La televisione è una scuola così pervasiva da essere frequentata senza che nessuno ce lo ordini. E la sua capacità educativa non solo è nulla, ma è negativa
di Giorgio Bocca
Ogni giorno i cittadini dei paesi moderni, cioè di quelli che hanno accesso agli ultimi ritrovati della tecnica, frequentano una gigantesca scuola dell'obbligo, nel senso che è quasi impossibile rifiutarsi di frequentarla: la televisione. Una scuola senza aule e bidelli, casalinga, da seguire stando comodamente in poltrona con una birretta fresca a portata di mano. Senza orari obbligatori, ma di fatto frequentata da interi popoli per due o più ore al giorno. Decisiva per la cultura di un popolo perché insegna perentoriamente a tutti come parlare, come comportarsi, come gestire.
Che effetti ha avuto sul genere umano una scuola così pervasiva da essere universalmente frequentata senza che nessuno ce lo ordini? La prima constatazione è che la sua capacità educativa, la sua facoltà di correggere i difetti umani e di rafforzare le virtù non solo è nulla, ma negativa. Certamente non ha indotto i suoi frequentatori a non nominare il nome di Dio invano, a non desiderare la donna d'altri, a non uccidere, non rubare, non dare falsa testimonianza e a non cedere ai peccati della gola, della superbia e della vanità. Nel migliore dei casi i suoi interessati sostenitori, come il capo del governo italiano, la elogiano senza riserve per aver aperto al libero mercato e alle loro aziende gli sterminati pascoli della pubblicità, quanto a dire la prevalenza dell'imbonimento sulla corretta informazione.
Pur essendo difficile e forse impossibile dare voti a quell'enorme ammasso che è la cultura televisiva, possiamo dire che essa risulta pessima nel campo del linguaggio, dove il parlar curiale, colto, raffinato, elegante, è stato sostituito da una congerie volgare, idiomatica, dialettale, plebea, straniera, dal gigantesco swahili in cui s'intendono gli uomini che non sanno più parlare in una lingua nobile.
La scuola obbligatoria della televisione ha in comune con la modernità, con il progresso scientifico, di essere un processo variamente giudicabile, ma senza possibilità di pentimento, di correzione. Una volta scoperto e utilizzato il nuovo resta, nel bene come nel male, come ben sanno i contemporanei in perenne, angosciosa attesa che qualche pazzo faccia uso di quella scoperta demoniaca che è la bomba nucleare. Ma a parte la tragedia delle tragedie, l'apocalisse atomica, ci sono centinaia di innovazioni moderne che hanno cambiato la nostra vita in peggio. Non è forse evidente che la scrittura a mano, libera da ogni automatismo meccanico, da ogni memoria automatica era la migliore per la buona letteratura, che oggi un libro scritto con il computer ha un po' odor di computer? Che le scoperte conservative, imitative, ripetitive, fotografiche abbiano cambiato spesso in peggio le umane arti è evidente. E, per restare nel concreto, la distruzione del paesaggio voluto e imposto dalla modernità non è una condanna inevitabile del genere umano?
La grande scuola moderna della televisione, obbligatoria per milioni di uomini senza ordini superiori, è cosa buona o cattiva? Il fatto è che in pratica nessuno se lo chiede più, e che gli Stati nemici della televisione come lo fu il primo Israele si sono arresi.
La cosa più drammatica di questo tempo è la resa umana al cosiddetto progresso. Buono o cattivo lo accettiamo a scatola chiusa, la sua inarrestabilità produce orrore, ma anche rassegnazione. Ho visto questa estate due vallate alpine, la val Ferret e la val Veny, due stupende valli del Bianco sepolte sotto una lastra metallica di auto. Distrutte, violentate da masse umane felici dello scempio.
Che effetti ha avuto sul genere umano una scuola così pervasiva da essere universalmente frequentata senza che nessuno ce lo ordini? La prima constatazione è che la sua capacità educativa, la sua facoltà di correggere i difetti umani e di rafforzare le virtù non solo è nulla, ma negativa. Certamente non ha indotto i suoi frequentatori a non nominare il nome di Dio invano, a non desiderare la donna d'altri, a non uccidere, non rubare, non dare falsa testimonianza e a non cedere ai peccati della gola, della superbia e della vanità. Nel migliore dei casi i suoi interessati sostenitori, come il capo del governo italiano, la elogiano senza riserve per aver aperto al libero mercato e alle loro aziende gli sterminati pascoli della pubblicità, quanto a dire la prevalenza dell'imbonimento sulla corretta informazione.
Pur essendo difficile e forse impossibile dare voti a quell'enorme ammasso che è la cultura televisiva, possiamo dire che essa risulta pessima nel campo del linguaggio, dove il parlar curiale, colto, raffinato, elegante, è stato sostituito da una congerie volgare, idiomatica, dialettale, plebea, straniera, dal gigantesco swahili in cui s'intendono gli uomini che non sanno più parlare in una lingua nobile.
La scuola obbligatoria della televisione ha in comune con la modernità, con il progresso scientifico, di essere un processo variamente giudicabile, ma senza possibilità di pentimento, di correzione. Una volta scoperto e utilizzato il nuovo resta, nel bene come nel male, come ben sanno i contemporanei in perenne, angosciosa attesa che qualche pazzo faccia uso di quella scoperta demoniaca che è la bomba nucleare. Ma a parte la tragedia delle tragedie, l'apocalisse atomica, ci sono centinaia di innovazioni moderne che hanno cambiato la nostra vita in peggio. Non è forse evidente che la scrittura a mano, libera da ogni automatismo meccanico, da ogni memoria automatica era la migliore per la buona letteratura, che oggi un libro scritto con il computer ha un po' odor di computer? Che le scoperte conservative, imitative, ripetitive, fotografiche abbiano cambiato spesso in peggio le umane arti è evidente. E, per restare nel concreto, la distruzione del paesaggio voluto e imposto dalla modernità non è una condanna inevitabile del genere umano?
La grande scuola moderna della televisione, obbligatoria per milioni di uomini senza ordini superiori, è cosa buona o cattiva? Il fatto è che in pratica nessuno se lo chiede più, e che gli Stati nemici della televisione come lo fu il primo Israele si sono arresi.
La cosa più drammatica di questo tempo è la resa umana al cosiddetto progresso. Buono o cattivo lo accettiamo a scatola chiusa, la sua inarrestabilità produce orrore, ma anche rassegnazione. Ho visto questa estate due vallate alpine, la val Ferret e la val Veny, due stupende valli del Bianco sepolte sotto una lastra metallica di auto. Distrutte, violentate da masse umane felici dello scempio.
«L'Espresso» del 18 settembre 2009
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