Intellettuali a confronto sull’appello lanciato da Sequeri: basta nichilistiche retoriche del dialogo, occorre lavorare insieme a una bussola morale
di Lorenzo Fazzini
Una lotta agli idoli postmoderni da fare. Insieme. Il contributo di Pierangelo Sequeri pubblicato domenica su 'Agorà' trova un’accoglienza incisiva in diversi intellettuali italiani. Coglie nel segno l’invito del teologo milanese alla cooperazione tra credenti e non (oltre il mero dialogo) per smitizzare quattro totem contemporanei: il giovanilismo, l’economia utilitaristica, la cultura informativa, l’esclusione pubblica di Dio. «Difficile non dirsi d’accordo con Sequeri, vorrei che in tanti apponessero la loro firma a questo testo – esordisce Carmelo Vigna, docente di Filosofia morale all’università Ca’ Foscari di Venezia –. In tanti non si è contenti di come vanno le cose, fra credenti e non. Il contributo di Sequeri alza il tiro del dibattito e chiede una cooperazione vera, certamente difficile da gestire».
Perché? «In concreto: se sull’aiuto agli immigrati, come fa la Caritas, siamo tutti d’accordo, sulle questioni socio-politiche e l’economia sorgono complicazioni difficili da bypassare: l’accusa di inciucio è sempre dietro l’angolo». Cosa chiede ai credenti la perorazione di Sequeri? «Il superamento degli steccati e una maggior profezia.
Ad esempio: non contrapponiamo la scuola privata a quella pubblica, ma cerchiamo di incidere al meglio su entrambe. È giusta la battaglia sul testamento biologico, ma non dimentichiamo le emergenze sociali, come il precariato dei giovani. Dov’è la denuncia sul malaffare oggi dilagante, per cui la politica sembra un 'arraffa arraffa'? I giovani rischiano di non capire più dove sia la Chiesa.
Insomma, non operiamo una cooperazione al ribasso, prendiamoci a cuore le passioni per l’umano». È questa la parolachiave secondo Laura Boella, titolare della cattedra di Filosofia morale all’Università Statale di Milano: «È un compito comune a credenti e non credenti. Per me pensare l’umano significa riflettere sul bene e sul male, sulla vita e la morte, insomma la passione per la verità. Ma oggi, mi chiedo, esiste ancora tale passione? Nel dibattito etico sento parlare di 'soglia minima': si minimizza tutto. Dov’è l’interrogazione vera, la forza della domanda etica, il pensiero morale?». La pensatrice della Statale scandaglia alcuni degli idoli stigmatizzati da Sequeri: «Se è giusta la riprovazione delle donne che a cinquant’anni cercano un figlio [l’ultima, Gianna Nannini da copertina, ndr ], vanno ricordati quei sessanta-settantenni che si prendono una ventenne come compagna. È la stessa mancanza di riconfigurazione della propria esperienza di vita. Ci si vuole rimodellare senza accettare di cambiare. Il testo di Sequeri mi ha convinto a tenere un corso di morale sul denaro: lo farò l’anno prossimo». Per la Boella «c’è bisogno del lavoro del pensiero per non venir contagiati dalla negatività che si vede in giro.
'Passioni tristi' le chiama Sequeri: Walter Benjamin aveva scritto un saggio sulla Malinconia della sinistra e Judith Butler su quella del genere: le femministe oggi sono malinconiche.
Dobbiamo ripartire dai giovani: insegnando noto che soffrono l’oblio ma in loro non è sepolto il gusto del bello. Di recente ho parlato di Cristina Campo in un comune dello Spezzino: c’erano alcuni liceali bravissimi!».
Secondo Sergio Givone, docente di Filosofia all’Università di Firenze, il quid del discorso consiste in una cesura postmoderna: «È falso pensare che, sopprimendo il riferimento alla verità, si crei uno spazio libero per il dialogo. Così si assiste a quella retorica del dialogo denunciata da Sequeri: viene meno la concezione della verità e ognuno resta attaccato alla propria convinzione. Con Richard Rorty e il nichilismo in voga oggi nasce la liquidazione di qualsiasi riferimento alla verità». Di qui, secondo il pensatore, deriva il 'carattere privato della nominazione di Dio': «Se si toglie l’idea di Dio dal dibattito pubblico, ci si priva di quel più ampio orizzonte che tutti ci comprende e nel quale ci sentiamo responsabili verso la verità. Così sorge il giovanilismo, un valore effimero e un idolo, in pratica l’esempio di un’identità particolare. Mentre invece – secondo il Vangelo – la verità è l’incontro con Qualcuno, che certamente può essere accettato o rifiutato. Ma almeno resta un orizzonte che impedisce la retorica». Givone, segnalando «nella televisione, nel dibattito mediatico, nel contrasto ideologico» gli spazi attuali di tale retorica, indica «nei luoghi della sofferenza, quali gli ospedali» l’ambiente in cui si «la coscienza delle persone si apre ad un orizzonte più ampio». «Annalena Tonelli, la missionaria italiana uccisa in Somalia, raccontava che le sue giornate con gli ammalati di tubercolosi passavano nel parlare della propria morte».
Parte da questo paradosso Lucio Coco, lucido saggista ed esperto di patristica, per lanciare lo scandalo di alcune 'buone pratiche' contro la retorica del dialogo: «La cooperazione di pensiero e religione deve sfidare i miti giovanilistici e quelli economicistici che contrabbandano una falsa idea della felicità come, rispettivamente, godimento e soddisfazione legata al consumo.
Si tratta di recuperare la dimensione del sacrificio, per usare il lessico di Tarkovskij: ricreare spazi di rinuncia e silenzio, delle interruzioni nel continuum talvolta assordante di produzione e comunicazione.
Sequeri dice che oggi noi conosciamo solo 'la funzione informativa' del linguaggio. La vera essenza del linguaggio è però il silenzio, la capacità di silenzio che la parola, detta e ascoltata, riesce ad evocare dentro di noi.
Ma il flusso di comunicazione che ci arriva dai mass media deriva da questo silenzio?» si chiede l’autore di Figure spirituali (Messaggero) e del prossimo Interrogare la fede (Lindau).
«L’essenza del linguaggio è il silenzio, la quantità di silenzio che determina in noi la parola detta e ascoltata – chiosa Coco –. 'Il silenzio è la qualità della parola', scrive madre Anna Maria Cànopi. Ripartiamo dalla lettura della Scrittura, dai testi del Papa, dalla poesia: romperemo la rete fittizia della comunicazione. Il silenzio ci aiuterà a ricostruire una nuova scala di valori».
Perché? «In concreto: se sull’aiuto agli immigrati, come fa la Caritas, siamo tutti d’accordo, sulle questioni socio-politiche e l’economia sorgono complicazioni difficili da bypassare: l’accusa di inciucio è sempre dietro l’angolo». Cosa chiede ai credenti la perorazione di Sequeri? «Il superamento degli steccati e una maggior profezia.
Ad esempio: non contrapponiamo la scuola privata a quella pubblica, ma cerchiamo di incidere al meglio su entrambe. È giusta la battaglia sul testamento biologico, ma non dimentichiamo le emergenze sociali, come il precariato dei giovani. Dov’è la denuncia sul malaffare oggi dilagante, per cui la politica sembra un 'arraffa arraffa'? I giovani rischiano di non capire più dove sia la Chiesa.
Insomma, non operiamo una cooperazione al ribasso, prendiamoci a cuore le passioni per l’umano». È questa la parolachiave secondo Laura Boella, titolare della cattedra di Filosofia morale all’Università Statale di Milano: «È un compito comune a credenti e non credenti. Per me pensare l’umano significa riflettere sul bene e sul male, sulla vita e la morte, insomma la passione per la verità. Ma oggi, mi chiedo, esiste ancora tale passione? Nel dibattito etico sento parlare di 'soglia minima': si minimizza tutto. Dov’è l’interrogazione vera, la forza della domanda etica, il pensiero morale?». La pensatrice della Statale scandaglia alcuni degli idoli stigmatizzati da Sequeri: «Se è giusta la riprovazione delle donne che a cinquant’anni cercano un figlio [l’ultima, Gianna Nannini da copertina, ndr ], vanno ricordati quei sessanta-settantenni che si prendono una ventenne come compagna. È la stessa mancanza di riconfigurazione della propria esperienza di vita. Ci si vuole rimodellare senza accettare di cambiare. Il testo di Sequeri mi ha convinto a tenere un corso di morale sul denaro: lo farò l’anno prossimo». Per la Boella «c’è bisogno del lavoro del pensiero per non venir contagiati dalla negatività che si vede in giro.
'Passioni tristi' le chiama Sequeri: Walter Benjamin aveva scritto un saggio sulla Malinconia della sinistra e Judith Butler su quella del genere: le femministe oggi sono malinconiche.
Dobbiamo ripartire dai giovani: insegnando noto che soffrono l’oblio ma in loro non è sepolto il gusto del bello. Di recente ho parlato di Cristina Campo in un comune dello Spezzino: c’erano alcuni liceali bravissimi!».
Secondo Sergio Givone, docente di Filosofia all’Università di Firenze, il quid del discorso consiste in una cesura postmoderna: «È falso pensare che, sopprimendo il riferimento alla verità, si crei uno spazio libero per il dialogo. Così si assiste a quella retorica del dialogo denunciata da Sequeri: viene meno la concezione della verità e ognuno resta attaccato alla propria convinzione. Con Richard Rorty e il nichilismo in voga oggi nasce la liquidazione di qualsiasi riferimento alla verità». Di qui, secondo il pensatore, deriva il 'carattere privato della nominazione di Dio': «Se si toglie l’idea di Dio dal dibattito pubblico, ci si priva di quel più ampio orizzonte che tutti ci comprende e nel quale ci sentiamo responsabili verso la verità. Così sorge il giovanilismo, un valore effimero e un idolo, in pratica l’esempio di un’identità particolare. Mentre invece – secondo il Vangelo – la verità è l’incontro con Qualcuno, che certamente può essere accettato o rifiutato. Ma almeno resta un orizzonte che impedisce la retorica». Givone, segnalando «nella televisione, nel dibattito mediatico, nel contrasto ideologico» gli spazi attuali di tale retorica, indica «nei luoghi della sofferenza, quali gli ospedali» l’ambiente in cui si «la coscienza delle persone si apre ad un orizzonte più ampio». «Annalena Tonelli, la missionaria italiana uccisa in Somalia, raccontava che le sue giornate con gli ammalati di tubercolosi passavano nel parlare della propria morte».
Parte da questo paradosso Lucio Coco, lucido saggista ed esperto di patristica, per lanciare lo scandalo di alcune 'buone pratiche' contro la retorica del dialogo: «La cooperazione di pensiero e religione deve sfidare i miti giovanilistici e quelli economicistici che contrabbandano una falsa idea della felicità come, rispettivamente, godimento e soddisfazione legata al consumo.
Si tratta di recuperare la dimensione del sacrificio, per usare il lessico di Tarkovskij: ricreare spazi di rinuncia e silenzio, delle interruzioni nel continuum talvolta assordante di produzione e comunicazione.
Sequeri dice che oggi noi conosciamo solo 'la funzione informativa' del linguaggio. La vera essenza del linguaggio è però il silenzio, la capacità di silenzio che la parola, detta e ascoltata, riesce ad evocare dentro di noi.
Ma il flusso di comunicazione che ci arriva dai mass media deriva da questo silenzio?» si chiede l’autore di Figure spirituali (Messaggero) e del prossimo Interrogare la fede (Lindau).
«L’essenza del linguaggio è il silenzio, la quantità di silenzio che determina in noi la parola detta e ascoltata – chiosa Coco –. 'Il silenzio è la qualità della parola', scrive madre Anna Maria Cànopi. Ripartiamo dalla lettura della Scrittura, dai testi del Papa, dalla poesia: romperemo la rete fittizia della comunicazione. Il silenzio ci aiuterà a ricostruire una nuova scala di valori».
Convince l’invito del teologo a smitizzare i quattro totem contemporanei: il giovanilismo, l’economia utilitaristica, la cultura informativa, l’esclusione di Dio
«Avvenire» del 18 gennaio 2011
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