Cosa cambia con l'accordo tra Google Italia e l'Antitrust
di Giuseppe Romano
L’Antitrust italiana, pioniera in Europa, ha concluso lunedì un’istruttoria riguardante Google, il principale motore di ricerca su Internet. E ha trasformato la frontiera in civiltà, emettendo un verdetto sotto forma di accordo in cui il gigante informatico californiano sottoscrive impegni molto significativi. Due i temi sotto esame: notizie e pubblicità. Contendenti di Google nel primo caso l’informazione professionale, nel secondo i siti Web che ospitano inserzioni. D’ora innanzi gli editori potranno – se lo vogliono – limitare la diffusione dei contenuti informativi di loro proprietà da parte del motore di ricerca. Se – poniamo – ieri avessimo cercato sul servizio gratuito Google News «Afghanistan» avremmo rintracciato un elenco indiscriminato di articoli che lì comparivano per il mero fatto di essere presenti sul Web.
Ora invece un quotidiano che non volesse più far comparire propri materiali informativi nell’elenco sortito dalla ricerca online potrebbe sottrarre il proprio sito allo scandaglio di Google, oppure vincolare il risultato pubblicato al solo titolo dei suoi articoli ma senza perdere il diritto di essere individuato nelle ricerche. Chi volesse leggere il testo dovrebbe andare a prelevarlo dal sito del giornale, anche a pagamento, se così è previsto. È chiaro che in questo modo Google smette di essere quel 'giornale dei giornali' gratuito che è stato finora. Resta il re indiscusso delle ricerche, ma non si appropria più (e senza neanche un grazie) del lavoro altrui. Discorso non troppo diverso per la pubblicità. Col servizio AdWords di Google, un sito che ospita un’inserzione pubblicitaria guadagna qualcosa per ogni clic dei visitatori su quell’annuncio. Finora però Google non aveva mai rivelato l’entità della quota concessa e si riservava di variarla a sua discrezione. D’ora in poi invece gli editori sapranno quanta parte del guadagno spetta loro, e avranno una base per trattative coerenti col volume di traffico.
Possono sembrare tecnicalità astruse: sono, invece, pilastri di libertà e civiltà nel territorio digitale, dove – come ovunque – le idee originali e persino rivoluzionarie sono tenute a incarnarsi nel contesto dei diritti e doveri propri del mondo reale. L’informazione online (ma il discorso vale in prospettiva anche per altri ambiti della rete: libri, film, videogiochi, musica...) chiama in causa il diritto d’autore e la tutela di contenuti elaborati con professionalità e spesso a caro prezzo.
Da un contesto ben regolato tutti traiamo vantaggio. Anche altri immensi territori della rete, come Facebook, stanno finalmente ripensando il tema del rispetto dovuto ai cittadini che li frequentano. Un rispetto che si fa sempre più decisivo, anche perché il suo contrario – per quanto barattato con un vantaggio economico – è la confusione tra notizia e annuncio pubblicitario, tra libertà d’informazione e mercato indiscriminato delle idee. Se a una forma di convivenza con Google non si pervenisse, chi informa per professione rischierebbe di scomparire soppiantato da 'agenzie di comunicazione' pagate per propagandare notizie di cui noi utenti non sapremmo valutare l’attendibilità. Forse difendere questo margine essenziale di libertà ci verrà a costare qualcosa, difficile che le notizie sul Web vengano indefinitamente 'regalate'. I siti informativi qualcosa dovranno far pagare: ma questo garantirà che qualcosa valgono.
Ora invece un quotidiano che non volesse più far comparire propri materiali informativi nell’elenco sortito dalla ricerca online potrebbe sottrarre il proprio sito allo scandaglio di Google, oppure vincolare il risultato pubblicato al solo titolo dei suoi articoli ma senza perdere il diritto di essere individuato nelle ricerche. Chi volesse leggere il testo dovrebbe andare a prelevarlo dal sito del giornale, anche a pagamento, se così è previsto. È chiaro che in questo modo Google smette di essere quel 'giornale dei giornali' gratuito che è stato finora. Resta il re indiscusso delle ricerche, ma non si appropria più (e senza neanche un grazie) del lavoro altrui. Discorso non troppo diverso per la pubblicità. Col servizio AdWords di Google, un sito che ospita un’inserzione pubblicitaria guadagna qualcosa per ogni clic dei visitatori su quell’annuncio. Finora però Google non aveva mai rivelato l’entità della quota concessa e si riservava di variarla a sua discrezione. D’ora in poi invece gli editori sapranno quanta parte del guadagno spetta loro, e avranno una base per trattative coerenti col volume di traffico.
Possono sembrare tecnicalità astruse: sono, invece, pilastri di libertà e civiltà nel territorio digitale, dove – come ovunque – le idee originali e persino rivoluzionarie sono tenute a incarnarsi nel contesto dei diritti e doveri propri del mondo reale. L’informazione online (ma il discorso vale in prospettiva anche per altri ambiti della rete: libri, film, videogiochi, musica...) chiama in causa il diritto d’autore e la tutela di contenuti elaborati con professionalità e spesso a caro prezzo.
Da un contesto ben regolato tutti traiamo vantaggio. Anche altri immensi territori della rete, come Facebook, stanno finalmente ripensando il tema del rispetto dovuto ai cittadini che li frequentano. Un rispetto che si fa sempre più decisivo, anche perché il suo contrario – per quanto barattato con un vantaggio economico – è la confusione tra notizia e annuncio pubblicitario, tra libertà d’informazione e mercato indiscriminato delle idee. Se a una forma di convivenza con Google non si pervenisse, chi informa per professione rischierebbe di scomparire soppiantato da 'agenzie di comunicazione' pagate per propagandare notizie di cui noi utenti non sapremmo valutare l’attendibilità. Forse difendere questo margine essenziale di libertà ci verrà a costare qualcosa, difficile che le notizie sul Web vengano indefinitamente 'regalate'. I siti informativi qualcosa dovranno far pagare: ma questo garantirà che qualcosa valgono.
«Avvenire» del 19 gennaio 2011
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