di Armando Torno
La matematica antica per noi contemporanei assomiglia agli dèi dell'Olimpo: ogni tanto ne ricordiamo qualcuno, possibilmente avvolto in un mito. In tal modo i nomi di Pitagora, Archimede, Apollonio o Pappo ritornano nelle nostre cronache, ma di essi abbiamo il più delle volte un'immagine fumosa. Siamo certi che c'è un teorema fondamentale su cui la tradizione ha posto il nome di Pitagora e, grazie ad esso, da ragazzini risolviamo i problemini di geometria con i triangoli rettangoli; oppure che il corpo immerso in un fluido riceve quella benedetta spinta dal basso verso l'alto sulla quale meditano senza sosta gli artefici dei voli degli aerei, categoria che va esclusa dai pensieri di Archimede eccetera eccetera. Ma siamo sicuri che formule o teoremi preziosi per calcoli scolastici e professionali siano proprio di questo o quello scienziato di cui portano il nome? E ancora: che cosa utilizziamo di tutte le opere lasciate dalla civiltà ellenica? C' è ancora da scoprire? A queste e a simili domande risponde un libro di Fabio Acerbi documentato e provvidenziale: Il silenzio delle sirene. La matematica greca antica (Carocci editore, pp. 448, 40). Oltre a descrivere i metodi di analisi dei trattati e a mettere in luce quei domini della ricerca solitamente ignorati anche se di notevole attualità, come i fondamenti e la teoria dei numeri, quest'opera demitizza una serie di luoghi comuni sovente ripetuti pappagallescamente dai testi scolastici. Qualche esempio? Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Prendiamo il caso di Pitagora, per il quale «il problema è la valutazione delle fonti». Quanto noi conosciamo del celebre matematico e filosofo giunge da «riscritture neopitagoriche» che si protrassero dal mondo ellenistico alla tarda età imperiale e dobbiamo ad esse il mito di Pitagora matematico. Ma codesto genere di letteratura, sottolinea Acerbo, aveva «propensione a confezionare falsi», tendeva all'«appropriazione dei contributi di altre scuole»; inoltre soleva «organizzare il materiale matematico attribuito in catene deduttive coerenti, riempiendone ovviamente eventuali vuoti». Facendo anche tesoro degli studi di Walter Burkert, si può ripetere che «il matematico Pitagora è definitivamente morto nel 1962», quando, appunto, uscì a Norimberga il saggio del ricordato studioso dedicato al mitico personaggio, oltre che a Filolao e Platone. Se si desidera continuare, basta soffermarsi su Archimede. In tal caso ci si accorge che la testimonianza di Antemio di Tralle - dalla quale si pescò sino all'epoca tardo-bizantina - circa l'impegno dello scienziato siracusano per la costruzione dei celebri specchi ustori, resta la sola ed unica menzione antica, ma è «di seconda mano e aperta a dubbi». Il saggio di Acerbo è poi utile per capire come è scritta la matematica greca, la sua probabile cronologia, i capricci della tradizione. Offre, pur con una prospettiva inusuale, una serie di informazioni preziose per i ricercatori di questa disciplina, compresa la demitizzazione di Ipazia di Alessandria, oggi alla ribalta grazie a un film. Peccato che forse non scrisse nulla di matematica, né pare abbia ideato un idroscopio (che si conosceva da secoli).
«Corriere della Sera» del 18 gennaio 2011
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