Una ricerca dell'Università di Cardiff ha analizzato le vite di un milione di europei, scoprendo che le persone stabilmente sposate hanno un tasso di mortalità inferiore del 10-15%. Più dura l'unione, più crescono i benefici. E l'Oms avverte: "Effetto meno positivo per i conviventi"
di Elena Dusi
"Tutto sommato, vale la pena di fare lo sforzo". Il British Medical Journal prende in esame il matrimonio e i suoi effetti sulla salute. Soppesati pro e contro, i medici promuovono la stabilità della vita di coppia, che favorisce l'equilibrio emotivo nelle donne e obbliga gli uomini a darsi da fare per frenare il declino fisico.
"Le persone sposate - concludono David e John Gallacher (padre e figlio) dell'università di Cardiff - hanno un tasso di mortalità del 10-15 per cento più basso rispetto alla media". Per le donne, la soddisfazione di una relazione stabile ha effetti soprattutto sulla psiche. Per gli uomini, la pressione delle mogli affinché mangino cibo sano e riducano gli stravizi funziona invece sul piano fisico.
Lo studio, condotto su oltre un milione di persone in sette paesi europei, è pubblicato dal British Medical Journal come editoriale in vista di San Valentino. Anche se il suo tono a volte è leggero e scherzoso, lo studio conferma i risultati ottenuti in molte ricerche passate sui benefici di una vita di coppia stabile rispetto alle altalene emotive dei rapporti mordi e fuggi. Equilibrio, vita sana, una vasta rete di amicizie e il supporto della famiglia allargata fanno propendere la bilancia verso il "sì". Ma come ogni medicina, anche il matrimonio può avere effetti collaterali e richiede le sue precauzioni.
"Affinché Cupido possa fare bene alla salute, è richiesto un certo grado di maturità", raccomandano i dottori Gallagher. Secondo i quali, le cotte adolescenziali saranno anche esperienze da sogno capaci di far raggiungere al cervello picchi intensi di dopamina, "ma risultano spesso in un aumento dei sintomi depressivi". E non hanno gli stessi benefici dei rapporti a lungo termine "in cui prevale l'ormone dell'attaccamento, l'ossitocina".
L'età consigliata dai medici per impegnarsi in una relazione seria è 25 anni per gli uomini e 19 per le donne, anche per ragioni di maggiore fertilità. Più a lungo il matrimonio dura, maggiori saranno i benefici per la salute. Ma se proprio l'unione non dovesse funzionare, vale il vecchio adagio "meglio soli che male accompagnati". Non è delle più sorprendenti la conclusione dei dottori Gallacher secondo cui "Non tutte le relazioni fanno bene alla salute, i rapporti tesi e difficili hanno un impatto negativo sull'equilibrio mentale e la loro rottura produce effetti benefici. Molto meglio allora tornare a essere single".
I buoni consigli dei medici inglesi (gli stessi che da sempre hanno dato le mamme) si appoggiano anche a un rapporto pubblicato l'anno scorso dall'Organizzazione mondiale della sanità. Sposarsi (e solo sposarsi: convivere non è la stessa cosa, soprattutto per le donne) riduce depressione, ansietà e sbalzi emotivi. L'università di Chicago ad agosto scorso ha misurato il livello di cortisolo, un ormone legato allo stress, in un gruppo di individui e ha notato che nelle coppie sposate il valore era ridotto. Mentre uno studio della Michigan State University, pubblicato a dicembre, ha trovato che gli uomini sposati si comportano meglio dei single: bevono meno e commettono meno reati.
"Le persone sposate - concludono David e John Gallacher (padre e figlio) dell'università di Cardiff - hanno un tasso di mortalità del 10-15 per cento più basso rispetto alla media". Per le donne, la soddisfazione di una relazione stabile ha effetti soprattutto sulla psiche. Per gli uomini, la pressione delle mogli affinché mangino cibo sano e riducano gli stravizi funziona invece sul piano fisico.
Lo studio, condotto su oltre un milione di persone in sette paesi europei, è pubblicato dal British Medical Journal come editoriale in vista di San Valentino. Anche se il suo tono a volte è leggero e scherzoso, lo studio conferma i risultati ottenuti in molte ricerche passate sui benefici di una vita di coppia stabile rispetto alle altalene emotive dei rapporti mordi e fuggi. Equilibrio, vita sana, una vasta rete di amicizie e il supporto della famiglia allargata fanno propendere la bilancia verso il "sì". Ma come ogni medicina, anche il matrimonio può avere effetti collaterali e richiede le sue precauzioni.
"Affinché Cupido possa fare bene alla salute, è richiesto un certo grado di maturità", raccomandano i dottori Gallagher. Secondo i quali, le cotte adolescenziali saranno anche esperienze da sogno capaci di far raggiungere al cervello picchi intensi di dopamina, "ma risultano spesso in un aumento dei sintomi depressivi". E non hanno gli stessi benefici dei rapporti a lungo termine "in cui prevale l'ormone dell'attaccamento, l'ossitocina".
L'età consigliata dai medici per impegnarsi in una relazione seria è 25 anni per gli uomini e 19 per le donne, anche per ragioni di maggiore fertilità. Più a lungo il matrimonio dura, maggiori saranno i benefici per la salute. Ma se proprio l'unione non dovesse funzionare, vale il vecchio adagio "meglio soli che male accompagnati". Non è delle più sorprendenti la conclusione dei dottori Gallacher secondo cui "Non tutte le relazioni fanno bene alla salute, i rapporti tesi e difficili hanno un impatto negativo sull'equilibrio mentale e la loro rottura produce effetti benefici. Molto meglio allora tornare a essere single".
I buoni consigli dei medici inglesi (gli stessi che da sempre hanno dato le mamme) si appoggiano anche a un rapporto pubblicato l'anno scorso dall'Organizzazione mondiale della sanità. Sposarsi (e solo sposarsi: convivere non è la stessa cosa, soprattutto per le donne) riduce depressione, ansietà e sbalzi emotivi. L'università di Chicago ad agosto scorso ha misurato il livello di cortisolo, un ormone legato allo stress, in un gruppo di individui e ha notato che nelle coppie sposate il valore era ridotto. Mentre uno studio della Michigan State University, pubblicato a dicembre, ha trovato che gli uomini sposati si comportano meglio dei single: bevono meno e commettono meno reati.
«La Repubblica» del 28 gennaio 2011
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