di Marco Magrini
L'essere umano numero 7 miliardi dovrebbe nascere a luglio, o al più tardi verso ottobre. E pensare che avevamo festeggiato il nascituro numero 6 miliardi appena 12 anni fa, quando ce ne vollero 123 – fra il 1804 e il 1927 – per passare da uno a due miliardi. Sono le meraviglie, e gli spaventi, della demografia.
Il futuro demografico appariva spaventoso a Thomas Malthus, che nel 1798, mentre la popolazione cresceva più velocemente delle scorte alimentari, profetizzò guerre e carestie. Ma poi sono fioriti i commerci internazionali, e le sue matematiche certezze sono diventate irrilevanti.
Due miliardi di esseri umani più tardi, il futuro pareva spaventoso anche a Paul Ehrlich, che ridipinse un panorama malthusiano nel 1968, con il suo The Population Bomb. Ma invece è poi scoppiata la Rivoluzione Verde – semi migliori, fertilizzanti e pesticidi che hanno moltiplicato la produzione agricola – rendendo le sue statistiche irrilevanti.
Ovviamente, le profezie smentite del passato non offrono certezze per il futuro. Anzi, le proiezioni delle Nazioni Unite, che parlano di un picco della popolazione intorno a metà secolo, verso quota 9,2 miliardi, consentono di calcolare che un moderno Malthus potrebbe predire un futuro di guerre e carestie: il cibo prodotto oggi non basterebbe, se a tavola ci fossero 2 miliardi di convitati in più.
Stamani a Parigi, viene presentato il nuovo rapporto Agrimonde sul futuro dell'alimentazione in un mondo sempre più popolato. E il rapporto, curato da Inra e Ciram, due istituti di ricerca francesi, dice che nel 2050 riusciremo a sfamare il mondo. Ma ad alcune condizioni. Che richiedono tutte (a parte l'ovvio contributo della scienza e della tecnologia) un alto livello di cooperazione internazionale attualmente assente dalla scena, come dimostrano i negoziati sul clima e il commercio.
Il bambino numero 9 miliardi dovrebbe arrivare nel 2045. Ma il fatto importante è che, dicono i demografi, il bambino numero 10 miliardi potrebbe non nascere mai. Dopo quota 9,2 miliardi, la popolazione planetaria dovrebbe restare stabile, o cominciare a scendere. Dopo anni di politiche draconiane come quella cinese di un figlio a famiglia, e dopo anni di campagne per l'uso dei contraccettivi, ormai è chiaro che il miglior anticoncezionale al mondo è il reddito procapite.
La chiamano transizione demografica. È il passaggio di una società dalla fase preindustriale (alto tasso di nascite ma anche di mortalità) alla fase di crescita (con cibo e sanità migliori crolla la mortalità). La terza fase subentra quando il reddito cresce ancora e l'emancipazione femminile fa scendere le nascite. La quarta è quella di deflazione: nascite ancor più basse e lunga aspettativa di vita. «Le giovani coppie di Pechino o di Shanghai che vogliono vivere bene – diceva tempo fa Hania Zlotnik, direttrice della Divisione popolazione dell'Onu, in un'intervista al Sole 24 Ore – stanno abbassando la fertilità media della Cina, meglio e più rapidamente del Partito comunista».
Nella quarta fase c'è l'Italia. Nella terza il Brasile e l'India. Nella seconda l'Uganda e l'Angola. Ma nella prima non c'è più nessuno.
Certo, la sovrappopolazione non è un problema di spazio, ma di distribuzione delle risorse. Anche se la globalizzazione sta già rimescolando le carte, non basta. L'ennesimo rischio malthusiano sarà evitato. Ma sarà più difficile, senza una vera governance mondiale.
Il futuro demografico appariva spaventoso a Thomas Malthus, che nel 1798, mentre la popolazione cresceva più velocemente delle scorte alimentari, profetizzò guerre e carestie. Ma poi sono fioriti i commerci internazionali, e le sue matematiche certezze sono diventate irrilevanti.
Due miliardi di esseri umani più tardi, il futuro pareva spaventoso anche a Paul Ehrlich, che ridipinse un panorama malthusiano nel 1968, con il suo The Population Bomb. Ma invece è poi scoppiata la Rivoluzione Verde – semi migliori, fertilizzanti e pesticidi che hanno moltiplicato la produzione agricola – rendendo le sue statistiche irrilevanti.
Ovviamente, le profezie smentite del passato non offrono certezze per il futuro. Anzi, le proiezioni delle Nazioni Unite, che parlano di un picco della popolazione intorno a metà secolo, verso quota 9,2 miliardi, consentono di calcolare che un moderno Malthus potrebbe predire un futuro di guerre e carestie: il cibo prodotto oggi non basterebbe, se a tavola ci fossero 2 miliardi di convitati in più.
Stamani a Parigi, viene presentato il nuovo rapporto Agrimonde sul futuro dell'alimentazione in un mondo sempre più popolato. E il rapporto, curato da Inra e Ciram, due istituti di ricerca francesi, dice che nel 2050 riusciremo a sfamare il mondo. Ma ad alcune condizioni. Che richiedono tutte (a parte l'ovvio contributo della scienza e della tecnologia) un alto livello di cooperazione internazionale attualmente assente dalla scena, come dimostrano i negoziati sul clima e il commercio.
Il bambino numero 9 miliardi dovrebbe arrivare nel 2045. Ma il fatto importante è che, dicono i demografi, il bambino numero 10 miliardi potrebbe non nascere mai. Dopo quota 9,2 miliardi, la popolazione planetaria dovrebbe restare stabile, o cominciare a scendere. Dopo anni di politiche draconiane come quella cinese di un figlio a famiglia, e dopo anni di campagne per l'uso dei contraccettivi, ormai è chiaro che il miglior anticoncezionale al mondo è il reddito procapite.
La chiamano transizione demografica. È il passaggio di una società dalla fase preindustriale (alto tasso di nascite ma anche di mortalità) alla fase di crescita (con cibo e sanità migliori crolla la mortalità). La terza fase subentra quando il reddito cresce ancora e l'emancipazione femminile fa scendere le nascite. La quarta è quella di deflazione: nascite ancor più basse e lunga aspettativa di vita. «Le giovani coppie di Pechino o di Shanghai che vogliono vivere bene – diceva tempo fa Hania Zlotnik, direttrice della Divisione popolazione dell'Onu, in un'intervista al Sole 24 Ore – stanno abbassando la fertilità media della Cina, meglio e più rapidamente del Partito comunista».
Nella quarta fase c'è l'Italia. Nella terza il Brasile e l'India. Nella seconda l'Uganda e l'Angola. Ma nella prima non c'è più nessuno.
Certo, la sovrappopolazione non è un problema di spazio, ma di distribuzione delle risorse. Anche se la globalizzazione sta già rimescolando le carte, non basta. L'ennesimo rischio malthusiano sarà evitato. Ma sarà più difficile, senza una vera governance mondiale.
«Il Sole 24 Ore» del 12 gennaio 2011
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