L’amore della verità e la pietà, che sempre devono risiedere nel cuore di un giudice, brillino nel suo sguardo, affinché le sue decisioni non possano mai sembrare dettate da cupidigia e crudeltà.
Bernardo Gui
di Vittorio Messori
Jean-Baptiste Guiraud nasce nel 1866 nel dipartimento francese dell’Aude, corrispondente a parte della storica Linguadoca, con capitale a Carcassonne. Tra i molti suoi fratelli, Paul, docente di Storia Greca alla Sorbona, è tuttora ben noto, per i suoi studi, agli specialisti dell’antichità classica. Dopo un buon curriculum di studi a Parigi, alla Ecole Normale Supérieure, Jean-Baptiste fu accolto fra le giovani promesse culturali della nazione alla celebre Ecole Française di Roma. Qui si dedicò, con intelligenza pari alla tenacia, allo studio del papato medioevale, penetrando per primo in archivi sino ad allora inaccessibili e dando alla luce ponderose opere di erudizione. Tornato in patria, dopo aver insegnato nelle scuole superiori, entrò all’Università di Besançon dove, ai primi del Novecento, ottenne la cattedra di Storia Medioevale. A quel punto, osserva un suo profilo biografico, «la carriera dell’ancor giovane docente sembrava già tutta tracciata: l’inevitabile cattedra alla Sorbona, l’elezione all’Institut, la cravate da commendatore della Legion d’Onore, il prestigio sociale, il benessere economico». Le cose invece andarono diversamente. Cattolico prima per tradizione familiare, ma poi per convinzione via via rafforzata anche dai suoi studi e dal soggiorno romano, temperamento ardente, pur sempre sorvegliato dall’esercizio di studi rigorosi, Guiraud intervenne a viso aperto contro la politica di persecuzione dei cattolici portata avanti dalla Terza Repubblica, la quale, dominata da potenti Gran Maestri massonici, espressione politica delle Logge più radicali, nell’anticlericalismo virulento cercava diversivi a scandali come quello di Dreyfus o ai tanti altri, finanziari e politici, che ne rendevano agitata e precaria l’esistenza.
Il già noto e promettente docente di Besançon non esitò a mettersi a capo di combattivi organismi del laicato cattolico, soprattutto per difendere la «scuola libera», quella delle congregazioni religiose, contro il monopolio statale che, manu militari, sopprimeva gli istituti confessionali. Guiraud pose al servizio dell’opposizione cattolica non solo il suo talento di organizzatore, singolare per un intellettuale del suo livello, ma anche la sua preparazione scientifica, coordinando tra l’altro la redazione di manuali per i vari gradi scolastici che. sotto il titolo di Histoire partiale, Histoire vraie, cercavano di ristabilire la verità gravemente travisata, a proposito della storia della Chiesa, nei testi ufficiali imposti a tutti i giovani dal monopolio statale della Repubblica.
Questa sua lotta gli costò la carriera universitaria, già messa in pericolo dal taglio giudicato «intollerabilmente cattolico» delle opere, pur rigorosamente scientifiche, pubblicate nel frattempo sui temi di storia religiosa medioevale di cui era specialista.
Dopo vari ammonimenti e il congelamento sia di avanzamenti che di trasferimenti in sedi più prestigiose, nel 1913 lo stesso ministro dell’Educazione Nazionale gli indirizzava pubblicamente - cosa del tutto inconsueta, sino ad allora, in una Francia che si diceva «maestra di libertà» - una «disapprovazione ufficiale». Come non mancò di notare lo stesso Guiraud, dalla cultura che della «leggenda nera» sull’Inquisizione cattolica aveva fatto un suo cavallo di battaglia, giungeva un provvedimento di censura delle idee e di repressione di atteggiamenti non in linea con i dogmi ufficiali. Poco dopo, si poneva in congedo dall’insegnamento universitario, e più tardi chiedeva (e naturalmente subito otteneva) la pensione anticipata. Un destino dì persecuzione, il suo, che lo accomuna a molti altri, tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e il primo Novecento. Si pensi, per fare un esempio italiano, a quel Francesco Faà di Bruno proclamato beato nel 1988 nel centenario della morte, cui l’università di Torino negò sempre una cattedra, malgrado i meriti scientifici riconosciuti anche all’estero e le benemerenze di patriota: sua sola colpa, la fedeltà alla Chiesa.
Costretto a scendere dalla cattedra, Guiraud continuò il suo impegno a servizio di una verità cui aderiva interamente nelle redazioni dei giornali; in effetti divenne redattore capo dell’allora battagliero quotidiano cattolico La Croix. Qui conserverà incarichi direttivi sino all’inizio della seconda guerra mondiale, nell’autunno del 1939. A 73 anni ritornerà completamente, ancora una volta con piglio giovanile, a quei suoi studi storici di livello accademico che peraltro non aveva affatto abbandonato nel periodo giornalistico. Accanto ad altre pubblicazioni, Guiraud aveva portato avanti il lavoro, iniziato sin dalla giovinezza, negli archivi italiani per una monumentale Storia generale dell’Inquisizione nel Medioevo: uno studio a cui lo portava quasi naturalmente, fra l’altro, l’essere nato e vissuto nelle terre che avevano visto quel dramma cataro che è all’origine della reazione inquisitoriale. Erano apparsi due tomi, forse i meno significativi perché di inquadramento generale del problema, quando un bombardamento, nel 1940, distruggeva sia il materiale documentario accumulato sia le stesure già avanzate delle altre parti, quelle decisive, della grande opera. A Guiraud restavano altri tredici anni, ma l’età ormai avanzata, l’occupazione tedesca, il caotico dopoguerra gli impedirono di ricostruire quel lavoro di decenni sepolto sotto le bombe.
Come ha scritto non molto tempo fa un prestigioso specialista, Yves Dossat, «ben pochi storici hanno avuto una così grande capacità di lavoro, ben pochi hanno dato una produzione così importante. Malgrado l’ovvio procedere degli studi, i lavori di Jean-Baptiste Guiraud conservano la loro importanza: è ben difficile studiare numerose questioni di storia religiosa medioevale senza consultare ancor oggi, e attentamente, le sue opere»; concludendo con la constatazione: «Ci ha lasciato un’opera storica di prim’ordine. Ma oltre a questi libri, ci ha lasciato un esempio di coraggio e di amore della verità». Guiraud fu tra l’altro i collaboratori di una delle opere più impegnative del contrastato ma - forse proprio per questo - vivissimo cattolicesimo francese dei primi decenni di questo secolo. Si tratta dei quattro volumi, più uno di indici, editi dal parigino Beauchesne sotto la direzione del grande teologo gesuita Ademaro D’Alès, dei Dictionnaire apologétique de la foi catholique: quasi diécimila pagine che, in formato grande e in corpo piccolo, contengono una massa impressionante di notizie, presentate dai nomi migliori della cultura cattolica. Una miniera che, malgrado il tempo trascorso e il cambiamento di clima nella Chiesa, sembra ben lungi dall’essere esaurita. Lo testimonia tra l’altro il fatto che quei volumi, esauriti da gran tempo, sono attivamente ricercati sul mercato delle opere non più in commercio, e una qualche loro rara apparizione sui cataloghi specializzati si risolve in una sorta di gara fra studiosi privati e direttori di biblioteche per assicurarseli. Con un pizzico dì malizia è stato più volte notato che molto del materiale di questo grande Dictionnaire sta dietro a non poche pubblicazioni cattoliche anche contemporanee, pur se i «saccheggiatori» non osano citare un’opera che il gusto comune oggi vorrebbe squalificare come «apologetica». Quello in effetti - e con onestà dichiarato esplicitamente già dal titolo - fu il taglio propostosi dai curatori, ma senza mai perdere di vista le ragioni della scienza e della verità. Così fece anche - e non poteva essere altrimenti, visto il pedigree di studioso - Jean-Baptiste Guiraud nelle voci da lui firmate, e in particolare in quella dal titolo Inquisition:* tema su cui era già allora tra i massimi studiosi viventi. Da questa voce ricavò - pubblicandolo nel 1929 nella prestigiosa collezione La Vie Chrétienne - un volume dal titolo, ovviamente, L’Inquisition médiévale, che fu tradotta in molte lingue (da noi, nel 1933, dalle Edizioni del Corbaccio) e che ebbe grande impatto soprattutto negli Stati Uniti, nella versione inglese. Si tratta di una sintesi che, assieme alle sue opere più ponderose, esplicitamente scientifiche, è tuttora citata anche nelle bibliografie divulgative e la cui funzione non è ancora esaurita, visto che l’ultima ristampa francese (presso Tallandier) è del 1978.
Non aveva invece mai avuto traduzione da noi la voce - pur famosa e molto usata, anche se talvolta in quel modo un po’ «occulto» che dicevamo - del Dictionnaire apologétique. Ora l’editore ha pensato (e giustamente. a nostro avviso) di mettere a disposizione un testo accessibile soltanto ai frequentatori di biblioteche specializzate, e che è stato invece pensato e scritto per il pubblico più largo, con intenzioni quasi da «pronto soccorso», da materiale di «primo impiego».
In effetti, forse ancor più che nel libro che ne trarrà alcuni anni più tardi, l’intenzione di Guiraud è qui divulgativa, informativa: una ricostruzione dei fatti semplice quanto rigorosa - nel presupposto che per il cattolico non c’è altra «apologetica» possibile che testimoniare per la verità e sottoporre a verifica le idées reçues.
Una chiarificazione, questa, particolarmente importante riguardo al nostro tema, che è tra i principali della «leggenda nera» anticattolica creata prima dalla polemica protestante e poi rilanciata e radicalizzata dall’illuminismo settecentesco, e via via da tutti gli anticlericalismi moderni sino a noi. Non a caso, riassumendo una situazione che perdura ormai da un paio di secoli, refrattaria a ogni tentativo di confutazione (anche se, occorre riconoscere, negli ultimissimi tempi qualcosa sembra cambiare: anche qui un sano e fondato «revisioniamo» conquista soprattutto i giovani studiosi), un libro recente sull’argomento inizia cosi: «Santa Inquisizione ... Quando si pronunciano queste parole, un brivido di orrore corre lungo le schiene dei benpensanti: giudici incappucciati, fanatici e feroci, orride prigioni, atroci torture, roghi da cui s’innalzano le ultime grida disperate di vittime innocenti vengono evocati da questo nome esecrato. Quando lo sentono pronunciare in occasione di qualche discussione, i cattolici arrossiscono e tentano di cambiare discorso».
Ebbene, il proposito di Guiraud era netto e vigoroso: aiutare i cattolici non a «cambiare», ma ad «affrontare» il discorso.
Intendiamoci: c’è una certa, seppure comprensibile, forzatura nella scelta editoriale del titolo. Guiraud è uno storico vero, dunque sa come la vicenda umana quella della Chiesa istituzionale e dei suoi uomini non esclusa - sia sempre, al contempo, in bianco e nero. Dunque, il suo non è tanto un rischioso «elogio dell’Inquisizione», ma un onesto quanto esplicito aiuto alla «comprensione»: un capire «come andò davvero». E spesso non andò affatto come tanti raccontavano ai suoi tempi e raccontano ancora (magari, ed è la sconcertante novità di questo tempo ecclesiale, in qualche ambiente cattolico, e non dei più sprovveduti, afflitto da singolare masochismo che scambia il mitico «dialogo» per l’accettazione acritica di ogni accusa infamante alla Chiesa storica).
Secondo la partizione classica, come si sa, tre furono le Inquisizioni: quella medioevale, dal XII al XVI secolo, presente in tutti i paesi cristiani a eccezione di Inghilterra, Irlanda e Scandinavia; quella spagnola, instaurata nel 1478 su richiesta dei reali Ferdinando e Isabella (e fu la più longeva, essendo stata abolita ufficialmente solo nel 1834); infine quella romana, istituita da Paolo III nel 1452, che, almeno formalmente, funzionò in Italia (eccetto la Sicilia) fino alla metà del Settecento.
In queste pagine Guiraud si occupa soltanto della prima Inquisizione, quella medioevale, che è poi quella che più ha solleticato l’immaginario popolare e la fantasia del romanzo noir (come ha confermato, ancora una volta, il fenomeno editoriale dell’echiano Il nome della rosa, dove un truculento protagonista è quel Bernardo Gui che nelle pagine che qui seguono puntualmente ritroviamo; e con i suoi panni veri, che mal corrispondono alla trasfigurazione letteraria).
Ciò che, soprattutto, importa mettere in chiaro è che, proponendo queste pagine, il curatore non ha voluto praticare una sorta di operazione di «recupero archeologico»; non ha inteso mettere a disposizione un testo che magari fu pregevole ma che è ora ormai inservibile, se non per rari storici dell’apologia cattolica. Naturalmente la ricerca è molto avanzata, ma la massa dei materiali «in più» di cui ora disponiamo, e che non erano accessibili a Guiraud, non sembrano avere tolto validità al suo modo di affrontare l’argomento. Di «dettagli» oggi è possibile aggiungerne a iosa, ma probabilmente non modificano in profondo il taglio dato qui, l’andamento generale, l’architettura di questa decisa quanto pacata replica «cattolica». Che poi cattolica non vuole essere e non è, visto che i fatti messi in fila da queste pagine non hanno parte né colore: sono quelli che risultano dai documenti, hanno un’oggettività inconfutabile anche per gli storici di oggi. I quali, semmai, potrebbero aggiungere molti altri elementi a difesa più che a confutazione di Guiraud. Per scegliere un esempio fra mille, basti ricordare quanto osservava qualche tempo fa il medievista Adriano Prosperi in uno studio dal titolo significativo (L’Inquisizione: verso una nuova immagine?): fino a tempi recenti non sono mancati, cioè, gli studiosi che hanno inteso «la condanna al carcere perpetuo - condanna leggera, perché significava in genere un triennio di prigionia e non di più - come un imprigionamento a vita».
Insomma, chi voglia almeno cominciare a capire «che cosa, e perché, è successo» in quei secoli, troverà qui un punto di partenza che a noi (pur lettori attenti e grati, s’intende, alla bibliografia successiva) non sembra aver perso la sua validità. Un punto di partenza, tra l’altro, in un linguaggio chiaro, vigoroso, divulgativo ma fondato sempre sulla ricerca in biblioteca o in archivio. Un inizio onesto, dunque, e - nei limiti in cui dicevamo - ancora attuale; una salutare provocazione contro i luoghi comuni, per proseguire una ricerca per la quale sarà d’aiuto l’aggiornatissima e abbondante bibliografia data, alla fine del volume, da specialisti contemporanei.
La ricerca personale aggiungerà, ovviamente, molti altri tasselli; ma crediamo che sia possibile farlo - entro l’intelaiatura generale dataci dal «vecchio» Guiraud, cattolico a visiera alzata, che pagò di persona per le sue convinzioni, eppure lontano - da quello storico vero che era - da ogni doppia verità, da ogni forzatura di apologeta fazioso. Un credente autentico ma anche uno studioso rispettato. Dunque, consapevole sempre che, come fu detto da Leone XIII nel 1881, all’apertura dell’Archivio Vaticano (detto «segreto» non tanto perché «inaccessibile» ma perché «privato», sino ad allora a servizio innanzitutto della Santa Sede) ai ricercatori di ogni credo o incredulità: «Né Dio, né la Chiesa, hanno bisogno delle nostre bugie: ciò che occorre non è che la verità, presupposto (parola di Vangelo) di ogni libertà».
Il già noto e promettente docente di Besançon non esitò a mettersi a capo di combattivi organismi del laicato cattolico, soprattutto per difendere la «scuola libera», quella delle congregazioni religiose, contro il monopolio statale che, manu militari, sopprimeva gli istituti confessionali. Guiraud pose al servizio dell’opposizione cattolica non solo il suo talento di organizzatore, singolare per un intellettuale del suo livello, ma anche la sua preparazione scientifica, coordinando tra l’altro la redazione di manuali per i vari gradi scolastici che. sotto il titolo di Histoire partiale, Histoire vraie, cercavano di ristabilire la verità gravemente travisata, a proposito della storia della Chiesa, nei testi ufficiali imposti a tutti i giovani dal monopolio statale della Repubblica.
Questa sua lotta gli costò la carriera universitaria, già messa in pericolo dal taglio giudicato «intollerabilmente cattolico» delle opere, pur rigorosamente scientifiche, pubblicate nel frattempo sui temi di storia religiosa medioevale di cui era specialista.
Dopo vari ammonimenti e il congelamento sia di avanzamenti che di trasferimenti in sedi più prestigiose, nel 1913 lo stesso ministro dell’Educazione Nazionale gli indirizzava pubblicamente - cosa del tutto inconsueta, sino ad allora, in una Francia che si diceva «maestra di libertà» - una «disapprovazione ufficiale». Come non mancò di notare lo stesso Guiraud, dalla cultura che della «leggenda nera» sull’Inquisizione cattolica aveva fatto un suo cavallo di battaglia, giungeva un provvedimento di censura delle idee e di repressione di atteggiamenti non in linea con i dogmi ufficiali. Poco dopo, si poneva in congedo dall’insegnamento universitario, e più tardi chiedeva (e naturalmente subito otteneva) la pensione anticipata. Un destino dì persecuzione, il suo, che lo accomuna a molti altri, tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e il primo Novecento. Si pensi, per fare un esempio italiano, a quel Francesco Faà di Bruno proclamato beato nel 1988 nel centenario della morte, cui l’università di Torino negò sempre una cattedra, malgrado i meriti scientifici riconosciuti anche all’estero e le benemerenze di patriota: sua sola colpa, la fedeltà alla Chiesa.
Costretto a scendere dalla cattedra, Guiraud continuò il suo impegno a servizio di una verità cui aderiva interamente nelle redazioni dei giornali; in effetti divenne redattore capo dell’allora battagliero quotidiano cattolico La Croix. Qui conserverà incarichi direttivi sino all’inizio della seconda guerra mondiale, nell’autunno del 1939. A 73 anni ritornerà completamente, ancora una volta con piglio giovanile, a quei suoi studi storici di livello accademico che peraltro non aveva affatto abbandonato nel periodo giornalistico. Accanto ad altre pubblicazioni, Guiraud aveva portato avanti il lavoro, iniziato sin dalla giovinezza, negli archivi italiani per una monumentale Storia generale dell’Inquisizione nel Medioevo: uno studio a cui lo portava quasi naturalmente, fra l’altro, l’essere nato e vissuto nelle terre che avevano visto quel dramma cataro che è all’origine della reazione inquisitoriale. Erano apparsi due tomi, forse i meno significativi perché di inquadramento generale del problema, quando un bombardamento, nel 1940, distruggeva sia il materiale documentario accumulato sia le stesure già avanzate delle altre parti, quelle decisive, della grande opera. A Guiraud restavano altri tredici anni, ma l’età ormai avanzata, l’occupazione tedesca, il caotico dopoguerra gli impedirono di ricostruire quel lavoro di decenni sepolto sotto le bombe.
Come ha scritto non molto tempo fa un prestigioso specialista, Yves Dossat, «ben pochi storici hanno avuto una così grande capacità di lavoro, ben pochi hanno dato una produzione così importante. Malgrado l’ovvio procedere degli studi, i lavori di Jean-Baptiste Guiraud conservano la loro importanza: è ben difficile studiare numerose questioni di storia religiosa medioevale senza consultare ancor oggi, e attentamente, le sue opere»; concludendo con la constatazione: «Ci ha lasciato un’opera storica di prim’ordine. Ma oltre a questi libri, ci ha lasciato un esempio di coraggio e di amore della verità». Guiraud fu tra l’altro i collaboratori di una delle opere più impegnative del contrastato ma - forse proprio per questo - vivissimo cattolicesimo francese dei primi decenni di questo secolo. Si tratta dei quattro volumi, più uno di indici, editi dal parigino Beauchesne sotto la direzione del grande teologo gesuita Ademaro D’Alès, dei Dictionnaire apologétique de la foi catholique: quasi diécimila pagine che, in formato grande e in corpo piccolo, contengono una massa impressionante di notizie, presentate dai nomi migliori della cultura cattolica. Una miniera che, malgrado il tempo trascorso e il cambiamento di clima nella Chiesa, sembra ben lungi dall’essere esaurita. Lo testimonia tra l’altro il fatto che quei volumi, esauriti da gran tempo, sono attivamente ricercati sul mercato delle opere non più in commercio, e una qualche loro rara apparizione sui cataloghi specializzati si risolve in una sorta di gara fra studiosi privati e direttori di biblioteche per assicurarseli. Con un pizzico dì malizia è stato più volte notato che molto del materiale di questo grande Dictionnaire sta dietro a non poche pubblicazioni cattoliche anche contemporanee, pur se i «saccheggiatori» non osano citare un’opera che il gusto comune oggi vorrebbe squalificare come «apologetica». Quello in effetti - e con onestà dichiarato esplicitamente già dal titolo - fu il taglio propostosi dai curatori, ma senza mai perdere di vista le ragioni della scienza e della verità. Così fece anche - e non poteva essere altrimenti, visto il pedigree di studioso - Jean-Baptiste Guiraud nelle voci da lui firmate, e in particolare in quella dal titolo Inquisition:* tema su cui era già allora tra i massimi studiosi viventi. Da questa voce ricavò - pubblicandolo nel 1929 nella prestigiosa collezione La Vie Chrétienne - un volume dal titolo, ovviamente, L’Inquisition médiévale, che fu tradotta in molte lingue (da noi, nel 1933, dalle Edizioni del Corbaccio) e che ebbe grande impatto soprattutto negli Stati Uniti, nella versione inglese. Si tratta di una sintesi che, assieme alle sue opere più ponderose, esplicitamente scientifiche, è tuttora citata anche nelle bibliografie divulgative e la cui funzione non è ancora esaurita, visto che l’ultima ristampa francese (presso Tallandier) è del 1978.
Non aveva invece mai avuto traduzione da noi la voce - pur famosa e molto usata, anche se talvolta in quel modo un po’ «occulto» che dicevamo - del Dictionnaire apologétique. Ora l’editore ha pensato (e giustamente. a nostro avviso) di mettere a disposizione un testo accessibile soltanto ai frequentatori di biblioteche specializzate, e che è stato invece pensato e scritto per il pubblico più largo, con intenzioni quasi da «pronto soccorso», da materiale di «primo impiego».
In effetti, forse ancor più che nel libro che ne trarrà alcuni anni più tardi, l’intenzione di Guiraud è qui divulgativa, informativa: una ricostruzione dei fatti semplice quanto rigorosa - nel presupposto che per il cattolico non c’è altra «apologetica» possibile che testimoniare per la verità e sottoporre a verifica le idées reçues.
Una chiarificazione, questa, particolarmente importante riguardo al nostro tema, che è tra i principali della «leggenda nera» anticattolica creata prima dalla polemica protestante e poi rilanciata e radicalizzata dall’illuminismo settecentesco, e via via da tutti gli anticlericalismi moderni sino a noi. Non a caso, riassumendo una situazione che perdura ormai da un paio di secoli, refrattaria a ogni tentativo di confutazione (anche se, occorre riconoscere, negli ultimissimi tempi qualcosa sembra cambiare: anche qui un sano e fondato «revisioniamo» conquista soprattutto i giovani studiosi), un libro recente sull’argomento inizia cosi: «Santa Inquisizione ... Quando si pronunciano queste parole, un brivido di orrore corre lungo le schiene dei benpensanti: giudici incappucciati, fanatici e feroci, orride prigioni, atroci torture, roghi da cui s’innalzano le ultime grida disperate di vittime innocenti vengono evocati da questo nome esecrato. Quando lo sentono pronunciare in occasione di qualche discussione, i cattolici arrossiscono e tentano di cambiare discorso».
Ebbene, il proposito di Guiraud era netto e vigoroso: aiutare i cattolici non a «cambiare», ma ad «affrontare» il discorso.
Intendiamoci: c’è una certa, seppure comprensibile, forzatura nella scelta editoriale del titolo. Guiraud è uno storico vero, dunque sa come la vicenda umana quella della Chiesa istituzionale e dei suoi uomini non esclusa - sia sempre, al contempo, in bianco e nero. Dunque, il suo non è tanto un rischioso «elogio dell’Inquisizione», ma un onesto quanto esplicito aiuto alla «comprensione»: un capire «come andò davvero». E spesso non andò affatto come tanti raccontavano ai suoi tempi e raccontano ancora (magari, ed è la sconcertante novità di questo tempo ecclesiale, in qualche ambiente cattolico, e non dei più sprovveduti, afflitto da singolare masochismo che scambia il mitico «dialogo» per l’accettazione acritica di ogni accusa infamante alla Chiesa storica).
Secondo la partizione classica, come si sa, tre furono le Inquisizioni: quella medioevale, dal XII al XVI secolo, presente in tutti i paesi cristiani a eccezione di Inghilterra, Irlanda e Scandinavia; quella spagnola, instaurata nel 1478 su richiesta dei reali Ferdinando e Isabella (e fu la più longeva, essendo stata abolita ufficialmente solo nel 1834); infine quella romana, istituita da Paolo III nel 1452, che, almeno formalmente, funzionò in Italia (eccetto la Sicilia) fino alla metà del Settecento.
In queste pagine Guiraud si occupa soltanto della prima Inquisizione, quella medioevale, che è poi quella che più ha solleticato l’immaginario popolare e la fantasia del romanzo noir (come ha confermato, ancora una volta, il fenomeno editoriale dell’echiano Il nome della rosa, dove un truculento protagonista è quel Bernardo Gui che nelle pagine che qui seguono puntualmente ritroviamo; e con i suoi panni veri, che mal corrispondono alla trasfigurazione letteraria).
Ciò che, soprattutto, importa mettere in chiaro è che, proponendo queste pagine, il curatore non ha voluto praticare una sorta di operazione di «recupero archeologico»; non ha inteso mettere a disposizione un testo che magari fu pregevole ma che è ora ormai inservibile, se non per rari storici dell’apologia cattolica. Naturalmente la ricerca è molto avanzata, ma la massa dei materiali «in più» di cui ora disponiamo, e che non erano accessibili a Guiraud, non sembrano avere tolto validità al suo modo di affrontare l’argomento. Di «dettagli» oggi è possibile aggiungerne a iosa, ma probabilmente non modificano in profondo il taglio dato qui, l’andamento generale, l’architettura di questa decisa quanto pacata replica «cattolica». Che poi cattolica non vuole essere e non è, visto che i fatti messi in fila da queste pagine non hanno parte né colore: sono quelli che risultano dai documenti, hanno un’oggettività inconfutabile anche per gli storici di oggi. I quali, semmai, potrebbero aggiungere molti altri elementi a difesa più che a confutazione di Guiraud. Per scegliere un esempio fra mille, basti ricordare quanto osservava qualche tempo fa il medievista Adriano Prosperi in uno studio dal titolo significativo (L’Inquisizione: verso una nuova immagine?): fino a tempi recenti non sono mancati, cioè, gli studiosi che hanno inteso «la condanna al carcere perpetuo - condanna leggera, perché significava in genere un triennio di prigionia e non di più - come un imprigionamento a vita».
Insomma, chi voglia almeno cominciare a capire «che cosa, e perché, è successo» in quei secoli, troverà qui un punto di partenza che a noi (pur lettori attenti e grati, s’intende, alla bibliografia successiva) non sembra aver perso la sua validità. Un punto di partenza, tra l’altro, in un linguaggio chiaro, vigoroso, divulgativo ma fondato sempre sulla ricerca in biblioteca o in archivio. Un inizio onesto, dunque, e - nei limiti in cui dicevamo - ancora attuale; una salutare provocazione contro i luoghi comuni, per proseguire una ricerca per la quale sarà d’aiuto l’aggiornatissima e abbondante bibliografia data, alla fine del volume, da specialisti contemporanei.
La ricerca personale aggiungerà, ovviamente, molti altri tasselli; ma crediamo che sia possibile farlo - entro l’intelaiatura generale dataci dal «vecchio» Guiraud, cattolico a visiera alzata, che pagò di persona per le sue convinzioni, eppure lontano - da quello storico vero che era - da ogni doppia verità, da ogni forzatura di apologeta fazioso. Un credente autentico ma anche uno studioso rispettato. Dunque, consapevole sempre che, come fu detto da Leone XIII nel 1881, all’apertura dell’Archivio Vaticano (detto «segreto» non tanto perché «inaccessibile» ma perché «privato», sino ad allora a servizio innanzitutto della Santa Sede) ai ricercatori di ogni credo o incredulità: «Né Dio, né la Chiesa, hanno bisogno delle nostre bugie: ciò che occorre non è che la verità, presupposto (parola di Vangelo) di ogni libertà».
* Dictionnaire apologétique de la foi catholique, contenant les preuves de la véríté de la réligion et les réponses aux objections tirées des sciences humaines, diretto da A. D’Alès, ed. Beauchesne, Parigi, 1911-1931, voce Inquisition, t. 11, pp. 823 ss.
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