di Mario Iannaccone
Morendo, nel settembre del 1909, il miliardario americano E. M. Harriman lasciò una favolosa fortuna alla figlia Mary, un’appassionata biologa che decise di finanziare con l’eredità un astro nascente dell’eugenetica, Charles Davenport. La sua Carnegie Institution’s Station fino a quel momento era stata una modesta istituzione dedicata allo studio di metodologie per rafforzare la causa eugenista.
Nello stesso 1909 fu fondata quella Rockfeller Foundation che avrebbe finanziato con un’ingente massa di denaro le pratiche eugenetiche e del depopolamento negli Stati Uniti e in Germania. Quell’anno di un secolo fa, nel meriggio dorato della Bell’Epoque, quando pareva che l’umanità si fosse lasciata alle spalle le sue tragedie più grandi, fu decisivo per l’affermazione del movimento eugenista. Perché se è vero che sono le idee a muovere il mondo, è altrettanto vero che queste idee vengono formalizzate e diffuse da agenzie di cambiamento. La rete d’istituzioni create a sostegno dell’eugenetica divenne influente nelle università e nelle istituzioni pubbliche.
Una nebulosa di associazioni ben finanziate lavorarono allo scopo di imporre l’idea che la selezione 'positiva' o 'negativa' (tramite sterilizzazione e aborto) fosse una battaglia di civiltà. Prima concentrata sulla selezione delle stirpi l’ideologia eugenetica si concentrò poi sulla 'pianificazione familiare'.
Con le importanti vittorie conseguite negli anni Sessanta, l’ideologia del depopolamento puntò sull’interruzione elettiva della gravidanza da applicare quando la contraccezione fallisce. Dopo la guerra, la costellazione di istituzioni dell’universo eugenista optò per una tattica criptoeugenetica che è ancora oggi al centro delle politiche abortiste e che incoraggia e finanzia la diffusione di farmaci quali l’RU486. Ricorrendo ad un energico lavaggio linguistico (per staccare ogni sospetto di continuità con le pratiche degli anni Trenta e Quaranta) si è conseguito l’obiettivo di abbassare la soglia della riprovazione sociale. Questa raffinata forma di persuasione ricorre alla scienza per convincere che il nascituro è un’'appendice filogenetica' della madre e non un vero individuo. Sul piano storiografico, sono oggi attivi coloro che Lucetta Scaraffia chiama i 'revisionisti' dell’eugenetica, i quali se da un lato condannano l’eugenetica classica, 'cattiva', sono interessati a salvare e difendere l’eugenetica 'buona' di cento anni fa. Quando il nascituro è considerato un’appendice filogenetica, esso viene avvicinato concettualmente al 'plasma' degli eugenisti d’antan, ovvero il materiale genetico da purificare.
L’accento, oggi, viene posto sulla purezza della scelta individuale, che deve essere assoluta, priva delle ombre dei 'pregiudizi religiosi'. Non c’è dubbio, l’enorme flusso di denaro che nel 1909 affluì agli istituti eugenetici furono spesi oculatamente; il 'cultural change', il mutamento culturale da allora ricercato è stato, in parte, conseguito.
Tuttavia la storia è fatta di cicli, e tutte le ideologie, prima o poi, muoiono.
Nello stesso 1909 fu fondata quella Rockfeller Foundation che avrebbe finanziato con un’ingente massa di denaro le pratiche eugenetiche e del depopolamento negli Stati Uniti e in Germania. Quell’anno di un secolo fa, nel meriggio dorato della Bell’Epoque, quando pareva che l’umanità si fosse lasciata alle spalle le sue tragedie più grandi, fu decisivo per l’affermazione del movimento eugenista. Perché se è vero che sono le idee a muovere il mondo, è altrettanto vero che queste idee vengono formalizzate e diffuse da agenzie di cambiamento. La rete d’istituzioni create a sostegno dell’eugenetica divenne influente nelle università e nelle istituzioni pubbliche.
Una nebulosa di associazioni ben finanziate lavorarono allo scopo di imporre l’idea che la selezione 'positiva' o 'negativa' (tramite sterilizzazione e aborto) fosse una battaglia di civiltà. Prima concentrata sulla selezione delle stirpi l’ideologia eugenetica si concentrò poi sulla 'pianificazione familiare'.
Con le importanti vittorie conseguite negli anni Sessanta, l’ideologia del depopolamento puntò sull’interruzione elettiva della gravidanza da applicare quando la contraccezione fallisce. Dopo la guerra, la costellazione di istituzioni dell’universo eugenista optò per una tattica criptoeugenetica che è ancora oggi al centro delle politiche abortiste e che incoraggia e finanzia la diffusione di farmaci quali l’RU486. Ricorrendo ad un energico lavaggio linguistico (per staccare ogni sospetto di continuità con le pratiche degli anni Trenta e Quaranta) si è conseguito l’obiettivo di abbassare la soglia della riprovazione sociale. Questa raffinata forma di persuasione ricorre alla scienza per convincere che il nascituro è un’'appendice filogenetica' della madre e non un vero individuo. Sul piano storiografico, sono oggi attivi coloro che Lucetta Scaraffia chiama i 'revisionisti' dell’eugenetica, i quali se da un lato condannano l’eugenetica classica, 'cattiva', sono interessati a salvare e difendere l’eugenetica 'buona' di cento anni fa. Quando il nascituro è considerato un’appendice filogenetica, esso viene avvicinato concettualmente al 'plasma' degli eugenisti d’antan, ovvero il materiale genetico da purificare.
L’accento, oggi, viene posto sulla purezza della scelta individuale, che deve essere assoluta, priva delle ombre dei 'pregiudizi religiosi'. Non c’è dubbio, l’enorme flusso di denaro che nel 1909 affluì agli istituti eugenetici furono spesi oculatamente; il 'cultural change', il mutamento culturale da allora ricercato è stato, in parte, conseguito.
Tuttavia la storia è fatta di cicli, e tutte le ideologie, prima o poi, muoiono.
«Avvenire» del 5 settembre 2009
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