di Ilaria Ramelli
L’ipotesi che il carteggio Seneca-Paolo, esclusa almeno l’Epistola XI, non sia necessariamente apocrifo è sostenuta anche da indizi storici. Nerone prese a perseguitare i cristiani proprio quando Seneca aveva perso influenza su di lui. Gallione, fratello di Seneca, conobbe Paolo, accusato dai Giudei, a Corinto nel 51, quando, proconsole d’Acaia, rifiutò di processarlo (At 18,12-17), esempio dell’atteggiamento favorevole di Roma verso i cristiani fino al 62. Ho già mostrato che la datazione dell’epistolario conferma la cronologia alta, secondo cui l’arresto di Paolo a Gerusalemme fu nel 54, il suo arrivo a Roma nel 56 e la sua assoluzione nel 58. Paolo, nel 58-9, era a Roma già da due anni ed era stato processato in un tribunale presieduto forse da Burro o Nerone. Seneca quindi, fratello di Gallione e vicino a Burro e Nerone, poteva conoscere Paolo, che predicava a Roma (At 28,30-31) e aveva discepoli persino nella «casa di Cesare» (Fil 4,22) – senza ipotizzare una conversione, che l’epistolario non presuppone e che è leggenda proto-umanistica. Un’epigrafe del Museo Archeologico Ostiense (Inv. N. 11020) datata da G. Susini alla fine del I secolo, non oltre la metà del II, suggerisce la precoce diffusione del cristianesimo nella gens Annaea in area romana: « D M M ANNEO PAULO PETRO M ANNEUS PAULUS FILIO CARISIMO [sic]».
Allora morì un cristiano degli Annei. «Paulus Petrus » associa i nomi dei due apostoli fondatori della comunità di Roma, ricordati insieme sin dagli inizî della tradizione, a partire da Clemente Romano, Ignazio, Gaio dell’epoca di papa Zefirino, e Dionigi di Corinto. Avendo ricevuto il suo nome cristiano qualche anno prima, e da persone probabilmente già cristiane della gens Annaea, come suo padre, questo giovane attesta che a fine I secolo il cristianesimo era nella gens di Seneca. Sempre allora, da ambienti senechiani sembra provenire, se non è di Seneca, l’Hercules Oetaeus , con possibili allusioni ai Vangeli. A suggerire che il carteggio non sia necessariamente apocrifo si aggiungono prove linguistiche e il fatto che nell’epistolario (tranne le Epistole XI e XIV) i riferimenti alle lettere neotestamentarie di Paolo sono tutti a lettere autentiche (non deutero-paoline) e appartenenti alla più antica raccolta delle epistole di Paolo. Un’analisi dei riferimenti neotestamentari nell’epistolario, che ho svolto per il Novum Testamentum Patristicum, mostra che esso conosce le prime lettere paoline, ma non il resto del Nuovo Testamento. E gli echi più frequenti e importanti di concezioni ed espressioni delle lettere autentiche di Paolo nel Nuovo Testamento sono riscontrabili nelle lettere dell’epistolario attribuite a Paolo, mentre le lettere di Seneca denunciano fraintendimenti del pensiero di Paolo. Alcune lettere paoline neotestamentarie sono non solo riecheggiate, ma menzionate in questa corrispondenza: qui è evidente la coincidenza con il primo gruppo delle lettere neotestamentarie di Paolo, che cominciavano a circolare negli anni dell’epistolario in una piccola raccolta: Galati, prima e seconda Corinzi, citate nell’Epistola VII. Un falsario avrebbe parlato di una sola lettera, o del corpus completo con lettere pseudo-paoline, o avrebbe citato un gruppo di lettere non corrispondente esattamente alla raccolta più antica. Avrebbe citato la lettera ai Romani, che Paolo scrisse ben prima di recarsi a Roma. Ma nell’epistolario non ve n’è traccia, poiché non era inclusa nella prima raccolta.
E non sarebbe stato prudente leggerla all’imperatore: rivelava i nomi di molti cristiani di Roma. E sarebbe stata inopportuna per un pagano: si occupava del rapporto giudaismocristianesimo e della grazia e presentava i pagani come oggetto dell’ira di Dio. Le parole dell’Epistola I – Libello tuo lecto, id est de plurimis aliquas litteras quas ad aliquam civitatem seu caput provinciae direxisti («Avendo letto il tuo libretto, cioè alcune lettere tra le molte che hai inviato ad alcune città o capoluoghi di provincia») – confermano che l’epistolario presuppone alcune lettere di Paolo già circolanti, in un libretto. Seneca chiama libello tuo le lettere della raccolta, tra le molte che Paolo aveva scritto: aliquas de plurimis.
Anche queste coincidenze fanno pensare.
Allora morì un cristiano degli Annei. «Paulus Petrus » associa i nomi dei due apostoli fondatori della comunità di Roma, ricordati insieme sin dagli inizî della tradizione, a partire da Clemente Romano, Ignazio, Gaio dell’epoca di papa Zefirino, e Dionigi di Corinto. Avendo ricevuto il suo nome cristiano qualche anno prima, e da persone probabilmente già cristiane della gens Annaea, come suo padre, questo giovane attesta che a fine I secolo il cristianesimo era nella gens di Seneca. Sempre allora, da ambienti senechiani sembra provenire, se non è di Seneca, l’Hercules Oetaeus , con possibili allusioni ai Vangeli. A suggerire che il carteggio non sia necessariamente apocrifo si aggiungono prove linguistiche e il fatto che nell’epistolario (tranne le Epistole XI e XIV) i riferimenti alle lettere neotestamentarie di Paolo sono tutti a lettere autentiche (non deutero-paoline) e appartenenti alla più antica raccolta delle epistole di Paolo. Un’analisi dei riferimenti neotestamentari nell’epistolario, che ho svolto per il Novum Testamentum Patristicum, mostra che esso conosce le prime lettere paoline, ma non il resto del Nuovo Testamento. E gli echi più frequenti e importanti di concezioni ed espressioni delle lettere autentiche di Paolo nel Nuovo Testamento sono riscontrabili nelle lettere dell’epistolario attribuite a Paolo, mentre le lettere di Seneca denunciano fraintendimenti del pensiero di Paolo. Alcune lettere paoline neotestamentarie sono non solo riecheggiate, ma menzionate in questa corrispondenza: qui è evidente la coincidenza con il primo gruppo delle lettere neotestamentarie di Paolo, che cominciavano a circolare negli anni dell’epistolario in una piccola raccolta: Galati, prima e seconda Corinzi, citate nell’Epistola VII. Un falsario avrebbe parlato di una sola lettera, o del corpus completo con lettere pseudo-paoline, o avrebbe citato un gruppo di lettere non corrispondente esattamente alla raccolta più antica. Avrebbe citato la lettera ai Romani, che Paolo scrisse ben prima di recarsi a Roma. Ma nell’epistolario non ve n’è traccia, poiché non era inclusa nella prima raccolta.
E non sarebbe stato prudente leggerla all’imperatore: rivelava i nomi di molti cristiani di Roma. E sarebbe stata inopportuna per un pagano: si occupava del rapporto giudaismocristianesimo e della grazia e presentava i pagani come oggetto dell’ira di Dio. Le parole dell’Epistola I – Libello tuo lecto, id est de plurimis aliquas litteras quas ad aliquam civitatem seu caput provinciae direxisti («Avendo letto il tuo libretto, cioè alcune lettere tra le molte che hai inviato ad alcune città o capoluoghi di provincia») – confermano che l’epistolario presuppone alcune lettere di Paolo già circolanti, in un libretto. Seneca chiama libello tuo le lettere della raccolta, tra le molte che Paolo aveva scritto: aliquas de plurimis.
Anche queste coincidenze fanno pensare.
«Avvenire» del 22 settembre 2009
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