La Fondazione Intercultura: ancora scarsi i progetti di gemellaggio. Carenti i finanziamenti. Quasi assente il Sud
di Paola Simonetti
Lo sguardo all’estero delle scuole italiane è ancora miope. Le porte della didattica restano semichiuse al mondo, bloccate da problemi organizzativi e culturali. I progetti di internazionalizzazione, scambio, gemellaggio, insegnamenti interculturali, dunque, sono pochi, appannaggio di ancor meno istituti del Nord e comunque ancora troppo legati alle buone prassi di raririssimi dirigenti scolastici illuminati. I nostri ragazzi, insomma, stentano a dirsi veri 'cittadini del mondo'. Il lavoro del neonato Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, nato quest’anno grazie alla Fondazione Intercultura e presentato ieri a Roma alla Camera dei deputati, parte da questi primi dati messi insieme dal centro di ricerche Ipsos. Il calcolo dell’ 'indice di internazionalizzazione' si è dipanato su diverse variabili rilevate nei 402 istituti presi in considerazione. Diciassette le voci analizzate, fra le quali il numero di lingue straniere insegnate, l’adesione a scambi internazionali, l’integrazione degli studenti, la presenza di ragazzi immigrati, ma anche l’autovalutazione e l’organizzazione di corsi di educazione alla cittadinanza. I risultati dell’indagine elaborata da Ipsos, espressi in una scala da 1 a 100, danno il polso di un’Italia che, al livello scolastico, fatica ad entrare in un’ottica almeno europea: il 49 per cento degli istituti ha ottenuto un indice inferiore a 35 e solo un 2 per cento fra 75 e 80, dimostrando di aver raggiunto un alto livello di internazionalità.
Ampio, purtroppo, il gap fra Nord e Sud: l’Italia settentrionale, sia Est che Ovest, con il Trentino in testa, è l’area geografica più incline all’internazionalità (45/100), con una preponderanza dei licei classici. Più appannata la 'performance' del Mezzogiorno che, rivela la ricerca, «pur facendo sentire forte la propria presenza nella partecipazione dei progetti» resta ad un esiguo 32/100. Diffidenza e paura degli insegnanti a sconvolgere i propri programmi scolastici, problemi organizzativi, oltre che di informazione e mancato riconoscimenti curriculare delle esperienze all’estero dei ragazzi, i principali ostacoli alla 'sprovincializzazione' della scuola italiana: gli stessi presidi intervistati, sostengono infatti che uno dei freni maggiori alla realizzazione di progetti di internazionalizzazione sia la «scarsa adesione da parte degli insegnanti» (22 per cento), così come si fa sentire la difficoltà di ottenere finanziamenti, mentre la poca partecipazione degli studenti incide solo per l’11 per cento. Una situazione che si rivela un paradosso, (per molti operatori scontato), in una società sempre più globalizzata e multietnica, che nell’apertura della didattica al mondo dovrebbe trovare lo strumento cruciale per una crescita concorrenziale: «L’internazionalizzazione è la vera leva dell’innovazione – ha dichiarato Antonio Giunta La Spada, Direttore generale per gli affari internazionali del Ministero dell’Istruzione –. Si deve approdare alla consapevolezza, che lo scambio internazionale nelle scuole, deve divenire parte integrante delle politiche scolastiche, uno degli aspetti fondamentali della crescita formativa e personale di studenti i decenti». Ma a fare da zavorra, secondo La Spada, ci sarebbero anche provvedimenti europei ancora deboli e trattati rimasti incompiuti, mentre per Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola, restano carenti formazione dei docenti, informazione di settore, ma anche accesso ai finanziamenti. «Gli spiragli non mancano – ha concluso –, ma il lavoro è duro e complesso».
Ampio, purtroppo, il gap fra Nord e Sud: l’Italia settentrionale, sia Est che Ovest, con il Trentino in testa, è l’area geografica più incline all’internazionalità (45/100), con una preponderanza dei licei classici. Più appannata la 'performance' del Mezzogiorno che, rivela la ricerca, «pur facendo sentire forte la propria presenza nella partecipazione dei progetti» resta ad un esiguo 32/100. Diffidenza e paura degli insegnanti a sconvolgere i propri programmi scolastici, problemi organizzativi, oltre che di informazione e mancato riconoscimenti curriculare delle esperienze all’estero dei ragazzi, i principali ostacoli alla 'sprovincializzazione' della scuola italiana: gli stessi presidi intervistati, sostengono infatti che uno dei freni maggiori alla realizzazione di progetti di internazionalizzazione sia la «scarsa adesione da parte degli insegnanti» (22 per cento), così come si fa sentire la difficoltà di ottenere finanziamenti, mentre la poca partecipazione degli studenti incide solo per l’11 per cento. Una situazione che si rivela un paradosso, (per molti operatori scontato), in una società sempre più globalizzata e multietnica, che nell’apertura della didattica al mondo dovrebbe trovare lo strumento cruciale per una crescita concorrenziale: «L’internazionalizzazione è la vera leva dell’innovazione – ha dichiarato Antonio Giunta La Spada, Direttore generale per gli affari internazionali del Ministero dell’Istruzione –. Si deve approdare alla consapevolezza, che lo scambio internazionale nelle scuole, deve divenire parte integrante delle politiche scolastiche, uno degli aspetti fondamentali della crescita formativa e personale di studenti i decenti». Ma a fare da zavorra, secondo La Spada, ci sarebbero anche provvedimenti europei ancora deboli e trattati rimasti incompiuti, mentre per Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola, restano carenti formazione dei docenti, informazione di settore, ma anche accesso ai finanziamenti. «Gli spiragli non mancano – ha concluso –, ma il lavoro è duro e complesso».
«Avvenire» dell'8 settembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento