L’Occidente ha tradito se stesso sovrapponendo l’«Io» a «Dio»: il «j’accuse» del sociologo della cultura australiano John Carroll
di Alessandro Zaccuri
In Australia anche la Luna è down under. Non proprio capovolta, ma sbilenca, distesa sul fianco. Luce e ombra si distribuiscono secondo un taglio orizzontale e non lungo l’asse verticale, come succede dalle nostre parti. È sempre la Luna, però osservata così ha qualcosa di inedito e inquietante. A guardarla vengono in mente i due Soli di Tatooine, che poi sarebbe il pianeta da cui proviene la stirpe degli Skywalker nella saga fantascientifica di Star Wars. Sarà una coincidenza, eppure la maggior concentrazione percentuale di seguaci dichiarati del culto jedi si trova per l’appunto in Oceania, fra Australia e Nuova Zelanda. Non è una vera fede, piuttosto un’azione di disturbo ai limiti del goliardico, architettata agli albori del nuovo millennio.
Eppure, nonostante tutto, resta l’impressione che quanto rimane della tradizione culturale dell’Occidente abbia trovato riparo qui, nel più estremo avamposto orientale. Può essere che il viaggio sia risultato estenuante, così da rendere pressoché irriconoscibili autori e opere.
Oppure può trattarsi di un’altra illusione ottica, come quella della Luna sulle ventitré.
Fatto sta che molto difficilmente uno studioso europeo si imbarcherebbe in un’impresa come questa tentata da John Carroll. Il che non significa che manchino i precedenti. Michel Foucault, per esempio, e non soltanto perché Carroll vanta una discreta somiglianza fisica con il filosofo francese. A suggerire il paragone è semmai la capacità di sostenere tesi controverse attingendo direttamente alle fonti, senza nascondersi dietro la barriera specialistica delle bibliografie.
Foucault e Carroll specialisti non sono né vogliono essere, come dimostra la vastità di situazioni a cui fanno riferimento. Nel caso del saggista australiano, si parte da una piazza di Padova per arrivare al cinemascope del western, dopo di che ci si spinge ancora oltre, dentro la voragine di Ground Zero.
Docente di sociologia a Melbourne, Carroll ha inizialmente pubblicato questo libro nel 1993, all’epoca del primo attentato fondamentalista contro le Twin Towers. In seguito ha approfondito l’idea della cultura come sogno, e cioè come prodotto di un immaginario condiviso non meno che di un’isolata speculazione concettuale.
Un’intuizione che si sarebbe tentati di definire molto australiana, legata com’è alla credenza aborigena secondo la quale la creazione del mondo avviene nel “Tempo del sogno”. The Western Dreaming, il saggio che più degli altri si focalizza su questo tema, porta la data del 2001.
Appena il tempo di pubblicare una “meditazione sull’11 settembre” ( Terror, 2002) e Carroll rimette mano a Humanism Revisited, che ora prende il titolo di The Wreck of Western Culture ed è, fin dalla copertina, la celebrazione di un crollo, la constatazione di un naufragio, l’ammissione di un fallimento.
Carroll non disprezza i giochi di parole consentiti dalla lingua inglese e apprezzerebbe, forse, il fatto che in italiano la sua tesi principale sia riassumibile in questi termini: l’umanesimo si è condannato all’estinzione per aver pensato di poter sostituire Io a Dio.
Era lo stesso calembour usato, molti anni fa, per la pubblicità di una rivista, è vero. Ma è il metodo stesso adottato da Carroll ad autorizzare l’accostamento fra i più complessi problemi filosofici e le più corrive manifestazioni del masscult.
Io al posto di Dio, dunque. Dov’era però Dio prima che l’umanesimo lo scalzasse? Nel complesso l’analisi di Carroll è più che stringente: il processo avviato con la rivoluzione antropocentrica del XV e XVI secolo è contrastato dal solo Lutero, che propone un modello ancora più saldamente teocentrico di quello cattolico-romano. Ciò che accade in seguito si muove lungo questa duplice direttrice, Io e Dio, fino alla totale cancellazione della memoria cristiana all’interno dell’umanesimo stesso, esito che coincide con il trionfo dell’Illuminismo. Sì, ma prima?
Così come lo presenta Carroll, il millennio medievale pare poggiare su un unico concetto, quello della potestas clavium, il potere di sciogliere e legare in cielo come in Terra. Una sintesi fin troppo vertiginosa, forse, che rischia di far perdere di vista non tanto la prospettiva storica di partenza, quanto piuttosto la possibile alternativa. Perché se l’antagonista dell’umanesimo è Lutero con il suo
servo arbitrio, neppure la tradizionale dottrina cattolica – nella quale gioca un ruolo determinante, al contrario, la prospettiva della libertà personale, invocata da Erasmo nella celebre polemica con Lutero stesso – sarebbe stata sufficiente a contenere la deriva dell’Io.
La soluzione suggerita da Carroll, in effetti, rappresenta una delle intuizioni più notevoli e coincide con l’ipotesi di una “Riforma alternativa” perseguita non da teologi e pensatori, ma dagli artisti, primo fra tutti il Poussin della Peste di Ashdod, dove appare la figura del fanciullo che, con il suo ingresso laterale sulla scena del quadro, sembra realizzare una momentanea riconciliazione fra Io e Dio. Il mancato successo di una simile “Riforma alternativa” (non del tutto sovrapponibile alla cosiddetta Controrifoma o Riforma cattolica) sta all’origine di quella degenerazione dell’Io che Carroll considera compiuta in Sentieri selvaggi, un western nel quale l’umanesimo è ormai disorientato e autodistruttivo.
Eppure, nonostante tutto, resta l’impressione che quanto rimane della tradizione culturale dell’Occidente abbia trovato riparo qui, nel più estremo avamposto orientale. Può essere che il viaggio sia risultato estenuante, così da rendere pressoché irriconoscibili autori e opere.
Oppure può trattarsi di un’altra illusione ottica, come quella della Luna sulle ventitré.
Fatto sta che molto difficilmente uno studioso europeo si imbarcherebbe in un’impresa come questa tentata da John Carroll. Il che non significa che manchino i precedenti. Michel Foucault, per esempio, e non soltanto perché Carroll vanta una discreta somiglianza fisica con il filosofo francese. A suggerire il paragone è semmai la capacità di sostenere tesi controverse attingendo direttamente alle fonti, senza nascondersi dietro la barriera specialistica delle bibliografie.
Foucault e Carroll specialisti non sono né vogliono essere, come dimostra la vastità di situazioni a cui fanno riferimento. Nel caso del saggista australiano, si parte da una piazza di Padova per arrivare al cinemascope del western, dopo di che ci si spinge ancora oltre, dentro la voragine di Ground Zero.
Docente di sociologia a Melbourne, Carroll ha inizialmente pubblicato questo libro nel 1993, all’epoca del primo attentato fondamentalista contro le Twin Towers. In seguito ha approfondito l’idea della cultura come sogno, e cioè come prodotto di un immaginario condiviso non meno che di un’isolata speculazione concettuale.
Un’intuizione che si sarebbe tentati di definire molto australiana, legata com’è alla credenza aborigena secondo la quale la creazione del mondo avviene nel “Tempo del sogno”. The Western Dreaming, il saggio che più degli altri si focalizza su questo tema, porta la data del 2001.
Appena il tempo di pubblicare una “meditazione sull’11 settembre” ( Terror, 2002) e Carroll rimette mano a Humanism Revisited, che ora prende il titolo di The Wreck of Western Culture ed è, fin dalla copertina, la celebrazione di un crollo, la constatazione di un naufragio, l’ammissione di un fallimento.
Carroll non disprezza i giochi di parole consentiti dalla lingua inglese e apprezzerebbe, forse, il fatto che in italiano la sua tesi principale sia riassumibile in questi termini: l’umanesimo si è condannato all’estinzione per aver pensato di poter sostituire Io a Dio.
Era lo stesso calembour usato, molti anni fa, per la pubblicità di una rivista, è vero. Ma è il metodo stesso adottato da Carroll ad autorizzare l’accostamento fra i più complessi problemi filosofici e le più corrive manifestazioni del masscult.
Io al posto di Dio, dunque. Dov’era però Dio prima che l’umanesimo lo scalzasse? Nel complesso l’analisi di Carroll è più che stringente: il processo avviato con la rivoluzione antropocentrica del XV e XVI secolo è contrastato dal solo Lutero, che propone un modello ancora più saldamente teocentrico di quello cattolico-romano. Ciò che accade in seguito si muove lungo questa duplice direttrice, Io e Dio, fino alla totale cancellazione della memoria cristiana all’interno dell’umanesimo stesso, esito che coincide con il trionfo dell’Illuminismo. Sì, ma prima?
Così come lo presenta Carroll, il millennio medievale pare poggiare su un unico concetto, quello della potestas clavium, il potere di sciogliere e legare in cielo come in Terra. Una sintesi fin troppo vertiginosa, forse, che rischia di far perdere di vista non tanto la prospettiva storica di partenza, quanto piuttosto la possibile alternativa. Perché se l’antagonista dell’umanesimo è Lutero con il suo
servo arbitrio, neppure la tradizionale dottrina cattolica – nella quale gioca un ruolo determinante, al contrario, la prospettiva della libertà personale, invocata da Erasmo nella celebre polemica con Lutero stesso – sarebbe stata sufficiente a contenere la deriva dell’Io.
La soluzione suggerita da Carroll, in effetti, rappresenta una delle intuizioni più notevoli e coincide con l’ipotesi di una “Riforma alternativa” perseguita non da teologi e pensatori, ma dagli artisti, primo fra tutti il Poussin della Peste di Ashdod, dove appare la figura del fanciullo che, con il suo ingresso laterale sulla scena del quadro, sembra realizzare una momentanea riconciliazione fra Io e Dio. Il mancato successo di una simile “Riforma alternativa” (non del tutto sovrapponibile alla cosiddetta Controrifoma o Riforma cattolica) sta all’origine di quella degenerazione dell’Io che Carroll considera compiuta in Sentieri selvaggi, un western nel quale l’umanesimo è ormai disorientato e autodistruttivo.
«Avvenire» del 23 settembre 2009
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