di Paolo Del Debbio
Quando alle elezioni vince il centrodestra sono gli elettori che hanno sbagliato. Se gli operai di Mirafiori e Pomigliano firmano un accordo con la Fiat e la Fiom decide di non firmare, per parola dei dirigenti della Fiom stessa siamo di fronte a un «attacco alla democrazia». Mettiamo insieme questi due fatti perché insieme devono stare. Alla loro radice c’è lo stesso vizio italiano per il quale c’è sempre una minoranza illuminata che sa qual è la verità da credere e il giusto da compiere e, dall’altra parte, il popolo che, quando non fa ciò che dice loro, sbaglia. E sbagliando fa del male alla democrazia. Ieri il Giornale ha pubblicato una lettera firmata da operai che hanno sottoscritto l’accordo con la Fiat. La lettera, lo ricordiamo, era indirizzata a Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Tra l’altro scrivevano: «Noi che abbiamo votato sì a quell’accordo ci siamo stancati di continue dichiarazioni tese a sostenere chi non aveva valide alternative da proporci», cioè la Fiom, sostenuta dal Pd, dall’Idv e dal partito del governatore della Puglia. I l contenuto della lettera degli operai è riassumibile in poche parole. Ci siamo trovati di fronte a d una proposta, non è l a migliore delle proposte possibili, altre realistiche non ne sono state fatte da nessuno: né dalla Fiom, né dai tre partiti che la Fiom sostengono. In sostanza, gli operai Fiat richiamano alla realtà. Non si tratta di rassegnazione (almeno così l’abbiamo letta noi), ma di realismo, della presa d’atto che la realtà industriale sta cambiando e che si può discutere ma non dicendo solo «no». In altre parole ancora, hanno guardato alle cose così come stanno, togliendosi gli occhiali di un sindacalismo ammuffito e guardando con gli occhi, magari non contenti, di chi conosce la realtà della fabbrica e del mercato dell’auto. Dicevamo prima che l’allarme della Fiom, «attacco alla democrazia», è una vecchia storia. In Italia abbiamo avuto prima il fascismo, dove uno poteva pensare per tutti, poi abbiamo avuto il comunismo di Antonio Gramsci, quello dell’egemonia culturale, che aveva capito perfettamente come la realtà possa essere stracciata a proprio piacimento quando si ha la cultura nelle proprie mani e si distribuiscono in abbondanza occhiali per farla vedere non quale è, ma quale si decide che sia. Il sindacato Fiom non si discosta da questa visione. Certo, a loro brucia il fatto che l’accordo aziendale della Fiat non permetta più alle organizzazioni sindacali che non firmano il contratto aziendale di far parte della rappresentanza aziendale sindacale purché, come era fino ad oggi, raccolgano almeno il 5 per cento di firme tra i lavoratori dell’azienda. Ora chi non firma sta fuori. Chi firma sta dentro. Brucia anche il fatto che la politica dei redditi, dopo la firma di questo contratto, sarà materia legata alla produttività dell’azienda e dunque riguarderà i lavoratori, la dirigenza e gli investitori, e non il sindacato a livello nazionale. Perdere il potere brucia a chiunque. Lo capiamo. Se poi questo potere è difeso dall’intellighenzia dominante nel Paese, allora brucia anche di più perché si rompe quel circolo fra potere e lettura deformata della realtà che poteva mettere in scacco il popolo, nel contesto politico, e gli operai, nel contesto del mercato. Questo accordo della Fiat rompe questo circolo. Non c’è solo del buono in questo accordo, ma la lettura che ne va fatta è storica, cioè legata a ciò che significa questo accordo e non solo a ciò che in esso è scritto e che sarà migliorabile.
«Il Giornale» del 30 dicembre 2010
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