrebini, neri, cominciare a vivere letteralmente un testo di Shakespeare che avrebbero avuto difficoltà a leggere. In seguito, il loro atteggiamento in classe è molto cambiato. Il greco risveglia la loro curiosità per le parole, il teatro trasmette loro l’entusiasmo». E l’esperimento, adesso, potrebbe fare scuola anche altrove.
«Avvenire» del 1 settembre 2009

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