Dal Cairo a Cremona, storie emblematiche e istruttive sui social network
di Giuseppe Romano
Eventi vicini e lontani di queste ore. A Cremona due sedicenni attirate via Facebook a un incontro e poi violentate. In Egitto, nel corso dei disordini, 'oscurati' Facebook e Twitter.
Non per caso si chiamano social network: è lì che noi cittadini d’inizio terzo millennio ci incontriamo, in una piazza senza confini.
Quanto è vicina Cremona? Quanto è lontano il Cairo? Al di là della trepidazione per le persone coinvolte, sono eventi esemplari. In Egitto, come altrove, la mossa strategica dei governanti incalzati è quella di picchettare la piazza-Facebook (esattamente come nella cinese piazza Tienanmen o nell’argentina Plaza de Mayo ai tempi delle madri che invocavano i figli desaparecidos). A Cremona risalta l’opera di mistificazione compiuta da farabutti che, spacciandosi per ciò che non sono, raggirano ragazze disponibili a quella che sembrava un’amicizia e invece era un agguato. In comune alcune constatazioni: che nell’era digitale tutto è vicino e ci tocca, e che nelle nuove piazze elettroniche va in scena un autentico problema sociale. Benedetto XVI nei giorni scorsi ha messo un accento importante sulla questione dell’identità in rete. I quotidiani ne hanno tratto uno slogan sbrigativo e insufficiente: «Non fatevi profili falsi in Internet». In realtà l’invito del Papa è più circostanziato e va approfondito in una direzione non così banale. Perché se quello dell’identità, personale e collettiva, è un nodo centrale nelle società di sempre, oggi diventa cruciale nel momento in cui questa stessa identità può venire agevolmente mistificata e messa in discussione.
Secoli fa, pochi erano i modi per accertare che una persona fosse chi diceva di essere. Il messaggero del re galoppava lontano portando con sé l’anello regale che garantiva la veridicità del messaggio. Oggi siamo pronti a esibire un documento d’identità, ma è divenuto chiaro che questo non basta più: nei passaporti vengono inseriti chip elettronici che, contenendo informazioni fisiologiche sul proprietario (come le impronte digitali, o la scansione dell’iride), dovrebbero garantirne l’identità. Ma l’era in cui possiamo perfino interrogare il Dna per spremerne certezze inoppugnabili è anche la stessa in cui il 'furto d’identità', specie per via telematica, ha conosciuto una diffusione senza precedenti.
Privare qualcuno della propria identità, sostituendosi a lui a sua insaputa, è un atto gravemente offensivo. Toglie a chi lo subisce ciò che ha di più prezioso, la sua stessa consistenza libera e unica. Utilizzare strumenti elettronici per simulare d’essere altro da sé non è soltanto una truffa: uccide la fiducia tra le persone. C’è anche chi frequenta i social network fingendosi un interlocutore qualsiasi, e invece è lì per vendere prodotti.
Dopo essersi conquistato la fiducia con quelle che appaiono chiacchiere sincere tra mamme incerte sui prodotti per il proprio bebè, lascia scivolare un commento sui migliori pannolini da usare. E il gioco – l’inganno – è consumato, proprio in un mondo come quello dei social network dove la fiducia è la materia prima più preziosa.
Chiudere i rubinetti dei social network – come fanno i regimi vacillanti – è la via opposta per raggiungere lo stesso scopo: sopprime la fiducia negando il diritto alla verità. La cronaca ci conferma che, sfruttate o temute, le piazze virtuali si sono ormai aperte un varco destinato soltanto ad ampliarsi.
Imparare a farci i conti, con realismo avveduto, diventa sempre più indispensabile per comprendere l’umanità nostra compagna di strada, che con ogni mezzo comunica se stessa.
Non per caso si chiamano social network: è lì che noi cittadini d’inizio terzo millennio ci incontriamo, in una piazza senza confini.
Quanto è vicina Cremona? Quanto è lontano il Cairo? Al di là della trepidazione per le persone coinvolte, sono eventi esemplari. In Egitto, come altrove, la mossa strategica dei governanti incalzati è quella di picchettare la piazza-Facebook (esattamente come nella cinese piazza Tienanmen o nell’argentina Plaza de Mayo ai tempi delle madri che invocavano i figli desaparecidos). A Cremona risalta l’opera di mistificazione compiuta da farabutti che, spacciandosi per ciò che non sono, raggirano ragazze disponibili a quella che sembrava un’amicizia e invece era un agguato. In comune alcune constatazioni: che nell’era digitale tutto è vicino e ci tocca, e che nelle nuove piazze elettroniche va in scena un autentico problema sociale. Benedetto XVI nei giorni scorsi ha messo un accento importante sulla questione dell’identità in rete. I quotidiani ne hanno tratto uno slogan sbrigativo e insufficiente: «Non fatevi profili falsi in Internet». In realtà l’invito del Papa è più circostanziato e va approfondito in una direzione non così banale. Perché se quello dell’identità, personale e collettiva, è un nodo centrale nelle società di sempre, oggi diventa cruciale nel momento in cui questa stessa identità può venire agevolmente mistificata e messa in discussione.
Secoli fa, pochi erano i modi per accertare che una persona fosse chi diceva di essere. Il messaggero del re galoppava lontano portando con sé l’anello regale che garantiva la veridicità del messaggio. Oggi siamo pronti a esibire un documento d’identità, ma è divenuto chiaro che questo non basta più: nei passaporti vengono inseriti chip elettronici che, contenendo informazioni fisiologiche sul proprietario (come le impronte digitali, o la scansione dell’iride), dovrebbero garantirne l’identità. Ma l’era in cui possiamo perfino interrogare il Dna per spremerne certezze inoppugnabili è anche la stessa in cui il 'furto d’identità', specie per via telematica, ha conosciuto una diffusione senza precedenti.
Privare qualcuno della propria identità, sostituendosi a lui a sua insaputa, è un atto gravemente offensivo. Toglie a chi lo subisce ciò che ha di più prezioso, la sua stessa consistenza libera e unica. Utilizzare strumenti elettronici per simulare d’essere altro da sé non è soltanto una truffa: uccide la fiducia tra le persone. C’è anche chi frequenta i social network fingendosi un interlocutore qualsiasi, e invece è lì per vendere prodotti.
Dopo essersi conquistato la fiducia con quelle che appaiono chiacchiere sincere tra mamme incerte sui prodotti per il proprio bebè, lascia scivolare un commento sui migliori pannolini da usare. E il gioco – l’inganno – è consumato, proprio in un mondo come quello dei social network dove la fiducia è la materia prima più preziosa.
Chiudere i rubinetti dei social network – come fanno i regimi vacillanti – è la via opposta per raggiungere lo stesso scopo: sopprime la fiducia negando il diritto alla verità. La cronaca ci conferma che, sfruttate o temute, le piazze virtuali si sono ormai aperte un varco destinato soltanto ad ampliarsi.
Imparare a farci i conti, con realismo avveduto, diventa sempre più indispensabile per comprendere l’umanità nostra compagna di strada, che con ogni mezzo comunica se stessa.
«Avvenire» del 29 gennaio 2011
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