Il mondo della ricezione è estremamente variegato. Io non credo che coloro che adorano Moccia o Tamaro vadano pazzi per "Finnegans Wake". Né credo che chi ama Joyce ami Dan Brown
di Umberto Eco
Il dibattito si è aperto quasi due settimane fa su "Repubblica" ma, siccome il venerdì scorso non era il mio turno per la Bustina, posso intervenire solo ora. Tanto meglio, repetita iuvant.
La discussione è stata aperta da Alex Ross, critico musicale del "New Yorker" (di cui Bompiani ha tradotto "Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo") e continuata da Alessandro Baricco. Ross si chiede come ormai la gente accetti Joyce, che era considerato incomprensibile sino alla prima metà del secolo scorso, apprezzi la pittura di Pollock (che Krushev definiva come dipinta con la coda di un asino, e anche gli anticomunisti si mostravano d'accordo, ma oggi comunisti e anticomunisti l'acquistano a prezzi proibitivi), mentre chi va ai concerti non può sopportare la musica atonale, ed esce dalla sala se in un programma, dopo Bach o Beethoven, è iscritto Stockhausen. Le ipotesi di Ross sono molte ma mi convince di più quella di Alessandro Baricco che dice, in breve: ma vi è mai accaduto di visitare una mostra in cui accanto a Raffaello ci sia Pollock - e accanto a Gérome, aggiungo io, il "pompier" che sta attirando le folle al Museo d'Orsay a Parigi si mostri Basquiat?
La riflessione di Baricco è piena di buon senso e ci ricorda che il mondo della ricezione (di coloro cioè che gioiscono di varie proposte creative ) è estremamente variegato. Io non credo che coloro che adorano Moccia o Tamaro vadano pazzi per "Finnegans Wake". Né credo che chi ama Joyce ami Dan Brown, a meno che sappia amministrare con saggezza la propria schizofrenia, come faceva Proust (autore di un indimenticabile elogio della cattiva musica).
I discepoli di Proust ascoltano i dischi di John Cage ma, se vogliono rievocare il tempo perduto, cantano di notte tra amici "Non dimenticar le mie parole". Invece sia le persone insopportabilmente colte che quelle insopportabilmente ottuse o fanno l'una o l'altra cosa, e si vergognerebbero di tenere i piedi in due staffe (come invece deve fare ogni buon cavallerizzo). È naturale che se in un concerto, dopo Chopin e Schumann, fanno ascoltare Berio, gli amanti della musica romantica si sentano disorientati. Ma anche i proustiani, se dopo Berio eseguissero "Pippo non lo sa", inarcherebbero le sopracciglia.
È curioso che sia ammessa come normale una schizofrenia culinaria (talora ci piacerebbe una cena con caviale a lume di candela, meglio se con una sosia di Marilyn Monroe, ma più spesso si adora una pizza portata a casa nel contenitore di cartone e mangiata con figli o nipoti) mentre una schizofrenia artistica viene giudicata radical chic. Chi va a visitare a Parigi la mostra di Gérome, tutta odalische desiderabilissime, completamente "à poil", di solito non va a vedere una mostra di arte astratta, e chi ama Leoncavallo non può sopportare Schoenberg - e costoro considerano teste d'uovo (un poco comunisti e un poco omosessuali) gli intellettuali che vanno alla Scala ma non disdegnano "No, no, Nanette".
Un ragazzino occidentale, che è stato esposto sin dall'infanzia alle arti figurative, se una brava maestra gli mostra a sette anni un Pollock, è capace di apprezzarlo e addirittura imitarlo (ho le prove). Perché? Perché non è vero che siamo per natura figurativi, abbiamo visto e goduto modelli di arte astratta nei quadrettini delle tovaglie, o nelle vesti o foulards materni, e quindi siamo pronti sin dall'infanzia ad apprezzare Mondrian. E Pollock? Ma faceva quello che un bambino ama fare, e un bambino ama fare quel che amava fare lui. E allora perché lo stesso bambino non dovrebbe amare Schoenberg?
Una risposta è che il nostro cervello riconoscerebbe come naturale solo la musica tonale. Ma in tal caso la maggioranza dei ragazzi extraeuropei, e persino scozzesi, sarebbero dei decerebrati. Mi piacerebbe sapere come un ragazzo di altre etnie, educato a musiche pentatonali o esatonali, possa capire la musica atonale. Non sono al corrente delle ricerche neurologiche in proposito. Ma temo che ormai, con la globalizzazione, sia come chiedersi se un piccolo indiano ami o no un hamburger; ormai è stato corrotto sin dall'infanzia. Caso mai si dovrebbe dire che certamente sin dalla più tenera età ogni ragazzo occidentale è stato educato alla musica tonale. Ma provate a dare a dei bambini tamburelli e fischietti. E dategli un ritmo. Scoprirete che per loro la tonalità conta molto poco.
I melomani che (almeno secondo Ross) escono dal concerto quando, dopo Brahms, gli si propone Boulez, hanno mai portato in sala anche i loro piccoli? Chissà mai che a loro Boulez non dispiaccia, o in ogni caso non dia noia.
La discussione è stata aperta da Alex Ross, critico musicale del "New Yorker" (di cui Bompiani ha tradotto "Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo") e continuata da Alessandro Baricco. Ross si chiede come ormai la gente accetti Joyce, che era considerato incomprensibile sino alla prima metà del secolo scorso, apprezzi la pittura di Pollock (che Krushev definiva come dipinta con la coda di un asino, e anche gli anticomunisti si mostravano d'accordo, ma oggi comunisti e anticomunisti l'acquistano a prezzi proibitivi), mentre chi va ai concerti non può sopportare la musica atonale, ed esce dalla sala se in un programma, dopo Bach o Beethoven, è iscritto Stockhausen. Le ipotesi di Ross sono molte ma mi convince di più quella di Alessandro Baricco che dice, in breve: ma vi è mai accaduto di visitare una mostra in cui accanto a Raffaello ci sia Pollock - e accanto a Gérome, aggiungo io, il "pompier" che sta attirando le folle al Museo d'Orsay a Parigi si mostri Basquiat?
La riflessione di Baricco è piena di buon senso e ci ricorda che il mondo della ricezione (di coloro cioè che gioiscono di varie proposte creative ) è estremamente variegato. Io non credo che coloro che adorano Moccia o Tamaro vadano pazzi per "Finnegans Wake". Né credo che chi ama Joyce ami Dan Brown, a meno che sappia amministrare con saggezza la propria schizofrenia, come faceva Proust (autore di un indimenticabile elogio della cattiva musica).
I discepoli di Proust ascoltano i dischi di John Cage ma, se vogliono rievocare il tempo perduto, cantano di notte tra amici "Non dimenticar le mie parole". Invece sia le persone insopportabilmente colte che quelle insopportabilmente ottuse o fanno l'una o l'altra cosa, e si vergognerebbero di tenere i piedi in due staffe (come invece deve fare ogni buon cavallerizzo). È naturale che se in un concerto, dopo Chopin e Schumann, fanno ascoltare Berio, gli amanti della musica romantica si sentano disorientati. Ma anche i proustiani, se dopo Berio eseguissero "Pippo non lo sa", inarcherebbero le sopracciglia.
È curioso che sia ammessa come normale una schizofrenia culinaria (talora ci piacerebbe una cena con caviale a lume di candela, meglio se con una sosia di Marilyn Monroe, ma più spesso si adora una pizza portata a casa nel contenitore di cartone e mangiata con figli o nipoti) mentre una schizofrenia artistica viene giudicata radical chic. Chi va a visitare a Parigi la mostra di Gérome, tutta odalische desiderabilissime, completamente "à poil", di solito non va a vedere una mostra di arte astratta, e chi ama Leoncavallo non può sopportare Schoenberg - e costoro considerano teste d'uovo (un poco comunisti e un poco omosessuali) gli intellettuali che vanno alla Scala ma non disdegnano "No, no, Nanette".
Un ragazzino occidentale, che è stato esposto sin dall'infanzia alle arti figurative, se una brava maestra gli mostra a sette anni un Pollock, è capace di apprezzarlo e addirittura imitarlo (ho le prove). Perché? Perché non è vero che siamo per natura figurativi, abbiamo visto e goduto modelli di arte astratta nei quadrettini delle tovaglie, o nelle vesti o foulards materni, e quindi siamo pronti sin dall'infanzia ad apprezzare Mondrian. E Pollock? Ma faceva quello che un bambino ama fare, e un bambino ama fare quel che amava fare lui. E allora perché lo stesso bambino non dovrebbe amare Schoenberg?
Una risposta è che il nostro cervello riconoscerebbe come naturale solo la musica tonale. Ma in tal caso la maggioranza dei ragazzi extraeuropei, e persino scozzesi, sarebbero dei decerebrati. Mi piacerebbe sapere come un ragazzo di altre etnie, educato a musiche pentatonali o esatonali, possa capire la musica atonale. Non sono al corrente delle ricerche neurologiche in proposito. Ma temo che ormai, con la globalizzazione, sia come chiedersi se un piccolo indiano ami o no un hamburger; ormai è stato corrotto sin dall'infanzia. Caso mai si dovrebbe dire che certamente sin dalla più tenera età ogni ragazzo occidentale è stato educato alla musica tonale. Ma provate a dare a dei bambini tamburelli e fischietti. E dategli un ritmo. Scoprirete che per loro la tonalità conta molto poco.
I melomani che (almeno secondo Ross) escono dal concerto quando, dopo Brahms, gli si propone Boulez, hanno mai portato in sala anche i loro piccoli? Chissà mai che a loro Boulez non dispiaccia, o in ogni caso non dia noia.
«Espresso» del 21gennaio 2011
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