Parla l'autore di "Evolution of God"
di Amy Rosenthal
Una manciata di libri, due concezioni e una terza via per conciliare trascendenza ed evoluzione
Con il suo nuovo provocatorio libro, “The Evolution of God” (Little, Brown & Company, di prossima uscita in Italia per i tipi di Newton Compton), Robert Wright offre uno sfumato contrappeso intellettuale alla recente invasione di libri sul tema del contrasto tra fede e ragione che tendono a polarizzare il mondo tra credenti e non credenti. Lungi dal voler confutare l’esistenza di Dio, come fanno per esempio Sam Harris e Christopher Hitchens, Wright delinea piuttosto un quadro argomentativo in chiave materialista per spiegare come la vita religiosa, i suoi retaggi – e Dio stesso – si siano evoluti attraverso la storia umana.
Wright inizia con lo spiegare le sue “ragioni materialistiche”. “Mi concentro in particolare sulle forze politiche, economiche e sociali che hanno plasmato la nostra idea di Dio. Per esempio, quando vedo un passo delle Scritture in cui Dio è di cattivo umore e comanda di allontanare gli infedeli, tendo a cercarne la spiegazione in cose – politiche ed economiche – che stavano accadendo ‘sul campo’. Esiste un malinteso sui caratteri immutabili delle religioni. Per esempio, quando alcuni si chiedono se l’islam (o qualche altra religione) sia o meno una religione ‘di pace’, io penso semplicemente che questa sia una domanda sciocca da fare in relazione a una religione, dal momento che tutte le religioni hanno i loro giorni buoni e quelli cattivi. Per questo, mi pare abbia più senso mettere in evidenza le circostanze ‘sul campo’, quelle in grado di modificare l’umore di una religione e anche quello del suo Dio”.
Nel suo libro precedente, “Nonzero: The Logic of Human Destiny”, Wright spiegava il modo in cui l’evoluzione umana ci cambia in meglio, vale a dire, rendendo gli esseri umani più morali e inclini alla cooperazione fra simili. In che modo il Dio delle tre grandi religioni monoteistiche è stato di aiuto al nostro progresso morale attraverso la storia? “Beh, comincerei con il sottolineare che non è che la gente sia diventata migliore, ma ciò che ha reso la gente migliore è ciò che si potrebbe chiamare evoluzione culturale, vale a dire, cambiamenti nella tecnologia, nelle idee, nella scienza e così via. Con questi, la direzione imboccata dalla storia umana ha condotto la gente a espandere la propria sfera di considerazione morale. Per questo, oggi, la maggior parte della gente direbbe che le persone sono degne di rispetto ovunque, e devono godere dei diritti umani indipendentemente dall’etnia, dal credo e dal colore della pelle. Non che questo fosse un punto di vista così prevalente, diciamo, 5000 anni fa. In questo senso vi è stato un progresso, dice Wright prima di continuare: “Per quanto riguarda la religione, comunque, si può vedere questo progresso riflesso nelle religioni, in particolare le tre grandi religioni monoteistiche che sono il giudaismo, il cristianesimo e l’Islam. In tutte e tre si può ravvisare l’espansione dell’ambito morale. Ora, non è la stessa cosa dire che è la religione a spingere questa espansione della visione morale o sostenere che più che altro la riflette. La mia argomentazione principale è che tutte queste religioni hanno mostrato la loro capacità di adattarsi a nuove situazioni sociali espandendo il campo della tolleranza. Tutte sono dotate della capacità di farlo, indipendentemente dal fatto che la forza motrice sia rappresentata dalla religione o da sottostanti cambiamenti sociali e tecnologici. Il punto è che la religione può avere un ruolo costruttivo mentre ci dirigiamo verso ciò che nelle nostre speranze sarà una società ordinata e pacifica”.
Abbiamo ascoltato fiumi di parole sul fondamentalismo religioso, in particolare su quello musulmano dopo l’11 settembre, e così pure abbiamo sentito parlare moltissimo di superiorità giudaico-cristiana. Il libro di Wright, però, sostiene che vi sia piuttosto un’armonia fra le tre. “Per esempio – continua l’autore –, quando per l’Islam si trattò di stabilire un impero dopo la morte di Maometto, ciò fu facilitato dalla dottrina del jihad, che prevedeva la conquista ai fini della conversione dei popoli all’Islam. Ma una volta che l’impero fu consolidato, i leader islamici si resero conto di come non valesse la pena continuare con la politica delle conversioni forzate, e a quel punto iniziarono a sviluppare dottrine sulla tolleranza di cristiani, ebrei e zoroastriani. Questo è un esempio di quanto la dottrina islamica possa essere adattabile, e d’altronde in tutte e tre le religioni vi sono stati ‘periodi’ in cui esse hanno mostrato la loro capacità di adattarsi in questo modo costruttivo. Ciò premesso, sarebbe folle affermare che in questo momento tutte e tre le religioni monoteistiche siano intrise di tolleranza, ma penso comunque che sia un errore dire che una qualsiasi di queste religioni sia per sua natura condannata a essere intollerante”. Davvero? E perché? “Beh, perché la storia ci mostra che cosa sia in grado di tirare fuori il meglio nella religione, e ci mostra che tutte e tre queste religioni sono capaci di rispondere a queste forze”.
Negli ultimi anni, si sono visti numerosi libri sul dibattito tra fede e ragione: alcuni, come Tim Keller, hanno perorato la causa di Dio, per essere stroncati da altri come Christopher Hitchens e Sam Harris. In che senso “The Evolution of God” si differenzi dal lavoro degli autori citati? “Beh, decisamente non si adatta alle categorie esistenti, poiché da un lato non accetto le rivendicazioni di rivelazione divina contenuta nelle religioni abramitiche, e in quel senso sono uno scettico. D’altra parte io non mi ritengo ateo, poiché penso che vi sia almeno qualche evidenza di un qualche scopo più grande operante nelle attività della natura. Per esempio, anche solo nel mondo materiale, mi pare che vi sia una direzione sufficiente a suggerire che vi sia un qualche tipo di scopo dotato perfino di un orientamento di tipo morale”.
In una parte particolarmente convincente del libro, Wright spiega perché la scienza afferma la validità della ricerca religiosa. Per spiegare quale sia il terreno comune condiviso dallo scienziato e dal credente, Wright si esprime così: “Voglio dire che, se anche non esiste un Dio personale, può esserci qualcosa che meriti di essere chiamato ‘divino’, e forse che la capacità umana di concepire il divino è così limitata che il pensarlo come Dio è un’approssimazione sensibile della verità, dati appunto i limiti del pensiero umano. Ecco perché faccio un’analogia con il modo in cui gli scienziati pensano agli elettroni. La scienza ci ha mostrato che non possiamo concepire un elettrone in modo chiaro, poiché ogni volta che tentiamo di pensare a un elettrone ci ritroviamo ad annegare nel paradosso: non è una particella, non è un’onda, è entrambe le cose e nessuna delle due. Tutto ciò che sappiamo è che le nostre metafore per descrivere gli elettroni sono comunque imperfette. Il fatto è che usando queste imperfette metafore si riescono comunque a ottenere buoni risultati scientifici e a costruire i computer e tutti gli altri dispositivi elettronici. Per questo dico che la credenza scientifica e quella religiosa potrebbero avere in comune qualcosa in più di quanto comunemente si pensi”.
L’ultimo libro di Wright, “Nonzero”, era stato lodato pubblicamente dall'ex presidente statunitense Bill Clinton, che aveva chiesto di leggerlo ai membri dello staff della Casa Bianca. Da parte sua, invece, Wright ha dichiarato recentemente che l’attuale presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, “è simile all’apostolo Paolo”. Per spiegare come mai abbia coniato l’analogia, Wright dice: “Beh, Obama ha sia un tratto ispirato sia un tratto professorale-analitico, e anche Paolo era più o meno così. In alcune occasioni è il teologo che elaborava la dottrina del peccato e della grazia, mentre in alcune altre si ritrova a predicare l’amore reciproco a comunità segnate da discordie e divisioni, come in quel passaggio della Lettera ai Corinzi che così spesso viene letto in occasione di matrimoni: ‘L’amore è paziente… l’amore è gentile… l’amore non si vanta e non si gonfia…’ e così via”. E Clinton a chi assomiglia? “Qualcuno, per scherzo, era solito chiamare Clinton ‘il primo presidente nero’. Penso che la sua capacità di mettersi in comunicazione con l’uditorio dei neri avesse qualcosa a che fare con la sua educazione da membro della Southern Baptist Convention”.
Come hanno reagito cristiani ed ebrei al suo libro? “Ad alcuni cristiani non è piaciuta la mia argomentazione secondo cui Gesù non avrebbe davvero detto tutte quelle cose sull’amore universale, ma esse sarebbero state piuttosto elaborate dall’apostolo Paolo e successivamente attribuite a Gesù. D’altro canto, ho avuto risposte più favorevoli dai lettori di religione ebraica. Penso sia dovuto al fatto che il credere non ha nel giudaismo lo stesso ruolo che riveste nel cristianesimo e nell’islam”. Come sarebbe a dire? “Beh, non sono la prima persona a sostenerlo e forse mi metterò nei guai a cercare di elaborare il concetto, ma penso che, per alcuni ebrei, essere religiosi abbia più a che fare con i riti e la tradizione che non con il credere in Dio in quanto tale. Vi sono ebrei scrupolosamente osservanti che non pensano veramente a Dio in un modo o nell’altro. Non è così, invece, per la maggior parte dei cristiani. I cristiani sono nel complesso più legati alla verità della Scrittura.
Che cosa pensa che i cattolici potrebbero eventualmente trovare interessante nel suo libro?. “Potrebbero fare eco alla mia enfasi sull’inconoscibilità di Dio. Come tendo a rimarcare, dal momento che la mente umana è stata configurata dall’evoluzione, non è in definitiva attrezzata per concepire con chiarezza le cose ultime e presumibilmente, se Dio esiste, è davvero quanto di ‘più ultimo’ vi possa essere. Nella tradizione cattolica viene data moltissima enfasi a una parola usata da Paolo: ‘mistero’. I cattolici usano quella parola come modo per mettere in evidenza la nostra incapacità di concepire Dio in modo lontanamente adeguato”.
Alla domanda su quale sia il messaggio che si augura venga maggiormente recepito dai lettori del suo “The Evolution of God”, Wright risponde: “Che non esiste qualcosa come una religione buona o una religione cattiva, e tutte le religioni possono diventare una forza costruttiva nel mondo se comprendiamo che cosa riesca a tirare fuori il meglio nelle religioni”. Questo suona un po’ come relativismo, e lo facciamo presente all’autore, che obietta: “Guardi, quando una religione è nel suo umore belligerante, ciò avviene di solito perché i credenti vedono se stessi come nemici della gente verso cui è diretta la belligeranza. D’altro canto, la tolleranza in una religione trova spazio quando i credenti iniziano a pensare di avere qualcosa da guadagnare da una coesistenza pacifica o magari dalla collaborazione con un altro gruppo. Non penso che l’umore di una religione possa cambiare da un giorno all'altro, ma ritengo che gli atteggiamenti possano cambiare se cambiano le circostanze concrete o cambia anche solo il modo di percepirle”.
Wright inizia con lo spiegare le sue “ragioni materialistiche”. “Mi concentro in particolare sulle forze politiche, economiche e sociali che hanno plasmato la nostra idea di Dio. Per esempio, quando vedo un passo delle Scritture in cui Dio è di cattivo umore e comanda di allontanare gli infedeli, tendo a cercarne la spiegazione in cose – politiche ed economiche – che stavano accadendo ‘sul campo’. Esiste un malinteso sui caratteri immutabili delle religioni. Per esempio, quando alcuni si chiedono se l’islam (o qualche altra religione) sia o meno una religione ‘di pace’, io penso semplicemente che questa sia una domanda sciocca da fare in relazione a una religione, dal momento che tutte le religioni hanno i loro giorni buoni e quelli cattivi. Per questo, mi pare abbia più senso mettere in evidenza le circostanze ‘sul campo’, quelle in grado di modificare l’umore di una religione e anche quello del suo Dio”.
Nel suo libro precedente, “Nonzero: The Logic of Human Destiny”, Wright spiegava il modo in cui l’evoluzione umana ci cambia in meglio, vale a dire, rendendo gli esseri umani più morali e inclini alla cooperazione fra simili. In che modo il Dio delle tre grandi religioni monoteistiche è stato di aiuto al nostro progresso morale attraverso la storia? “Beh, comincerei con il sottolineare che non è che la gente sia diventata migliore, ma ciò che ha reso la gente migliore è ciò che si potrebbe chiamare evoluzione culturale, vale a dire, cambiamenti nella tecnologia, nelle idee, nella scienza e così via. Con questi, la direzione imboccata dalla storia umana ha condotto la gente a espandere la propria sfera di considerazione morale. Per questo, oggi, la maggior parte della gente direbbe che le persone sono degne di rispetto ovunque, e devono godere dei diritti umani indipendentemente dall’etnia, dal credo e dal colore della pelle. Non che questo fosse un punto di vista così prevalente, diciamo, 5000 anni fa. In questo senso vi è stato un progresso, dice Wright prima di continuare: “Per quanto riguarda la religione, comunque, si può vedere questo progresso riflesso nelle religioni, in particolare le tre grandi religioni monoteistiche che sono il giudaismo, il cristianesimo e l’Islam. In tutte e tre si può ravvisare l’espansione dell’ambito morale. Ora, non è la stessa cosa dire che è la religione a spingere questa espansione della visione morale o sostenere che più che altro la riflette. La mia argomentazione principale è che tutte queste religioni hanno mostrato la loro capacità di adattarsi a nuove situazioni sociali espandendo il campo della tolleranza. Tutte sono dotate della capacità di farlo, indipendentemente dal fatto che la forza motrice sia rappresentata dalla religione o da sottostanti cambiamenti sociali e tecnologici. Il punto è che la religione può avere un ruolo costruttivo mentre ci dirigiamo verso ciò che nelle nostre speranze sarà una società ordinata e pacifica”.
Abbiamo ascoltato fiumi di parole sul fondamentalismo religioso, in particolare su quello musulmano dopo l’11 settembre, e così pure abbiamo sentito parlare moltissimo di superiorità giudaico-cristiana. Il libro di Wright, però, sostiene che vi sia piuttosto un’armonia fra le tre. “Per esempio – continua l’autore –, quando per l’Islam si trattò di stabilire un impero dopo la morte di Maometto, ciò fu facilitato dalla dottrina del jihad, che prevedeva la conquista ai fini della conversione dei popoli all’Islam. Ma una volta che l’impero fu consolidato, i leader islamici si resero conto di come non valesse la pena continuare con la politica delle conversioni forzate, e a quel punto iniziarono a sviluppare dottrine sulla tolleranza di cristiani, ebrei e zoroastriani. Questo è un esempio di quanto la dottrina islamica possa essere adattabile, e d’altronde in tutte e tre le religioni vi sono stati ‘periodi’ in cui esse hanno mostrato la loro capacità di adattarsi in questo modo costruttivo. Ciò premesso, sarebbe folle affermare che in questo momento tutte e tre le religioni monoteistiche siano intrise di tolleranza, ma penso comunque che sia un errore dire che una qualsiasi di queste religioni sia per sua natura condannata a essere intollerante”. Davvero? E perché? “Beh, perché la storia ci mostra che cosa sia in grado di tirare fuori il meglio nella religione, e ci mostra che tutte e tre queste religioni sono capaci di rispondere a queste forze”.
Negli ultimi anni, si sono visti numerosi libri sul dibattito tra fede e ragione: alcuni, come Tim Keller, hanno perorato la causa di Dio, per essere stroncati da altri come Christopher Hitchens e Sam Harris. In che senso “The Evolution of God” si differenzi dal lavoro degli autori citati? “Beh, decisamente non si adatta alle categorie esistenti, poiché da un lato non accetto le rivendicazioni di rivelazione divina contenuta nelle religioni abramitiche, e in quel senso sono uno scettico. D’altra parte io non mi ritengo ateo, poiché penso che vi sia almeno qualche evidenza di un qualche scopo più grande operante nelle attività della natura. Per esempio, anche solo nel mondo materiale, mi pare che vi sia una direzione sufficiente a suggerire che vi sia un qualche tipo di scopo dotato perfino di un orientamento di tipo morale”.
In una parte particolarmente convincente del libro, Wright spiega perché la scienza afferma la validità della ricerca religiosa. Per spiegare quale sia il terreno comune condiviso dallo scienziato e dal credente, Wright si esprime così: “Voglio dire che, se anche non esiste un Dio personale, può esserci qualcosa che meriti di essere chiamato ‘divino’, e forse che la capacità umana di concepire il divino è così limitata che il pensarlo come Dio è un’approssimazione sensibile della verità, dati appunto i limiti del pensiero umano. Ecco perché faccio un’analogia con il modo in cui gli scienziati pensano agli elettroni. La scienza ci ha mostrato che non possiamo concepire un elettrone in modo chiaro, poiché ogni volta che tentiamo di pensare a un elettrone ci ritroviamo ad annegare nel paradosso: non è una particella, non è un’onda, è entrambe le cose e nessuna delle due. Tutto ciò che sappiamo è che le nostre metafore per descrivere gli elettroni sono comunque imperfette. Il fatto è che usando queste imperfette metafore si riescono comunque a ottenere buoni risultati scientifici e a costruire i computer e tutti gli altri dispositivi elettronici. Per questo dico che la credenza scientifica e quella religiosa potrebbero avere in comune qualcosa in più di quanto comunemente si pensi”.
L’ultimo libro di Wright, “Nonzero”, era stato lodato pubblicamente dall'ex presidente statunitense Bill Clinton, che aveva chiesto di leggerlo ai membri dello staff della Casa Bianca. Da parte sua, invece, Wright ha dichiarato recentemente che l’attuale presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, “è simile all’apostolo Paolo”. Per spiegare come mai abbia coniato l’analogia, Wright dice: “Beh, Obama ha sia un tratto ispirato sia un tratto professorale-analitico, e anche Paolo era più o meno così. In alcune occasioni è il teologo che elaborava la dottrina del peccato e della grazia, mentre in alcune altre si ritrova a predicare l’amore reciproco a comunità segnate da discordie e divisioni, come in quel passaggio della Lettera ai Corinzi che così spesso viene letto in occasione di matrimoni: ‘L’amore è paziente… l’amore è gentile… l’amore non si vanta e non si gonfia…’ e così via”. E Clinton a chi assomiglia? “Qualcuno, per scherzo, era solito chiamare Clinton ‘il primo presidente nero’. Penso che la sua capacità di mettersi in comunicazione con l’uditorio dei neri avesse qualcosa a che fare con la sua educazione da membro della Southern Baptist Convention”.
Come hanno reagito cristiani ed ebrei al suo libro? “Ad alcuni cristiani non è piaciuta la mia argomentazione secondo cui Gesù non avrebbe davvero detto tutte quelle cose sull’amore universale, ma esse sarebbero state piuttosto elaborate dall’apostolo Paolo e successivamente attribuite a Gesù. D’altro canto, ho avuto risposte più favorevoli dai lettori di religione ebraica. Penso sia dovuto al fatto che il credere non ha nel giudaismo lo stesso ruolo che riveste nel cristianesimo e nell’islam”. Come sarebbe a dire? “Beh, non sono la prima persona a sostenerlo e forse mi metterò nei guai a cercare di elaborare il concetto, ma penso che, per alcuni ebrei, essere religiosi abbia più a che fare con i riti e la tradizione che non con il credere in Dio in quanto tale. Vi sono ebrei scrupolosamente osservanti che non pensano veramente a Dio in un modo o nell’altro. Non è così, invece, per la maggior parte dei cristiani. I cristiani sono nel complesso più legati alla verità della Scrittura.
Che cosa pensa che i cattolici potrebbero eventualmente trovare interessante nel suo libro?. “Potrebbero fare eco alla mia enfasi sull’inconoscibilità di Dio. Come tendo a rimarcare, dal momento che la mente umana è stata configurata dall’evoluzione, non è in definitiva attrezzata per concepire con chiarezza le cose ultime e presumibilmente, se Dio esiste, è davvero quanto di ‘più ultimo’ vi possa essere. Nella tradizione cattolica viene data moltissima enfasi a una parola usata da Paolo: ‘mistero’. I cattolici usano quella parola come modo per mettere in evidenza la nostra incapacità di concepire Dio in modo lontanamente adeguato”.
Alla domanda su quale sia il messaggio che si augura venga maggiormente recepito dai lettori del suo “The Evolution of God”, Wright risponde: “Che non esiste qualcosa come una religione buona o una religione cattiva, e tutte le religioni possono diventare una forza costruttiva nel mondo se comprendiamo che cosa riesca a tirare fuori il meglio nelle religioni”. Questo suona un po’ come relativismo, e lo facciamo presente all’autore, che obietta: “Guardi, quando una religione è nel suo umore belligerante, ciò avviene di solito perché i credenti vedono se stessi come nemici della gente verso cui è diretta la belligeranza. D’altro canto, la tolleranza in una religione trova spazio quando i credenti iniziano a pensare di avere qualcosa da guadagnare da una coesistenza pacifica o magari dalla collaborazione con un altro gruppo. Non penso che l’umore di una religione possa cambiare da un giorno all'altro, ma ritengo che gli atteggiamenti possano cambiare se cambiano le circostanze concrete o cambia anche solo il modo di percepirle”.
«Il Foglio» del 15 settembre 2009
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